• L’ici, gli arretrati e le scuole paritarie

    Non mi scandalizza troppo la lettera del Vescovo Luigi Negri rivolta al Presidente del Consiglio Matteo Renzi con la richiesta di intervento sulla tassazione degli immobili in uso alle scuole paritarie, nè mi sorprende particolarmente l’appoggio ad essa del Sindaco di Ferrara. Vanno chiariti però alcuni aspetti sulla vicenda dell’ICI sulle scuole paritarie, perchè altrimenti facciamo finta di non capirci.

    Innanzitutto uno: quella della tassazione delle scuole paritarie non è questione di “libertà di educazione” nè di “democrazia” (sulla cui definizione forse non sono neanche d’accordo con il Vescovo, visto che curiosamente la fa risalire a più di cent’anni fa), ma è semplicemente una questione di equità fiscale e di politica educativa e culturale.

    Guardando le cose davvero al di fuori di ogni ideologia – io ci provo – è un fatto che le scuole private dell’infanzia (nidi e materne) offrano un servizio alla società che permette di soddisfare una domanda di posti che – per dire – nella nostra città supera l’offerta pubblica. Come è invece cosa su cui si può aprire un dibattito se, e come, attività volte alla crescita culturale e sociale di una comunità (non solo le scuole paritarie) possano avere o meno agevolazioni dal punto di vista fiscale, come hanno già contributi da parte delle varie amministrazioni. D’altro canto non dobbiamo dimenticare il tema delle risorse agli enti locali, che da una parte (esenzione ICI/IMU) o dall’altra (contributi alle scuole paritarie), si ritrovano ad essere parte fondamentale di questa discussione. Queste considerazioni pongono il tema sia dell’equità del trattamento fiscale di un soggetto rispetto ad un suo ruolo culturale e sociale, sia dell’eventuale contribuzione pubblica alla sua esistenza.

    Un punto, fondamentale, dal quale dobbiamo però partire è la nostra Costituzione, che all’articolo 33 recita testualmente “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”. Un altro punto di partenza è la sentenza della Cassazione sul caso di Livorno, che non basa su tale principio la sua decisione di far pagare l’ICI alle scuole paritarie, bensì sulla definizione di impresa economica, in quanto capace o meno (anche solo in astratto) di “perseguire il pareggio di bilancio”. Per quanto mi riguarda, sebbene l’art. 33 sia piuttosto perentorio, non ho mai visto come scandalosi i contributi degli enti locali alle scuole dell’infanzia paritarie, motivati per il loro importante ruolo sociale per la comunità, e non -notate bene – per la garanzia di una libertà che altrimenti non esisterebbe. D’altro canto la sentenza della Cassazione, sul cui esito peraltro concordo, mi lascia un po’ perplesso per le motivazioni perchè riconducono ad un sistema fiscale, quello italiano, particolarmente rigido nelle interpretazioni e sicuramente poco avvezzo a comprendere la situazione del contribuente di turno, ivi compresa la scuola parrocchiale.

    Premesso tutto ciò – come già detto tempo fa – non mi sembrerebbe scandaloso, piuttosto che chiedere l’esenzione delle scuole paritarie dalla tassazione sugli immobili in virtù di chissà quale diritto acquisito (leggasi privilegio) rispetto ad una qualsiasi altra attività culturale o sociale della città, ragionare su un sistema di agevolazioni – anche rilevanti – che permettano alle realtà che investono spazi, persone, risorse e tempo a far crescere culturalmente e socialmente le nostre città di farlo con maggiore tranquillità economica. Agevolazioni concesse quindi non solo alle scuole paritarie, ma ipotizzate in senso universalistico e impostate come politica fiscale che incentiva tutto ciò che crea valore culturale e sociale. Agevolazioni che proprio per questo spirito universalistico dovrebbero essere coperte dallo Stato e non lasciate come onere agli enti locali, sempre che non si decida che gli stessi cessino anche la contribuzione volontaria a queste realtà.

    Perchè – giusto per non prenderci ancora in giro – l’altro tema che qualcuno abilmente dimentica di ricordare è che nel frattempo, mentre con la mano sinistra il Comune di Ferrara ha giustamente richiesto il pagamento degli arretrati ICI e dell’IMU corrente, con l’altra aveva già aumentato i contributi alle scuole paritarie per adeguarli al livello degli altri comuni della regione (i cui dati peraltro attendo fiducioso da alcuni mesi), per un importo che a regime va abbondantemente a coprire gli oneri fiscali.

    Un’ultima considerazione, che riguarda proprio il ruolo dello Stato nel sistema educativo, in particolare in quello rivolto ai bambini da 0 a 6 anni. Credo – ma non sono nè il primo, nè il solo – che sia venuto il momento di aprire una discussione sul fatto che esso sia inserito a pieno titolo nel quadro del sistema educativo pubblico a finanziamento statale e non più lasciato al buon senso delle amministrazioni locali o al buon cuore di qualche parrocchia o fondazione benefica. Una riflessione che può e deve partire dal modello, comunque di eccellenza, della nostra regione ma che deve superare gelosie, primogeniture e diffidenze e puntare a garantire a tutti i bambini un servizio educativo pubblico di qualità.

    Leonardo Fiorentini
    Consigliere comunale

2 Comments

  1. Carmen says: 25 Maggio 2016 at 18:09

    Apprezzo il fatto che lei voglia affrontare la questione in termini non ideologici ma penso che lei non abbia centrato appieno la questione. Credo che né lei né altri abbiate finora tenuto conto di una cosa, e cioè del fattto che questa forma di tassazione verrebbe applicata a delle realtà non profit, come appunto sono le scuole paritarie di cui si parla. Noto che viene fatta una gran confusione tra i concetti di introito e di profitto, sostenendo che sia sufficiente il pagamentpo di una retta a fare un profitto, senza tener conto cioè di come quella retta venga utilizzata. Nel mondo del non profit non c’è un capitalista che a chiusura bilancio s’intasca un utile netto, un profitto per l’appunto. Nel mondo del non profit gli introiti servono unicamente a sostenere l’attività e a garantirne la continuità nel tempo. Mi fa una certa impressione il fatto che io debba spiegare a qualcun altro che cosa sia il non profit in Italia, ma questo secondo me avviene perché da una parte si finge di non sapere che cosa sia il non profit in Italia e dall’altra parte davvero non lo si sa affatto. Qui si rischia di creare un pericolosissimo precedente. Discutendone, mi è toccato addirittura dover sentire da parte di gente di sinistra che il non profit sarebbe una forma di concorrenza sleale verso le aziende profit, e cioè in parole povere verso il capitalismo (usiamo ancora questo termine ogni tanto!). Ma dove siamo arrivati? Spero di non essere eccessiva se da parte mia mi azzardo a sostenere che la realtà sia esattamente l’opposto, e cioè che è il mondo del capitalismo a rappresentare una forma di concorrenza sleale nei confronti del mondo del non profit. Sono eccessiva? Ma molto meglio questi eccessi anzichè quelli di chi pur di colpire un fantomatico baobab che ha nella testa è disposto alla macelleria sociale che si prepara. Sono stati fatti errori su errori in campo sociale e sono già tante le occasioni in cui diciamo tra noi con rammarico che oramai “non si può più tornare indietro”. Cerchiamo di non fare altri sbagli. Non si può pretendere da parte di chi non ha un profitto di pagare una tassa sul tetto sotto cui svolge le proprie attività. Non si può mettere sullo stesso piano il concetto di bene immobile ad uso privato con quello di bene immobile ad uso collettivo.
    Grazie. Cordiali saluti
    Carmen D’Angelo

  2. Leonardo Fiorentini says: 28 Maggio 2016 at 06:59

    guardi, la questione l’ho talmente considerata che ho anche criticato l’interpretazione delle norme tributarie da cui parte sentenza della cassazione. Però, detto che per le ONLUS esiste una normativa di esenzione (o almeno così era fino a poco tempo fa) a cui eventualmente ci si poteva ricondurre, la questione è che il vescovo rivendica la non tassabilità delle scuole in quanto tali facendone (incomprensibile) questione di democrazia e libertà. Dopodichè possiamo discutere su cosa differenzia una attività economica condotta da una non profit, da una cooperativa o da una SPA…

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