• Intervento su UNGASS 2016

    Ban Ki Moon
    “Dobbiamo prendere in seria considerazione soluzioni diverse dalla criminalizzazione ed incarcerazione delle persone che usano droghe”

    OMS
    “I paesi membri dovrebbero lavorare per lo sviluppo di politiche e leggi che decriminalizzano l’iniezione e gli altri modi di consumo delle droghe e, per questo, ridurre l’incarcerazione.”

    UNAIDS
    “Le politiche e le leggi punitive violano il diritto alla salute delle persone e indeboliscono la comunità, sia che proibiscano la fornitura di siringhe sterili (strumenti sterili per l’iniezione) e le terapie sostitutive con oppiacei, sia che criminalizzino l’uso di droga e il possesso di strumenti per l’iniezione o che neghino l’accesso alle terapie anti Aids alle persone che usano droghe … Le azioni di risposta all’HIV dovrebbero travalicare le ideologie ed essere basate sulle evidenze scientifiche e coerenti con i principi dei diritti umani; dovrebbero sostenere e non punire coloro che ne sono sieropositive all’HIV”

    UNDP
    “Le leggi che criminalizzano l’uso di droga/il possesso di piccole quantità di droga per uso personale impediscono alle persone che fanno uso di droga l’accesso ai servizi di base quali la casa, l’istruzione, la tutela sanitaria, il lavoro, gli strumenti di protezione sociale e le cure.“

    Cosìè UNGASS

    Le Nazioni Unite da domani sino a giovedì terranno una sessione speciale sulle droghe dell’Assemblea Generale (UNGASS). Originariamente, l’Assemblea Generale Onu sulle droghe avrebbe dovuto tenersi nel 2019, ma i presidenti della Colombia, del Guatemala e del Messico hanno richiesto un anticipo, data l’urgenza dei problemi sul piatto. Negli ultimi anni infatti, la guerra internazionale alla droga, anziché risolvere, ha inasprito delle problematiche di salute pubblica, sono aumentate le carcerazioni, sono state alimentate la corruzione, la violenza e il mercato nero degli stupefacenti. I governi di molti paesi hanno iniziato a richiedere un nuovo approccio e a riformare le politiche e le legislazioni nazionali, stimolando uno slancio senza precedenti verso il cambiamento. C’è dunque bisogno di un dibattito aperto sulla validità delle politiche mondiali e sulla attuale cornice legislativa, rappresentata dalle Convenzioni internazionali: un dibattito che includa non solo tutte le agenzie Onu e i governi, ma anche i ricercatori, la società civile e i soggetti direttamente coinvolti, dai consumatori di sostanze ai contadini coinvolti nella coltivazione su piccola scala di piante illegali per ragioni di sussistenza.

    La Sessione speciale dell’Assemblea dell’ONU (UNGASS appunto) sulle droghe rappresenta il momento di più alto livello per valutare e discutere le politiche mondiali sulla droga, alla presenza dei capi di stato e di governo di tutti i paesi del mondo. Alla fine del meeting verrà approvata una Dichiarazione Politica e altri documenti più specifici. L’Assemblea Generale del 1998 di New York, apertasi sotto lo slogan “Un mondo senza droghe, possiamo farcela”, nella Dichiarazione Politica finale lanciò l’ambizioso obiettivo di “eliminare o ridurre significativamente” le coltivazioni di oppio, coca e cannabis in dieci anni. Da qui riprese slancio a livello di molti paesi produttori la “guerra alla droga”, attraverso interventi aggressivi di eradicazione forzata delle coltivazioni manu militari, come nel caso del Plan Colombia. Dieci anni dopo, al meeting Onu ad alto livello del 2009, l’obiettivo fu ribadito e spostato in avanti di altri dieci anni, senza alcuna vera valutazione delle politiche adottate, dei loro risultati e dei loro costi umani.

    Dopo cinque anni, molti leader politici e settori della società civile stanno mettendo in discussione quest’approccio di pura repressione, che si è rivelato inefficace e pericoloso.

    Già il meeting ad alto livello del 2009 aveva registrato la fine dell’unanimismo proibizionista, poiché un nutrito gruppo di paesi europei (fra cui Germania, Regno Unito, Spagna e Portogallo) sottoscrissero una “riserva” alla Dichiarazione Politica finale, in cui riaffermavano la volontà di applicare la strategia di Riduzione del Danno. Inoltre, mai prima d’ora così tanti governi nazionali hanno espresso dissenso con la politica di “guerra alla droga”. Più importante, in molti paesi la società civile ha messo in discussione le leggi sulle droghe, mediante proposte di riforma e referendum o campagne popolari (si vedano i referendum in moltissimi stati americani, ma anche i referendum degli anni novanta in Italia per la depenalizzazione dell’uso personale e in Svizzera a favore della riduzione del danno).

    A ciò si aggiunga che sono sempre più le evidenze scientifiche che mostrano l’efficacia, in termini di salute pubblica, degli interventi di riduzione del danno nella riduzione di overdose e malattie a trasmissione sessuale (in primis HIV). Per la prima volta, vi è significativo dissenso a livello locale, nazionale e internazionale.

    Gli effetti della War on Drugs

    Per sommi capi cercherò di far comprendere cosa significa la guerra alla droga nel mondo in termini di sicurezza, di rispetto della salute e dei diritti umani dei consumatori e dell’ambiente.

    Secondo un recente rapporto la war on drugs mette a rischio la sicurezza di 1 paese su 3 dei paesi ONU a casua dei suoi “effetti collaterali”. Molti di questi sono stati già riconosciuti dall’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC) – l’agenzia responsabile del sistema di controllo – che li descrive come le “conseguenze non intenzionali” della war on drugs. Esse possono anche essere state non volute, ma dopo più di 50 anni, non possono più essere viste come impreviste. Stiamo parlando ad esempio degli effetti della guerra alla droga inaugurata dall’ex presidente messicano Calderon che in 10 anni ha causato oltre 100.000 morti e più di 25.000 desaparecidos, senza scalfire, anzi aumentando se possibile, lo strapotere dei cartelli della droga messicana, che gestiscono insieme al traffico di droga anche quello di esseri umani e controllano vaste porzioni del territorio. In tema di diritti umani stiamo parlando delle centinaia di esecuzioni capitali per fatti di droga che avvengono ancora in giro per il mondo (412 nel 2014 in Cina, Iran e Arabia Saudita) o di sistemi di pene draconiane anche per i solo consumi di sostanze. Stiamo parlando dell’escalation della diffusione del virus HIV nei paesi dove sono vietate le forme più elementari di riduzione del danno come in Russia, per citarne uno, dove il contagio e le morti dovute ad HIV hanno avuto un’impennata esponenziale. E senza poter approfondire le conseguenze ambientali della war on drugs, a partire dalle fumigazioni che, ad esempio in Colombia, hanno distrutto non solo l’agricoltura locale ma messo a rischio lo stesso ecosistema sia con l’uso di erbicidi pericolosi (glifosato su tutti) che costringendo le coltivazioni illegali a spostarsi continuamente, ha perso circa 1800 chilometri quadrati di foresta colombiana. Non è un caso che proprio la Colombia, unilateralmente abbia recentemente deciso di recedere dal Plan Colombia e abbia richiesto la convocazione in anticipo di UNGASS. Dal punto di vista finanziario la war on drugs è stata un enorme sperpero di risorse (oltre un trilione di dollari speso dai soli stati uniti in 40 anni) senza alcun effetto se non permettere poi il finanziamento diretto o indiretto di organizzazioni terroristiche in giro per il mondo che a seconda dei casi si sono finanziate con il traffico o con la repressione dello stesso.

    Molte organizzazioni internazionali, tra cui IDPC, e nazionali, come quelle raccolte nel cosiddetto Cartello di Genova, hanno sollevato la questione di una reale partecipazione della società civile ad UNGASS 2016 e di una apertura del dibattito a tutte le voci in campo, che si traduca anche in un documento finale che non sia fredda fotocopia della prima bozza in circolo fra le burocrazie internazionali già da novembre scorso.

    La posizione italiana verso UNGASS

    Anche in Italia si è finalmente aperto un dibattito franco e aperto. Nel marzo scorso durante un seminario a Roma il Dipartimento antidroga e le amministrazioni centrali interessate (salute, esteri, interno) si sono confrontate con le ONG. Finalmente, dopo anni di oscurantismo ideologico, nel nostro paese, in una sede istituzionale ci si è potuti confrontare sulle politiche sulle droghe anche da punti di vista diversi.

    Non solo. Recentemente il governo, rispondendo ad una interrogazione parlamentare, ha esplicitato la propria posizione: “si evidenzia che, da parte italiana, si continuerà a partecipare costruttivamente ai negoziati in corso a Vienna, affinché il documento finale di UNGASS 2016 rifletta, nella maniera più adeguata alle nostre priorità, il nostro punto di vista, lo specifico contributo che l’Italia porta, tra cui il riferimento a politiche antidroga basate su un approccio di sanità pubblica e nel pieno rispetto dei diritti umani, l’abolizione della pena di morte per i reati in materia di droga, le misure per la riduzione dei rischi e dei danni, l’accesso alle medicine e la decriminalizzazione, anche in relazione al sovraffollamento carcerario.”

    Infine è di queste ultime ore l’ufficializzazione della composizione di una delegazione italiana in cui sono state incluse, a spese loro (e nonostante la caccia alla streghe tentata dagli immarcescibili Gasparri e Giovanardi), anche alcune ONG, rappresentanti tutti, ribadisco tutti, gli orientamenti presenti nella società italiana.

    Questo documento è quindi ormai superato dai fatti. Ci siamo chiesti in queste ore se fosse comunque utile continuare a richiedere anche dal basso di mantenere aperto il dibattito sulle politiche sulle droghe a livello mondiale, e dare un piccolo contributo ad un percorso di informazione e di presa di coscienza locale sulle implicazioni di 50 anni di war on drugs.

    Viste le polemiche davvero pretestuose di questi giorni, pare davvero difficile realizzare l’ambizione di aprire in questa sede un dibattito serio e soprattutto rispettoso delle questioni poste nel testo dell’ordine del giorno, che sono ben al di sopra delle pur preoccupanti ricadute locali della war on drugs. Siccome non vogliamo far perder tempo a nessuno, men che meno ai pochi che ci seguono qui in consiglio e in streaming e soddisfatte le richieste del documenti dalla posizione nel frattempo assunta dal governo e dalla formazione della delegazione che sarà guidata dal Ministro per la Giustizia Orlando ritiriamo l’ordine del giorno.

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