
Vendita azioni: approvano solo Pd e Ferrara Concreta
Vendita azioni: approvano solo Pd e Ferrara Concreta
Gabriele Rasconi su la Nuova Ferrara del 28 aprile 2015
Gabriele Rasconi su la Nuova Ferrara del 28 aprile 2015
Sono passati con i voti favorevoli del solo Partito democratico (oltre a quello di Alberto Bova di Ferrara Concreta) il nuovo contratto di sindacato di voto e la nuova disciplina di trasferimenti azionari tra soci di Hera, presentati ieri al Consiglio comunale dall’assessore alle Partecipate Luca Vaccari. Contrarie a varie titolo non solo tutte le opposizioni ma anche Sinistra, ecologia e libertà, rappresentata da Leonardo Fiorentini. «Dal luglio 2017 – ha spiegato Vaccari illustrando le novità – quando si assumeranno alcune decisioni chi detiene le azioni da almeno ventiquattro mesi vedrà raddoppiare il suo voto. È un cambio di ottica: i soci pubblici manterranno il controllo pur con un numero minore di azioni». Il conto, per quanto riguarda il pacchetto in mano al Municipio tramite la holding Ferrara Servizi, è presto fatto: «con l’1,7% del capitale azionario acquisiremo un peso del 3,4% al momento del voto o, in termini assoluti, con 25 milioni di azioni peseremo per 50 milioni. Questo serve per consentire ai soci pubblici di mantenere il controllo sulla società senza tenere immobilizzati i capitali, che potranno essere smobilizzati dal luglio 2017 fino a scendere al 38,5%». L’assessore ha insistito nel ribadire che anche allora la vendita sarà «una facoltà, non un obbligo, sempre subordinata all’approvazione del Consiglio comunale» e che ciascun singolo socio privato continuerà ad avere un limite del 5% al possesso di capitale: «non è configurabile un’ipotesi secondo cui i soci privati conteranno più di quelli pubblici». La discesa al 38,5%, infine, sarà «graduale: non ci sarà quella svendita che qualcuno paventa ma un processo controllato di dismissione». La prima a non dichiararsi convinta è stata la consigliera 5 stelle Silvia Mantovani. «Il gioco vale la candala? – si è chiesta – Per noi è semplicemente una vera e proprio privatizzazione di beni comuni: realizzare questa ipotesi di vendita sarà un punto di non ritorno che impedirà la ri- pubblicizzazione. In questa maniera il Pd, con le sue logiche lobbistiche, straccia il risultato del referendum del 2011». Per Francesco Rendine di Giustizia, onore e libertà già la vendita di azioni Hera nel 2013 fu un errore: «furono vendute a un euro e 50 centesimi l’una, quando adesso sono già salite a un euro e 30 e gli analisti parlano di prezzo tendente alla crescita». La proposta, si diceva, ha diviso il centrosinistra, data la contrarietà di Sel, che comunque conta un solo consigliere. «Hera già non la controlliamo col 58% e non la controlleremo col 38: quello che viene proposto oggi sembra un modo per aggirare il referendum del 2011 – ha detto Fiorentini – . I Comuni stanno seguendo il “gentile” invito del Governo a reperire fondi per fare cassa, ma vendere oggi parti di Hera per costruire un ponte o rifare una piazza significa dissipare un patrimonio costruito in settant’anni». Ovviamente favorevole, invece, il Pd. «Oggi non diamo mandato al sindaco di vendere le azioni – ha ribadito Vignolo -: stiamo rimanendo al passo coi tempi, e infatti la nostra scelta è stata quella di vincolare la proroga del contratto di servizio sui rifiuti al rispetto dell’Autorizzazione integrata ambientale della Provincia. Quanto all’acqua, è pubblica e lo resterà anche dopo il voto di oggi: dire che passare dal 51 al 38% di capitale è svantaggioso significa dire qualcosa di scorretto e falso». È finita 20 favorevoli contro 13 contrari. Gabriele Rasconi