• Due Sì per l’acqua pubblica

    Marcello ribadisce sul blog le sue posizioni sul referendum sull’Acqua Pubblica. E’ per il no, come del resto lo è un bel pezzo della dirigenza del PD, sul solco già tracciato in passato dallo stesso Bersani e dalla Lanzillotta. Marcello a sostegno delle sue convinzioni, ci fornisce una lettura della questione prettamente economica. Dice, in soldoni: il privato è più efficiente, e puo’ metter meglio mano al disastro dei nostri acquedotti, tornare al pubblico è peggio che tornare ai soviet (mi consentirete l’estremizzazione). Ora non voglio dilungarmi su questa lettura “economicista”, anche se è assolutamente discutibile: dalla “presunta” maggiore efficienza del privato (Cirio e Parmalat ci dicono qualcosa), al mito della concorrenza quando parliamo di un monopolio naturale, sino al problema degli investimenti che il pubblico non potrebbe fare (ma che, tutti dimenticano, già oggi sono interamente recuperati in bolletta) e degli acquedotti colabrodo per colpa della gestione pubblica (guarda caso quello messo peggio è Roma, gestito da una spa quotata in borsa e a forte capitalizzazione privata, mentre la percentuale di realizzazione degli investimenti non supera il 50/60% delle previsioni…).

    Ma è su un altro piano che questa partita va giocata. Un piano che per fortuna è stato più facile fra comprendere ai cittadini che a buona parte del centrosinistra italiano (Di Pietro incluso): l’acqua è un bene fondamentale per la vita. Senz’acqua non si vive, se non poche ore. E’ questo il punto: l’acqua è un bene comune assoluto, un diritto intrinsecamente connesso alla vita di ogni cittadino. Per questo non deve essere consentito privatizzarne anche solo la gestione, e consentito di trarne profitto. Anche senza cibo non si vive: ma mentre se il negoziante sotto casa non ci da mangiare possiamo sempre rivolgerci ad un altro (questa sì che si chiama concorrenza) o al peggio coltivarci noi il nostro orto, se il gestore dell’acqua non ci fornisce il servizio (perchè troppo caro o perchè già non paghiamo le bollette) non possiamo rivolgerci a nessun concorrente, e neanche possiamo realisticamente scavarci un pozzo o metterci a bere l’acqua del fiume di fianco a casa (nel nostro caso il Po, fate voi…).

    Ed è vero quello che dicono in molti: questi referendum propongono un altro modello società, che sa riconoscere quali sono i limiti del mercato – pensate un po’ – e che cerca di superare il modello della globalizzazione liberista assoluta per costruire una società in cui i beni comuni siano condivisi e pubblici, gestiti in modo trasparente e partecipato. Nessuno si sogna di ricostruire i vecchi carozzoni del passato, ma perchè dopo aver sperimentato per 20 anni il fallimento del privato (qualcuno mi deve ancora spiegare cos’è cambiato in meglio con ENEL e Telecom privatizzate), non possiamo sperimentare un nuovo modello di azienda speciale municipale (ma ce ne erano già tante che funzionavano bene), con amministratore unico, che garantisce che i primi 50 litri di consumo pro capite al giorno debbano essere garantiti a tutti, che risponde ai cittadini tramite il consiglio comunale, e che gestisce in modo efficiente e condiviso il bene comune investendo gli utili nelle reti pubbliche?