• Aumenta la produzione di oppio in Afghanistan: +61%

    Nonostante i quasi 10 anni di occupazione NATO in Afghanistan, la produzione di oppio continua a crescere secondo il rapporto 2011 dell’UNODC. Continua così anche il fallimento delle politiche ONU, fatte di repressione, eradicazione e goffi tentativi di sostegno alla riconversione agricola. E nel frattempo nel paese asiatico raddoppiano i consumatori di oppiacei e si parla di epidemia HIV per i consumatori di droghe.

    La coltivazione di oppio in Afghanistan ha raggiunto nel 2011 131.000 ettari, con un incremento del 7% rispetto allo scorso anno. E’ questo il dato che apre il rapporto 2011 sulla situzione dell’oppio in afghanistan, presentato oggi dal direttore dell’UNODC Fedotov.

    Così, nonostante il direttore dell’UNODC rivendichi l’aumento del 65% di coltivazioni eradicate dagli interventi repressivi ONU, la produzione di oppio in Afghanistan aumentera’ del 61 per cento rispetto all’anno precedente. Si passa infatti dalle 3.600 tonnellate prodotte del 2010 alle 5.800 tonnellate nel 2011.

    Non solo: a causa delle situazione del paese, e delle politiche repressive, è previsto un raddoppio del valore delle coltivazioni: il prezzo è infatti cresciuto da 169 a 241 dollari al kg. Lo scorso anno circa 605 milioni di dollari di oppio sono stati prodotti in Afghanistan, mentre quest’anno si stimano guadagni per 1,4 miliardi di dollari, con un incremento del 133%.

    Nel frattempo nel paese asiatico sono quasi raddoppiati i consumatori di oppiacei: se nel 2005 la prevalenza di consumo di oppiacei si fermava all’1,4% oggi si attesta al 2,65%. E si parla di epidemia HIV per i consumatori di droghe.

    Dall’Afghanistan arriva circa l’80% del totale dell’oppio prodotto su scala mondiale. Per il paese la produzione della sostanza contribuisce al 9% del PIL. “I guadagni piu’ alti ricavati dall’oppio, contro i prezzi piu’ bassi del grano, possono aver incoraggiato i coltivatori a riprendere la coltivazione del papavero da oppio”, si legge nel rapporto. Nel passato peraltro, proprio l’inconsistenza del sostegno economico dell’UNODC ai coltivatori coinvolti nella riconversione agricola delle coltivazioni aveva portato al fallimento delle politiche di sostituzione dell’oppio con produzioni food.

    Sono circa 191.500, pari al 5% della popolazione, gli afghani coinvolti oggi nella coltivazione dell’oppio. La pianta e’ coltivata nella meta’ delle 34 province del paese, ma il 95% della produzione arriva da nove province, “nelle zone piu’ instabili del sud e del sud-ovest – si legge ancora – dominate dall’insorgenza e dalle reti del crimine organizzato”. Questo dato, secondo l’UNODC, “conferma il link tra l’insorgenza e la coltivazione di oppio fin dal 2007”. Da annotare infine che le squadre impegnate nell’eradicazione delle coltivazioni di oppio si sono confrontate con incidenti di quattro volte piu’ numerosi rispetto a quelli dello scorso anno.

    “L’Afghan Opium Survey 2011 manda il messaggio forte che non si puo’ restare inerti di fronte a questo problema – ha commentato Yury Fedotov, direttore esecutivo di Unodc – E’ necessario un forte impegno dei partner interni e internazionali”. Un impegno che, nella ormai consolidata linea dell’UNODC, ovviamente non prenderà in considerazione le sollecitazioni, venute da più parti, per promuovere l’utilizzo medico dell’oppio afgano.

    (articolo per fuoriluogo.it)

  • La vera causa (della diminuzione della produzione di oppio in Afghanistan)

    jeanluclemahieuSul tema della coltivazione di oppio in afghanistan PeaceReporter intervista oggi il direttore del programma antidroga dell’Onu a Kabul, Jean-Luc Lemahieu. Che dice: “Per un contadino, 5 anni fa, coltivare oppio rendeva 27 volte tanto che coltivare grano. Oggi gli rende solo il doppio. Per questo molti contadini sono passati ad altre colture”.
    Il rapporto annuale delle Nazioni Unite sulla produzione di oppio in Afghanistan, appena pubblicato dall’Unodc, conferma le previsioni di un ulteriore calo dell’estensione delle piantagioni di papavero da oppio e del tariàk, l’oppio grezzo in lingua locale. I campi di papavero, che nel 2008 coprivano 157 mila ettari, quest’anno sono diminuiti del 22 percento, passando a 120 mila ettari.
    Il numero delle province produttrici di oppio è sceso da 20 a 18: Kapisa e Baghlan sono diventate ‘poppy free’.
    Più modesto il declino del raccolto 2009 a causa della maggior produttività delle piante: dalle 7.700 tonnellate dell’anno scorso alle 6.900 di quest’anno, ovvero 10 percento in meno.
    Notevole il calo di coltivazione nella provincia di Helmand, la ‘capitale’ dell’oppio, dove le piantagioni di papavero sono diminuite di un terzo grazie al progetto delle ‘Food Zone’ (sementi alternative e sostegno per la vendita ai contadini che abbandonano l’oppio) sperimentato dal governatore provinciale, Gulab Mangal.
    Prosegue anche il calo del prezzo dell’oppio, sceso mediamente di un terzo rispetto all’anno scorso. Questa è la vera causa del calo di produzione a cui si assiste negli ultimi anni.
    Jean-Luc Lemahieu, direttore in Afghanistan dell’Unodc, ci ha spiegato che la diminuzione che si registra dopo il record di due anni fa non è il risultato della campagna antidroga, ma l’effetto delle leggi di mercato: dal 2004, infatti, l’Afghanistan produce molto più oppio di quello che il mercato mondiale può assorbire, quindi i prezzi sono crollati rendendo necessario un rallentamento della produzione per riequilibrare domanda e offerta.
    “Stiamo assistendo e continueremo ad assistere a un calo di produzione perché si sta producendo più di quello che il mercato mondiale richiede. E’ logico che il mercato si corregga. La riduzione continuerà fino a quando si ristabilirà l’equilibrio tra domanda e offerta. Non c’è dubbio”, ci dice Lemahieu. “Questa riduzione è prodotta da una correzione di mercato. Le nostre statistiche lo dimostrano chiaramente. Per un contadino, 5 anni fa, coltivare oppio rendeva 27 volte tanto che coltivare grano. Oggi gli rende solo il doppio. Per questo molti contadini sono passati ad altre colture”.

    Il direttore dell’Unodc in Afghanistan, mostrandoci i grafici elaborati dalla sua organizzazione, spiega come la sovrapproduzione afgana di oppio rispetto alla domanda mondiale, verificatasi a partire dal 2004, abbia provocato il crollo dei prezzi e quindi l’erosione dei margini di profitto di coltivatori e trafficanti, generando una frenata della produzione di oppio, ma anche un deleterio effetto collaterale. Se molti contadini, infatti, hanno giudicato più conveniente e meno rischioso smettere di coltivare oppio, molti narcotrafficanti, in attesa che il calo di offerta faccia risalire i prezzi, hanno deciso di sfruttare la congiuntura, iniziando a svendere la droga in eccesso sul mercato interno afgano.

    “Un nuovo fenomeno è il consumo di droga in Afghanistan. La droga a basso costo ha invaso il mercato locale, con la conseguente esplosione del problema della tossicodipendenza. Basta pensare all’emergenza umanitaria creatasi all’ex centro culturale russo di Kabul. La situazione era drammatica. Tra quelle macerie si concentravano 1600 tossicodipendenti, di cui 650 che ci vivevano in pianta stabile e gli altri che ci andavano per drogarsi. Ogni notte ne morivano in media 2 o 3, per overdose, malnutrizione e altre malattie. Quando abbiamo scoperto questa situazione siamo intervenuti, prima portando assistenza sul posto, e in primavera sgomberando l’area, sistemando la maggior parte dei tossicodipendenti in centri di disintossicazione gestiti dal Ministero della Salute afgano. Ovviamente, nulla di paragonabile con gli standard europei, ne siamo ben lontani, soprattutto perché non ci sono fondi adeguati per affrontare questa emergenza”.

    La tossicodipendenza in Afghanistan, secondo le ultime stime, riguarda circa due milioni di afgani, un decimo della popolazione adulta del Paese: un numero enorme se si considera che fino a pochi anni fa questo fenomeno non esisteva. Lemahieu sottolinea l’urgenza di intervenire prima che sia troppo tardi e la situazione sfugga di mano.

    “La rapida diffusione del consumo di droghe pesnati in Afghanistan è un’emergenza pressante, perché se non interveniamo subito per arginare la tossicodipendenza, presto ci troveremo a fare i conti con la diffusione di malattie come l’Hiv. Questo paese ha già abbastanza piaghe: l’ultima che gli auguro è quella dell’Aids. Dobbiamo impedirlo. Oggi siamo ancora in tempo per farlo, domani sarà troppo tardi”.

    Enrico Piovesana

  • Oppio. Aumenta la produttività afgana.

    oppioColtivare oppio in Afghanista rende 5 volte di più rispetto alla stessa coltivazione nel Triangolo d’Oro del Sud-Est asiatico. Il che basterebbe, come notizia. Nonostante questo Antonio Maria Costa e la sua UNODC gridano al successo delle politiche ONU in Afghanistan. Ma la prima diminuzione della produzione dopo il boom degli ultimi anni, a ben leggere il mercato mondiale delle sostanze (e l’abbassamento del prezzo dell’oppio) non stupisce molto. Semplicemente in afghanistan nell’ultimo anno i coltivatori hanno prodotto meno e meglio.

    Su fuoriluogo la presentazione, il rapporto e il commento di Marco Perduca.

  • La notizia di Ferragosto. Siamo in guerra, ve ne rendete conto? Sveglia!

    14736Dimenticavo: siamo in guerra, ragazzi. E la stanno vincendo i Talebani.

    Maso Notarianni su PeaceReporter:

    Afghanistan, Esteri e Difesa ammettono: è guerra. Ma chi dovrebbe difendere la Costituzione (e il lavoro, e la libera informazione, e i servizi pubblici) è troppo occupato a discutere delle proprie poltrone e delle altrui puttane)

    Meglio La Russa, e meglio Franco Frattini, di chi oggi dovrebbe stare all’opposizione e ieri stava al governo di questo Paese.

    Senza ipocrisie, il ministro degli Esteri e quello della Difesa ci dicono che l’Italia è in guerra. Per preparare la pace.

    Non c’era bisogno di loro per capire che questo Paese è precipitato nella barbarie.

    Le fabbriche chiudono, e l’opposizione si occupa delle sue poltrone e delle altrui puttane.

    Si attacca l’unità dello Stato e l’opposizione si occupa delle sue poltrone e delle altrui puttane.

    Si cancella la libertà di informazione e l’opposizione si occupa delle sue poltrone e delle altrui puttane.

    Si elimina il servizio pubblico radiotelevisivo, rapinando miliardi di euro ai cittadini, e l’opposizione si occupa delle sue poltrone e delle altrui puttane.

    Si dice con malcelato disprezzo che la Costituzione italiana è carta straccia e l’opposizione si occupa delle sue poltrone e delle altrui puttane.

    Siamo in guerra, ve ne rendete conto? Sveglia!

    1) Secondo la giurisdizione internazionale, il governo legittimo dell’Afghanistan è ancora quello talebano. Dice il generale Fabio Mini, cioé una persona molto lontana dal poter essere definita pacifista. “I talebani non sono semplici terroristi. O meglio non sono soltanto questo: sono anche i rappresentanti del governo legittimo dell’Afghanistan precedente alla guerra. In linea teorica, la loro legittimità sull’Afghanistan si esaurisce con la debellatio, cioè con la loro sconfitta, con la fine della guerra e con l’instaurazione di un nuovo governo legittimo. Ma se gli americani continuano la guerra contro di loro significa che la debellatio non è stata completata, che il governo è un fantoccio degli occupanti e che in sostanza i talebani continuano a combattere giuridicamente in nome di uno Stato che non ha firmato alcuna resa e che non ha cessato di rivendicare la propria sovranità contro l’occupante di turno”.

    2) “Oggi la Costituzione con l’articolo 11 rifiuta la guerra. Dovremmo interpre­tare quel rifiuto alla guerra includendo anche le azioni propedeutiche al creare la pace”, dice il ministro Frattini, perché “qui non si tratta di esercitazioni, bensì di azioni nelle quali davanti a noi ci sono ter­roristi, talebani, insorti ai quali la pace la dobbiamo imporre perché non c’è ancora. La imponiamo con la legittimazione della Nato, dell’Onu, ma parlare di una situazione di pace è come nascondersi dietro a un dito”.
    Frattini dice una cosa giusta e una cosa sbagliata: la Nato approva e legittima la guerra in atto. L’Onu invece no: le Nazioni Unite hanno dato il via libera, un po’ obtorto collo per la verità, ad una missione internazionale di peacekeeping. Oggi invece quella missione non esiste più. Si chiamava “International Security Assistance Force”, e secondo il sito dell’esercito italiano ha il compito di garantire un ambiente sicuro a tutela dell’Autorità afghana che si è insediata a Kabul il 22 dicembre 2001 a seguito della Risoluzione n. 1386 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 20 dicembre 2001. (Authorizes, as envisaged in Annex 1 to the Bonn Agreement, the establishment for 6 months of an International Security Assistance Force to assist the Afghan Interim Authority in the maintenance of security in Kabul and its surrounding areas, so that the Afghan Interim Authority as well as the personnel of the United Nations can operate in a secure environment).

    La missione Isaf è poi passata sotto lo stesso comando che dirige Enduring Freedom, tecnicamente la guerra di invasione dell’Afghanistan, e di fatto, essendo stata completamente snaturata, non esiste più. Il tutto, ovviamente, senza che in Italia fosse fatto un passaggio di discussione parlamentare, che pur sarebbe stato obbligatorio.

    Quindi, secondo il ragionamento dei nostri ministri e della nostra opposizione che forse distratta dalla discussione sulle proprie poltrone e sulle altrui puttane ha subito approvato l’idea di Frattini e La Russa, è lecito combattere in armi un governo e un Paese purché come fine ultimo ci sia qualche cosa di alto e importante, come la pace. Un ragionamento assurdo, paradossale. Perché seguendolo se ne dedurrebbe che chiunque prenda le armi per un fine che lui e i suoi alleati ritengano importante e alto sarebbe legittimato. Lo sarebbe stato Saddam quando ha invaso il Kuwait, lo sarebbe stato Hitler quando ha invaso la Polonia, lo sarebbero stati – se è vero come dicono in molti che dietro le loro armi ci fossero i servizi segreti dell’Est – le Brigate Rosse.

    E noi siam qui, costretti a leggere e ascoltare e vedere in tv non un ragionamento serio sulla paradossale situazione in cui siamo caduti, ma – quando va bene – una discussione sulle proprie poltrone e sulle altrui puttane.

    Forse, quando ci faranno assistere ai combattimenti dei gladiatori e ai leoni che mangiano i diversamente credenti, qualcuno di potente si accorgerà che duemila anni di crescita civile sono stati spazzati via. Sempre che non sia distratto dalle proprie poltrone e dalle altrui puttane.

  • Nessun imbarazzo

    calderoliMaso Notarianni commenta la posizione di Calderoli su peacereporter:

    Siamo forse più imbarazzati oggi, nel leggere le “sensate” parole del ministro Calderoli, di quanto lo siamo stati quando il ministro della Difesa la Russa risprese la nostra idea di mandare i militari nei cantieri per controllare che fossero rispettate le norme sulla sicurezza sul lavoro.
    Allora non se ne fece nulla, di militari nei cantieri non se ne vide traccia. E probabilmente anche di questa ennesima boutade leghista non se ne farà nulla.

    Resta l’imbarazzo di condividere le parole di chi, su quasi ogni argomento (dai diritti al razzismo, dalla scuola al lavoro), è sempre dalla parte opposta. Non di PeaceReporter, beninteso, non ci reputiamo tanto importanti, ma della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
    Poi però l’imbarazzo lo sciolgono le parole dello stesso ministro, è lui a fornirci la chiave di lettura: “Sull’Afghanistan la stragrande maggioranza degli italiani la pensa come Umberto Bossi”.
    Noi preferiamo pensare al contrario: la Lega, unica realtà politica con una struttura organizzata in grado di captare gli umori della gente, si è accorta con qualche anno di ritardo che agli Italiani la guerra fa schifo.

    Vi ricordate quando si pubblicavano i sondaggi su questo tema? L’Italia era il Paese che, più di tutti al mondo, pensava che la guerra non la si dovesse fare mai. L’ottanta, il novanta percento degli italiani questo dicevano.

    E la Lega, unica realtà politica presente davvero sul territorio, di questo si è accorta. Sicuramente c’è una fetta di italiani che non vuole i nostri militari in Afghanistan per questioni, diciamo, egoistiche. Tradotto in lingua leghista: “Che ci facciamo tra quei baluba? Trogloditi sono e trogloditi rimarranno, non ne vale la pena”.
    Non a caso nelle parole di Calderoli e dei leghisti si insiste tanto sulle risorse: “inutile sperperar quattrini per un branco di selvaggi”, è il ragionamento fatto in lingua padana.

    Ma noi siamo certi che questi siano una piccola minoranza. E che la stragrande maggiornaza del paese sia semplicemente contro la guerra per buonsenso. Perché la guerra è uno strumento inutile, anzi dannoso. E perché con i soldi spesi in missioni di guerra, pardon, in missioni diversamente di pace, gli italiani lo sanno, si potrebbero fare cose straordinarie, sia in Afghanistan sia qui da noi.

    In conclusione, nessun imbarazzo. Perché sappiamo di essere nel giusto. E sappiamo di interpretare le idee degli italiani sulla questione della guerra, della pace e delle risorse buttate in missioni diversamente difensive da molti anni prima del ministro Bossi e dei suoi.

  • Copyright

    Matarrese e le celle negli stadi

    Matarrese e le celle negli stadi

    Vignetta di Mauro Biani.

  • Cose nere

    afrika corps dall'espressoL’Espresso ci svela oggi cio’ che dalle immagini dei ruderi di Nassirya già sapevamo. Esiste, nelle forze militari italiane, una inquietante preferenza per simbologie appartenute ai regimi fascisti e nazisti. E non solo per le simbologie, anche per le parole, e i fatti. Fatti come quelli di Genova. Sì perchè, come si è discusso venerdì scorso al Cafè de la Paix, la militarizzazione delle forze di polizia (Carabinieri per primi, ma anche progressivamente la Polizia) sta portando ad una diffusione di idee e pratiche che qualcuno pensava chiuse nei libri di storia, ma che purtroppo sono sopravvissute (al tempo e alla condanna della storia) anche nelle nostre caserme. Non so quanto sia marginale questo fenomeno, certo qualcuno dovrebbe e potrebbe fare un po’ di luce…

  • Contro il terrorismo, per i diritti

    Il Forum permanente per la Pace aderisce alla mobilitazione nazionale indetta dai sindacati confederali per il 27 marzo. Fiaccolata a Ferrara alle 20.30 dai Giardini del Castello Estense.

    Forum permanente per la Pace di Ferrara
    25 marzo 2002

    Abbiamo manifestato sabato 23 marzo contro il terrorismo che ha ucciso Marco Biagi, per la democrazia e per i diritti insieme ai 3 milioni di persone che hanno invaso pacificamente Roma.

    E’ stata solo l’ultima tappa percorsa dal Forum Permanente per la Pace verso un mondo diverso e possibile. Un mondo che ripudia la violenza, che sia essa metodo di sovversione delle istituzioni democratiche oppure mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Abbiamo manifestato contro le violenze delle forze dell’ordine a Genova, eravamo in piazza il 12 settembre contro il terrore e poi ancora contro la reazione miope e violenta in Afghanistan e continueremo a manifestare per una soluzione pacifica del conflitto israelo-palestinese.

    Saremo in piazza ancora una volta il 27 marzo a Ferrara, insieme a CGIL, CISL UIL per riaffermare come l’uccisione di Marco Biagi sia un atto gravissimo ed ignobile che offende la coscienza di tutti coloro che hanno a cuore il rispetto della vita umana, la civile convivenza e la democrazia in Italia.

    Anche per questo ci opponiamo con determinazione ai tentativi in atto da parte del governo delle destre di confondere le lotte nonviolente del movimento per la globalizzazione dei diritti e quelle del sindacato, con la violenza terroristica. Chi vuole, con il terrore, togliere la parola a coloro che affermano il diritto al dissenso, pacifico, radicale e democratico non ci fa paura: noi non ci chiuderemo in casa e continueremo ad impegnarci per ampliare la partecipazione dal basso alla costruzione di un mondo diverso e più giusto.

    L’ufficio stampa

    Ferrara, 25.03.2002

  • Appello del Forum permanente per la Pace

    APPELLO AI PARLAMENTARI FERRARESI,
    AI CONSIGLIERI PROVINCIALI, COMUNALI, CIRCOSCRIZIONALI

    Il Forum permanente per la Pace di Ferrara si appella ai parlamentari ferraresi, ai consiglieri provinciali, comunali, circoscrizionali dell’intero territorio provinciale affinchè nei loro diversi ruoli si adoperino per far prevalere nella lotta al terrorismo la logica del diritto sulla guerra, della giustizia sulla vendetta.

    Chiediamo loro di portare dentro le istituzioni il rifiuto della guerra e della partecipazione diretta del nostro paese alla guerra in corso in Afghanistan; una guerra che sta producendo vittime civili, milioni di profughi, miseria, distruzione, odio religioso ed etnico. Una guerra che non colpisce le radici del terrorismo. Una guerra dai tempi e dagli esiti estremamente incerti che sta rendendo impossibile portare aiuti umanitari alle popolazioni civili e sulla quale non vi è una informazione chiara e sufficiente, nemmeno rispetto la sua presunta efficacia militare.

    Mentre il terribile inverno afghano è alle porte e l’ONU denuncia il rischio di milioni di morti per fame, freddo e malattie; mentre sarebbe necessario lavorare per il “cessate il fuoco”, ecco che, invece, la guerra si intensifica ulteriormente e l’Italia ottiene, dopo ostinata e miope insistenza, la possibilità di parteciparvi direttamente con armi e soldati.

    Chiediamo a tutti voi che siete nelle istituzioni di non piegarvi alla logica della propaganda di guerra, di non eliminare il pensiero critico, di lavorare per la pace.
    Vi chiediamo di scegliere la politica, non la guerra.

    Forum Permanente per la Pace di Ferrara

    Ferrara, 6 novembre 2001

  • Il Forum continua

    Care amiche, cari amici,

    venerdì 12 ottobre è stato l’ultimo giorno d’attività del Tendone per la Pace di Piazza Castello, ma il Forum permanente per la Pace – nel suo piccolo – continuerà il suo percorso per la costruzione di un mondo migliore.

    In queste intense settimane all’interno del tendone abbiamo acoltato le voci di tanti popoli a cui va il nostro ringraziamento perchè hanno portato a Ferrara la loro testimonianza di pace. E questa testimonianza porteremo a Perugia insieme alle oltre 500 persone che partiranno da Ferrara domenica 14 ottobre. Migliaia di cittadini hanno seguito dal 24 settembre le attività del Forum: a loro va il nostro ringraziamento perchè hanno sancito un successo che mai ci saremmo aspettati.

    Anche per questo abbiamo deciso di continuare a lavorare. Già dalla prossima settimana ripenderemo il cammino di riflessione, confronto e contro-informazione che riteniamo fondamentale in questo tragico momento di guerra. Stiamo cercando un luogo dove mettere insieme, come è stato in Piazza Castello in questi giorni, le nostre esperienze nella certezza che questa primavera, che ci auguriamo sia una primavera di pace, il tendone riaprirà.

    Il sito del Forum permanente per la Pace di Ferrara

  • Nessuna violenza, nessuna rappresaglia

    Nessuna violenza, nessuna rappresaglia

    Riflessione della Federazione provinciale dei Verdi dopo l’attacco agli Usa

    Ora l’Occidente deve dimostrare di essere civile davvero. Violenza, odio, rappresaglia, vittoria guerreggiata non sono termini civili e preparano azioni che nulla hanno di civile. La scelta di applicare l’art. 5 del Patto Atlantico ci porta in guerra e ci trasforma in correi e in bersagli. L’orrore per il terribile attentato che ha colpito gli Stati Uniti non può farci smarrire la ragione e intrappolare il mondo intero in un circolo vizioso e oscuro.
    Coloro che hanno organizzato un crimine così orrendo vanno individuati e assicurati alla giustizia, ad un Tribunale Internazionale. Il terrorismo va combattuto ed eliminato, ma se la risposta dell’occidente sarà l’attacco ad altri paesi, allora avremo perso tutti e la Storia sarà ancora una volta trascorsa invano. Armi e rappresaglie non portano la pace, non l’hanno mai portata. Occorre far prevalere la ragione e la politica. Il mondo così com’è non garantisce più nessuno ed è perciò necessario rifiutare di contrapporre violenza alla violenza, ma interrogarci a fondo e capire come costruire le condizioni per un mondo capace di globalizzare i diritti, il dialogo, la giutizia sociale; capace davvero di integrarsi, di mediare, di svilupparsi assieme. Capace di volere la pace e consapevole che la si ottiene con la non violenza. Dobbiamo riuscire ad isolare ogni fanatismo impedendogli di radicarsi nelle contraddizioni sociali ed economiche che feriscono la terra. Dobbiamo riuscire a risolvere quelle contraddizioni che danno linfa allo stesso terrorismo internazionale per eliminarlo davvero senza colpire, o mettere nelle condizioni di essere colpiti, donne, uomini, bambini, ragazzi. Non vogliamo più vedere qualcuno che gioisce per la morte di altri esseri umani, e non vorremmo nemmeno più assistere alla decimazione di intere comunità nell’indifferenza del mondo.
    Oggi il 20% della popolazione mondiale, concentrato in Occidente, consuma l’83% delle risorse planetarie; nel Sud del mondo 11 milioni di bambini muoiono ogni anno per denutrizione, 1 miliardo e 400 milioni di esseri umani non ha accesso ad acqua di qualità sufficiente alla vita e 1 miliardo e 300 milioni di persone ha meno di un dollaro al giorno per vivere.
    Stanziare migliaia di miliardi per le armi, per la guerra, per organizzare rappresaglie non servirà a riequilibrare il pianeta e a sradicare l’odio