• Intitolazione ponticello ciclopedonale ad Alex Langer

    Piccolo ricordo di Alex Langer

    In ricordo di Alex LangerInnanzitutto mi preme ringraziare la Vulandra che ci ospita questa mattina, l’arci, la Cgil di Ferrara che ci hanno aiutato ad organizzare questo piccolo ricordo di Alex Langer.

    Quando l’anno scorso, a vent’anni dalla scomparsa di uno dei padri dell’ecologismo politico italiano, ci siamo chiesti come ricordarlo degnamente la prima cosa è stata cercare un ponte da intitolargli. Perché Langer, come sapete, era un costruttore di ponti, fra le persone e fra i popoli. Ma quale ponte? Volendo avremmo potuto chiedere di dedicargli il Ponte della Pace, ma era pur sempre stato il ponte dell’impero ed è pur sempre un ponte che serve solo alle auto. Così ci è venuto in mente il ponticello di accesso al Parco urbano. Sì è piccolo, ma forse proprio perché così piccolo pensiamo sarebbe piaciuto a Langer. Ma soprattutto è ciclopedonale e permette di accedere a migliaia di cittadini ogni anno ad un luogo di svago e riposo qual è il Parco Urbano. Il luogo degli aquiloni, delle mongolfiere, ma soprattutto delle corse sui prati dei bambini. Un po’ il futuro di Alex: più lenti, più profondi, più dolci.

    Ci sono volte in cui mi trovo un po’ spaesato a essere definito quello più a sinistra in consiglio comunale. altre volte invece penso al fatto che sono l’unico rappresentante nelle istituzioni della nostra città che raccoglie direttamente l’eredità politica che è stata anche di Alex Langer ed allora dallo spaesamento passo direttamente al senso di inadeguatezza.

    Non ho conosciuto personalmente Langer. Ho cominciato a far politica poco prima del 1995, l’anno in cui ci ha lasciato. Ma ho potuto conoscerlo successivamente, con i suoi scritti e le sue idee. Sono sicuro che Daniele Lugli e Marzio Marzorati a cui lascerò subito la parola sapranno raccontarlo meglio di me.

    Prima però c’è una citazione di Langer che mi piacerebbe ricordare oggi: “Le cause dell’emergenza ecologica non risalgono a una cricca dittatoriale di congiurati assetati di profitto e di distruzione, bensì ricevono quotidianamente un massiccio e pressoché plebiscitario consenso di popolo.”

    Una frase attualissima che oltre a smontare qualsiasi complottismo latente ci riporta da un lato alla responsabilità individuale dell’accettazione di un modello di sviluppo che non conosce il concetto di limite, dall’altra alla responsabilità collettiva di cambiare strada. Una responsabilità individuale che Langer traduceva anche nel suo modo di far politica. 20 anni prima delle polemiche sulla casta Alex Langer rendicontava minuziosamente dove e come spendeva il suo compenso da europarlamentare. Quella che oggi chiamiamo antikasta allora per lui era semplicemente ecologia della politica.

    Una responsabilità collettiva che tradusse in un tentativo, forse utopico, di un soggetto politico ecologista in Italia. Alex Langer fu anche quello che 30 anni fa per primo, riferendosi ai Verdi appena nati, li definì “né di destra né di sinistra”. Una affermazione che crea polemiche oggi, figuriamoci allora, ma che per come la rileggo io oggi, voleva semplicemente significare come l’ecologismo politico non fosse necessariamente inquadrabile nella sinistra italiana così come storicamente individuata nel blocco di ispirazione socialista, ancorato allora (ma in parte anche oggi) alle ideologie ottocentesche ed agli schemi marxisti. Langer scriveva che non necessariamente il pensiero ecopacifista dovesse passare nella cruna del dogma rosso. Perché la sinistra, era – e forse ancora è – legata ai dogmi dello statalismo, del centralismo, dell’industrialismo, del “lavorismo”, e dalla diffidenza verso l’individuo non organizzato (sia economicamente che politicamente, dal lavoratore autonomo al libero pensatore), e dalla diffidenza rispetto ai temi ambientali nella misura in cui mettono in crisi i dogmi precedenti. Ma, e qui stava l’utopia di Langer, lui immaginava una forza politica ecologista e pacifista capace di diventare attrazione, non essere attratta. Purtroppo i Verdi in Italia non hanno mai raggiunto la massa critica per esserlo. Altrove sì. Non ci resta che sperare che qualcuno raccolga il testimone.

  • In ricordo di Alex Langer

    langer-web2Comitato promotore per l’intitolazione del Ponte del Parco Urbano ad Alex Langer

    In collaborazione con
    ARCI FERRARA e VULANDRA
    CGIL Ferrara
    CAMPAGNA OSM di Ferrara

    con il patrocinio del
    Comune di Ferrara

    Sabato 23 aprile 2016
    Ferrara | Parco Urbano Bassani

    Ore 10.00 | Stand di Vulandra
    IN RICORDO DI ALEX
    Introduzione di
    Leonardo Fiorentini consigliere comunale

    Dialogo fra
    Daniele Lugli Presidente emerito del Movimento Nonviolento e Marzio Marzorati curatore del libro “Alexander Langer. Una buona politica per riparare il mondo” (Edizioni Cigno Verde, 2016)

    Saluto di
    Massimo Maisto Vice Sindaco di Ferrara

    Nel corso dell’incontro saranno presentate anche le attività della Fondazione Langer realizzate grazie al contributo della campagna di obiezione delle spese militari (OSM) di Ferrara.

    Ore 12.00 | Ponte ciclopedonale di accesso al Parco Bassani
    CERIMONIA di intitolazione ad Alexander Langer del ponte ciclopedonale di accesso al Parco Urbano di Ferrara.
    Sarà presente il Sindaco di Ferrara Tiziano Tagliani

  • Il ponte di Alex anche a Ferrara

    langerIl ponte di Alex anche a Ferrara
    Più lento, più profondo, più dolce: anche a ??Ferrara? un ponte, rigorosamente ciclopedonale, sarà intitolato ad Alexander Langer.

    A 20 anni dalla morte di uno dei padri dell’ecologismo politico europeo è arrivato ieri l’ok della Giunta comunale dopo la richiesta avanzata da un gruppo di cittadini (me compreso) di intitolare all’ex capogruppo dei Verdi al Parlamento Europeo il ponticello di accesso al Parco Urbano.

    Può sembrare forse un piccolo ponte quello che permette di attraversare il canale di fronte alle mura ed entrare nel Parco Urbano dedicato a Bassani. Ma forse proprio per questo più di altri si avvicina a rappresentare il pensiero di Alex Langer, l’uomo dei ponti, fra le persone e fra i popoli. Perchè lo si può attraversare, lentamente, solo a piedi od in bicicletta. E anche perchè permette ai cittadini ferraresi di accedere ad un luogo di pace, svago e riposo come il Parco Urbano unendo così la città alla sua addizione verde.

    Più lento, più profondo, più dolce diceva Langer.

    Ringrazio l’amministrazione per aver accolto la richiesta e vi rimando a presto per i dettagli sull’inaugurazione.

  • L’altra versione.

    Comincia a girare su internet una nuova versione sull’episodio del rapimento del bambino da parte di una Rom a Ponticelli. Su Radio Radicale un’intervista a Roberto Malini, del Gruppo EveryOne. Non abbiamo elementi per decidere quale sia la verità, certo è che se davvero si dimostrasse una montatura…

    Mentre aspettiamo novità, leggetevi Sofri (Adriano) che su Repubblica cerca di mettere in fila ciò che ci sta circondando…

    “Mi hanno raccontato di un giovane padre il cui bambino ha paura dell’uomo nero. Il padre gli ha detto che non risulta a sua memoria un solo caso di uomo nero, gli ha fatto vedere le statistiche: niente, il bambino ha ancora paura. Chi non s’intenerirebbe a un bambino spaventato dall’uomo nero? Purchè una popolazione di milioni di adulti non pretenda di fare tenerezza anche lei. La xenofobia, si dice, è la paura del diverso, dunque è qualcosa di naturale. Chi non prova un’apprensione, una diffidenza, un’angoscia nei confronti dello sconosciuto? Mah: non ci si crogioli troppo con le etimologie. La xenofobia è anche l’invenzione del diverso, e il disprezzo, l’avversione e la persecuzione del diverso. E’ a un passo dal razzismo, e spesso quel passo l’ha fatto. Gli italiani non sono xenofobi, non sono razzisti? Ah, Padre, non metterci alla prova, non indurci in tentazione. Nel dizionario dei nostri luoghi correnti gli zingari sono associati da sempre al fuoco, al lanciafiamme, ai forni. Figurarsi quando incenerire rifiuti urbani non si può, rifiuti umani magari sì. Tutto in ordine: un commissario speciale ai rifiuti urbani, uno agli umani. Speriamo che qualcuno segua la vicenda della ragazza accusata di voler rubare una bambina a Ponticelli, fino a venirne a capo. Come spiega il padre sull’uomo nero, abbiamo statistiche inesorabili che non contemplano bambini rapiti da zingari: da altri italiani sì.
    I sondaggi freschi danno i “musulmani” retrocessi al quarto posto, dopo zingari, albanesi e rumeni (è già tanto che distinguano fra rom e romeni). Ah, popolo fanciullescamente volubile: abbiamo già declassato, per il momento, lo scontro di civiltà. Davvero, dobbiamo preoccuparci di evocare a vanvera l’antisemitismo dell’infanticidio rituale, la memoria dei pogrom? Mah: direi che sono altre le parole che andrebbero risciacquate: sicurezza, per esempio, sinistra, per esempio. O intere locuzioni, che non si ascoltano più senza ridere: radicarsi nel territorio, per esempio. La Lega ha messo tutti in soggezione grazie alla sua prova di Radicamento nel Territorio. Ma in una classifica neutrale della materia c’erano, sia detto senza offesa, modelli più rigogliosi, non so, Hamas, radicata nella striscia di Gaza, la camorra, la mafia, la ‘ndrangheta. Perfino la democrazia, obbligata a ratificare gli esiti elettorali del radicamento nel territorio, conosce le sue eccezioni, come negli scioglimenti prefettizi di amministrazioni comunali dove si esagera col radicamento. Ci sono posti nei quali viene da augurarsi un certo sradicamento dal territorio: guardate Roberto Saviano, che ha scavato così a fondo alla ricerca delle radici da dover vivere altrove, invidiato, minacciato e braccato. La Lega, quando si proclamò padana, dichiarò stranieri tutti gli altri.
    Non è piacevole dirlo, ma il succo delle elezioni sta in un’espulsione, un rigetto della classe politica di centrosinistra dalla pancia del paese. Un caso di rocambolesca xenofobia. Del resto la posta ultima della lotta politica fu dall’antico questa: l’esilio degli altri. Bisogna pensarci, quando si pronuncia la frase celebre: “Io me ne vado all’estero”. Non lo prendete troppo per un paradosso. Un segnale lo dava il linguaggio, che trattava all’ingrosso da clandestini migranti stranieri e politica di centrosinistra: “Rimandiamoli a casa” e vaffanculo. Nel caso di Veltroni, più precisamente: “Rimandiamolo in Africa”. Così disse Berlusconi, e questo fa somigliare la sbandierata cordialità del suo dialogo attuale a una pratica di diplomazia estera. Lo ridico: non prendetelo per uno scherzo. Il centrodestra non ha fatto granché, nel biennio fra le due elezioni, per meritare il suo trionfo. Ha fatto tutto la coalizione di governo, compresa la sua componente che fa le veci della destra, che si trattasse, all’interno della maggioranza, di guidare una crociata sull’indulto (sicchè il centrodestra beneficiò doppiamente dell’indulto, per le modalità convenienti che aveva dettato, e per il ripudio popolare del governo) o che si tratti, all’interno dell’opposizione, di rivendicare la trasformazione dell’immigrazione “clandestina” in reato penale, come vuole Di Pietro, forte di quaranta parlamentari graziosamente regalati da un Pd sulla cui groppa piantare banderillas quotidiane. Quel che resta del centrosinistra deve chiedersi come mai sia stato solo lui il bersaglio colpito dal giustizialismo allevato in seno, dalla cosiddetta antipolitica, dalla stessa travolgente denuncia della Casta. Il rigetto pressochè viscerale, esistenziale, della classe dirigente di sinistra si è manifestato con la stessa insofferenza animalesca che prorompe contro gli “stranieri”. Quella classe politica, alla maggioranza degli italiani, ha finito per apparire come un corpo estraneo, da espellere, sul quale sfogarsi e trarre vendetta. Come è potuto succedere? Rispondere, farebbe fare un passo avanti. Ci sono due ordini di questioni. Uno fornisce una piccola consolazione alla disfatta della sinistra, ed è l’argomento della moneta cattiva che scaccia la buona. L’altro condanna la sinistra (tutte le sinistre, dal centro all’estrema) a riconoscersi in un’immagine sfigurata. La questione, realissima e poi metaforica, della xenofobia è per ambedue quella dirimente.
    La moneta buona. Tanti anni fa, facendo tesoro di una complicazione come quella sudtirolese-altoatesina (luogo di frontiera, crogiolo di nazionalità e minoranze e lingue, deposito storico di contese acerrime) Alex Langer e i suoi perseguirono per primi un programma federalista, europeista, nonviolento, premuroso verso le piccole patrie e l’orizzonte planetario. Le tappe di quell’impegno furono scandite dal primo “ecopacifismo”, dal rifiuto coraggioso del censimento etnico, dall’apertura internazionale ai diritti umani. La paziente e delicata anticipazione federalista, locale e globale -i nomi non c’erano ancora- di Langer si volse nel giro di pochi anni (gli anni della Jugoslavia, e di un arrivo così rapido e ingente di migranti in Italia da mutarne la fisionomia demografica e storcerne lo stato d’animo, come una sinistra imbambolata non volle vedere) nella versione leghista degli stessi temi, con la differenza che separa, e anzi oppone, una porta che si apre da una che si chiude. Federalismo, secessione, macroregione, xenofobia e, non di rado, razzismo furono la nuova moneta -anche il colore verde ne fu confiscato. La sinistra tradizionale in tutte le sue componenti, travolta da vicende internazionali e interne sempre subite e mai anticipate, dall’89 a Mani Pulite, non fece altro, lungo tutto questo tumultuoso volgere di tempi, che provare a galleggiare, spesso ai danni del vicino di naufragio, e rincorrere di volta in volta le occasioni con un cambio di ragione sociale. La nascita del Pd è ancora in bilico: fra l’ennesimo mutamento di ragione sociale, e una svolta vera, comunque di lunga lena. Ora, la domanda è se in tempi di precipitosa mutazione degli equilibri mondiali, di crisi di modi di produzione e di pensieri, di terremoti di vecchie identità, la moneta cattiva sia inevitabilmente destinata a scacciare la buona. La storia del Novecento sembra indurre alla risposta pessimista. Naturalmente, ci si guarderà dal concluderne che le responsabilità delle persone e dei gruppi siano irrilevanti. Perchè in ogni caso perdere si può, e può perfino essere la sorte più onorevole: ma finire invisi a una larga maggioranza di propri concittadini come stranieri in patria -come gli incolpevoli zingari italiani di cittadinanza, cui la brava gente, anche quella che si contenta di non dar loro fuoco, intima di tornarsene a casa loro…- questo ha bisogno di una speciale spiegazione. Agli eredi di centrosinistra della Prima Repubblica era rimasta, passato l’inganno della diversità antropologica, un’aura residuale di miglior professionalità, e anche di un più retto cinismo, per così dire. Le avventure della coalizione hanno distrutto anche questo resto. In cambio, hanno instillato nella maggioranza degli italiani la sensazione da bava alla bocca di un modo di essere di vivere e di esibirsi che ne faceva desiderare la cacciata ben più che la vittoria degli altri. Ne vedremo, ne vediamo già delle belle. Berlusconi promette tante libertà, e tante se ne prende, e intanto un suo avvocato difensore vuole intestarsi il reato di immigrazione clandestina e l’espulsione di qualche centinaio di migliaia di badanti. Troppa grazia. Ma tutto questo non ha impedito che la famosa Casta designasse pressoché solo la consorteria umana del centrosinistra e della sinistra, che la testa di Pecoraro Scanio venisse portata -metaforicamente, grazie a Dio- sulle picche dai sanculotti, e che l’estromissione di un ceto politico apparisse come una pulizia etnica. Quando il mercato premia la moneta cattiva, si può fare a gara con i cattivi coniatori, battendo monete appena un po’ meno fasulle; oppure fare altro, se si è capaci. Se non se ne sia capaci, almeno dissociare la propria responsabilità dal fuoco alle baracche, così, perchè un giorno i propri nipoti…”