Soprabito nero
Dal sito di Amnesty Italia.
Musica e diritti umani: Carmen Consoli vince il Premio Amnesty Italia 2010 con il brano “Mio zio”
Carmen Consoli è la vincitrice dell’ottava edizione del Premio Amnesty Italia, indetto nel 2003 dalla Sezione Italiana di Amnesty International e dall’Associazione culturale Voci per la libertà per premiare il migliore brano sui diritti umani pubblicato nell’anno precedente.
La premiazione di Carmen Consoli avrà luogo a Villadose (Rovigo), nel corso della serata finale della tredicesima edizione del concorso musicale dal vivo “Voci per la libertà – Una canzone per Amnesty”, in programma dal 22 al 25 luglio.
“Certo, sono onorata e felice di questo premio” – ha dichiarato Carmen Consoli. “Appoggio Amnesty International ogni volta che posso, nelle sue battaglie, nell’etica e nell’idea di persona che difende e promuove. Ma ringrazio Amnesty International per l’assegnazione di questo riconoscimento soprattutto per una ragione: gli abusi sui minori si consumano in famiglia, molto in famiglia, troppo in famiglia. La famiglia è il luogo fisico e ideale nel quale dovremmo trovare sempre rifugio e protezione e invece diventa troppo spesso il teatro di mostruosità, un teatrino che tendiamo a nascondere dietro il perbenismo, l’ipocrisia, la menzogna, a discapito ancora di chi non sa e non può difendersi. Parlarne, parlarne tanto e apertamente è il modo migliore per sgretolare questo teatro dell’orrore. Grazie, Amnesty, per dare un megafono al grido di dolore dell’innocenza perduta!”
“Il brano ‘Mio Zio’ di Carmen Consoli è una canzone che fa gelare il sangue nelle vene” – ha affemato Christine Weise, presidente della Sezione Italiana di Amnesty International – “con un’ironia crudele è capace di farti sentire la sofferenza e l’impotenza della bambina violata, la solitudine e la vergogna delle tante bambine che non ricevono aiuto perché i loro aguzzini sono uomini perbene, al di sopra di ogni sospetto in una società abituata ad addestrare ‘brave bambine’, docili, gioiose e disponibili e che faticano a conquistarsi un’autentica libertà. È ora di riconoscere che la violenza di genere è la violazione dei diritti umani più diffusa nel mondo, che donne e bambine hanno bisogno di solidarietà nel loro cammino verso l’autodeterminazione vera. La canzone di Carmen Consoli può dare coraggio e consapevolezza”.
Ulteriori informazioni
Prima di Carmen Consoli hanno vinto il Premio Amnesty Italia: Daniele Silvestri (“Il mio nemico”, 2003), Ivano Fossati (“Pane e coraggio”, 2004), Modena City Ramblers (“Ebano”, 2005) Paola Turci (“Rwanda”, 2006), Samuele Bersani (“Occhiali rotti”, 2007), Subsonica (“Canenero”, 2008) e Vinicio Capossela (“Lettere di Soldati”, 2009).Gli altri nove brani in concorso quest’anno erano: “Carovane” (Sergio Cammariere) “Anja del settimo cielo” (Grazia Di Michele), “Date a Cesare” (Dolcenera), “Parole che fanno bene” (Niccolò Fabi), “A sangue freddo”, (Il Teatro degli orrori), “Scappa” (Piotta), “Tancredi e Clorinda” (Radiodervish), “Non possiamo chiudere gli occhi” (Eros Ramazzotti) e “Donna che parla in fretta” (Marina Rei).
Della giuria che ha selezionato le proposte pervenute alla segreteria di Voci per la libertà, hanno fanno parte: Giò Alaimo (il Gazzettino), Roberta Balzotti (Televideo Rai), Alessandro Besselva Averame (Mucchio), Ugo Coccia (Rai International), Cinzia Fiorato (TG 1), Gianmaurizio Foderaro (Rai Radio 1), Federico Guglielmi (Rai Radio 1, Mucchio, Audioreview), Michele Lionello (Voci Per La Libertà), Enrico Maria Magli (Radio 1, Deejay TV), Carlo Mandelli (QN – Quotidiano Nazionale, Il Giorno), Riccardo Noury (portavoce di Amnesty International), Valeria Rusconi (Repubblica, Espresso), Giordano Sangiorgi (Meeting degli Indipendenti), Renzo Stefanel (Rockit), Christine Weise (presidente di Amnesty International) e Savino Zaba (Rai 1, Radio 2).
La diaz, le molotov e la giustizia in via di prescrizione
Ricordo abbastanza bene la notte di sabato 21 luglio. Eravamo appena tornati in pullman a Ferrara, c’era anche una piccola delegazione ad accoglierci, come i reduci dopo la guerra. Difficile andare a dormire, un giro in piazza, una birra, forse due. Poi a casa. Era l’una, forse le due, quando ricevo una chiamata da un amico milanese, rimasto a Genova: “sai che stanno faccendo? stanno massacrando persone alla Diaz”.
La mia risposta fu quella di chi ad un certo punto della giornata aveva anche valutato di restare a genova (e dormire alla Diaz) ma che era già contento di aver riportato a casa tutti interi i due pullman ferraresi, e che aveva bisogno di qualche ora ancora per decifrare meglio quello che era accaduto nei precedenti quattro giorni genovesi. Di quella risposta mi pentii già il giorno dopo.
Così altre telefonate: “ma è vero che là dentro c’erano spranghe e moltovov?”, “ma che è successo?”, “siamo sicuri che non ci fosse niente?”. Io che alla Diaz e al Media Center in quei giorni ci avevo passato parecchie ore, fra esercitazioni di pratica nonviolenta e aggiornamenti di siti internet, cadevo dalle nuvole. Per un attimo ho pensato di essere stato troppo ingenuo: mai visto spranghe, nè persone propense ad usarle: i black block apparirono improvvisamente venerdì mattina nelle vie genovesi (più o meno come il blocco studentesco a Piazza Navona) per poi scomparire il sabato dopo pranzo, senza mai averli visti girovagare nei forum e nei luoghi d’accoglienza. Figuriamoci poi le molotov.
Poi si scopre degli attrezzi del cantiere a fianco “rubati” all’impresa, gli assorbenti esibiti come arma, la storia della molotov. Poi le foto della palestra insanguinata, le immagini dell’irruzione, i filmati di tutti i pestaggi gratuiti di quei giorni.
E tutto comincia a delinearsi meglio. Come la coscienza di essere stato testimone della più grande violazione sistematica dei diritti umani avvenuta in europa dal secondo dopoguerra.
Oggi, forse, il primo passo verso una giustizia impossibile da ottenere, causa prescrizione.
L’hub dei diritti…
Era il settembre dell’88, un (quasi quinto di) secolo fa, quando mi ritrovai nello stadio di Torino ad alzare per la prima volta il pugno verso il cielo. Peter Gabriel stava cantando Biko, canzone dedicata otto anni prima al leader nero morto nel 77 nelle carceri sudafricane. Era il mio primo concerto: la tappa italiana del tour Human Rights Now! di Amnesty, per intenderci meglio quello del ballo di Sting con le Madres de Plaza de Mayo. Era il quarantennale della dichiarazione dei diritti dell’uomo, in sudafrica c’era ancora l’apartheid, il muro divideva Berlino in due, ed in Birmania c’erano sempre i militari. Oggi, leggiamo su Repubblica.it, Peter Gabriel tramite l’organizzazione Witness ha lanciato un Hub dei diritti. Per semplificare si tratterebbe di uno youtube dedicato alla denuncia e all’azione sui Diritti Umani, con la possibilità di attivare azioni e petizioni on line. Non è un’idea originalissima, ma Gabriel merita un in bocca al lupo. In prima pagina, almeno lì, la situazione birmana.