Responsabilità oggettiva
La responsabilità oggettiva, così come viene interpretata dal regime birmano:
La dissidente premio Nobel per la pace, agli arresti domiciliari, è gravemente malata
E’ accusata di aver favorito l’ingresso di un cittadino Usa, arrivato a nuoto nella sua residenza
Birmania, incarcerata Aung San Suu Kyi per la violazione dell’attivista americanoRANGOON – La leader democratica e premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi è stata condotta in un carcere dove rischia di essere incriminata per l’intrusione di un americano la settimana scorsa nella casa dove è tenuta in isolamento dal 2003 a Rangoon, secondo quanto hanno riferito testimoni.
Pochi giorni fa i collaboratori della leader dell’opposizione avevano lanciato l’allarme per le sue deteriorate condizioni di salute, appellandosi alla comunità internazionale perché facesse pressione sul regime birmano affinché permettesse al medico della Suu Kyi, anch’egli incarcerato, di visitarla. La donna, dicono fonti a lei vicine, è gravemente disidratata e indebolita e la carcerazione rischia ora di aggravare le sue condizioni.
Le misure di sicurezza erano state considerevolmente rafforzate all’alba intorno alla residenza del Nobel, ormai sessantatreenne, che è stata privata della libertà per la maggior parte degli ultimi 19 anni, da 6 anni agli arresti domiciliari. Un convoglio della polizia che trasportava la Suu Kyi ha lasciato la sua casa alle 7 del mattino (le 2.30 in Italia) per recarsi al carcere di Insein dove ha sede un tribunale. Pochi minuti dopo il convoglio è arrivato nel centro di detenzione, situato nella periferia di Rangoon.
Aung San Suu Kyi e le sue due collaboratrici domestiche sono “detenute nel carcere”, ha dichiarato Nyan Win, portavoce della Lega nazionale per la democrazia, principale partito d’opposizione in Birmania. Le autorità “hanno preparato un fascicolo” giudiziario e la oppositrice “non può tornare a casa sua” ha aggiunto il portavoce. Il processo è stato rinviato a lunedì 18 maggio.
Se verrà riconosciuta colpevole, insieme a un domestico e al suo medico, di aver ospitato in casa sua per tre giorni il cittadino americano, la leader della Lega nazionale per la democrazia rischia da tre a cinque anni per visita non autorizzata. La precedente condanna di Suu Kyi scade il prossimo 27 maggio.
Proprio una settimana fa, il regime dei generali aveva reso noto l’arresto di un cittadino statunitense, John Yettaw, che aveva raggiunto la casa della Suu Kyi attraversando a nuoto il lago che la costeggia e vi è restato per due giorni. Anche per lui sono scattate le misure detentive. Poche notizie sono filtrate sulla rocambolesca intrusione che è stata rivelata dalla giunta militare.
Liberate Nay Phone Latt e Zarganar
Ho aderito a quest’appello lanciato da Reporter Senza Frontiere. Se la parola “Birmania” vi dice ancora qualcosa, fatelo anche voi…
Free them before 2028 and 2067!
Nay Phone Latt, a 28-year-old blogger and owner of two Rangoon Internet cafés, was sentenced to 20 years and six months in prison on 10 November 2008 after being caught with a film regarded as subversive by the military government. He is not due to be freed before 2028.
After being sentenced to 45 years in prison on 21 November 2008 for criticising the regime in his blog, which was widely read by Burmese in Burma and abroad, comedian Zarganar was given an additional 14-year sentence six days later for unspecified offences. He is not due to be freed until 2067.
Both of them are being held in remote prisons with very poor sanitary conditions far from Rangoon, where their families live.
These two bloggers have been the victims of sham trials staged by the military regime. The attention of the international community, including UN secretary-general Ban Ki-Moon’s special envoy Ibrahim Gambari, needs to be mobilised if they are to be released.
Liberate Nay Phone Latt.
Vignetta di Mauro Biani.
Leggi anche: Peacereporter, Reporters sans frontière, il blog di Nay Phone Latt.
dalla birmania…
Toh, una notizia dalla Birmania (ops, myanmar).
Rangoon, 14:38
BIRMANIA: AUNG SAN SUU KYI DA 3 SETTIMANE RIFIUTA CIBOAung San Suu Kyi, leader dell’opposizione nel Myanmar, ha intrapreso un seppur parziale sciopero della fame. La notizia e’ giunta dagli ambienti del suo partito Lnd, la Lega Nazionale per la Democrazia, secondo cui la 63enne dissidente non violenta da tre settimane non accetta le razioni alimentari quotidiane che le sono passate dal regime dell’ex Birmania, unica fonte di nutrimento alla quale ha accesso, consumandone soltanto una minima porzione: una decisione estrema per protestare contro il suo stato di detenzione arbitraria che dura ormai da diciannove anni, gli ultimi cinque dei quali trascorsi agli arresti domiciliari nella modesta villetta di Suu Kyi alla periferia di Yangon, la vecchia capitale birmana gia’ nota come Rangoon. In una nota della Lnd si esprime ansieta’ per la sorte della vincitrice del premio Nobel per la Pace 1991: “Noi e il popolo birmano siamo molto preoccupati per la sua salute. Le autorita’ che l’hanno segregata ingiustamente sono responsabili della sicurezza di ‘Daw’ Aung San Suu Kyi, e della sua sopravvivenza”, prosegue il comunicato, in cui al nome dell’oppositrice e’ premesso un titolo reverenziale molto in uso nel Paese asiatico. Nei giorni scorsi la leader democratica aveva rinunciato anche alle uniche occasioni che le erano state concesse per incontrare persone diverse dai soldati suoi carcerieri. Oltre al generale Aung Kyi, il ministro del Lavoro nominato dalla giunta militare del Myanmar come ‘ufficiale di collegamento’ con lei, ancora prima aveva rifiutato di vedere persino l’inviato speciale delle Nazioni Unite, Ibrahim Gambari. Gli unici incontri di Suu Kyi sono stati con il suo avvocato, tre volte nell’ultimo mese, e con un medico per un controllo generale.
Da Repubblica.it.
L’hub dei diritti…
Era il settembre dell’88, un (quasi quinto di) secolo fa, quando mi ritrovai nello stadio di Torino ad alzare per la prima volta il pugno verso il cielo. Peter Gabriel stava cantando Biko, canzone dedicata otto anni prima al leader nero morto nel 77 nelle carceri sudafricane. Era il mio primo concerto: la tappa italiana del tour Human Rights Now! di Amnesty, per intenderci meglio quello del ballo di Sting con le Madres de Plaza de Mayo. Era il quarantennale della dichiarazione dei diritti dell’uomo, in sudafrica c’era ancora l’apartheid, il muro divideva Berlino in due, ed in Birmania c’erano sempre i militari. Oggi, leggiamo su Repubblica.it, Peter Gabriel tramite l’organizzazione Witness ha lanciato un Hub dei diritti. Per semplificare si tratterebbe di uno youtube dedicato alla denuncia e all’azione sui Diritti Umani, con la possibilità di attivare azioni e petizioni on line. Non è un’idea originalissima, ma Gabriel merita un in bocca al lupo. In prima pagina, almeno lì, la situazione birmana.
Silenzio birmano
“Carissimi, le parole vengono meno. Queste foto di un monaco assassinato sono state prese in segreto in un obitorio. Pensate quanti molti altri hanno subito lo stesso destino. Vi prego, diffondete queste fotografie a più gente possibile, perché il mondo sappia che c’è bisogno di molto più che a semplice condanna di questi bastardi [della giunta]”. Questo il messaggio che accompagnava due foto inviate ad Asianews. Le linko, con un avvertimento: sono foto forse non adatte ad essere pubblicate, fermarsi alla prima dovrebbe bastare, forse. Però è necessario rompere il silenzio. Ecco le foto.
Le notizie della settimana
Mentre in Birmania non mi pare si stia meglio nonostante sia tornato quel bell’alone di silenzio caratteristico dei luoghi lontani, nel Kurdistan iracheno, se possibile, si sta pure peggio: i curdi attaccano i Turchi, i Turchi bombardano i curdi e l’Iraq non aspettava altro per scaricarli. In Pakistan non si sta certo bene, in Polonia scopro che Presidente e Capo del Governo sono fratelli gemelli ed in Svizzera sta per vincere Blocher (sì, quello delle pecore nere).
E poi ci lamentiamo se la fontana di Trevi diventa rossa…
Qualche kilometro di pace
Bella giornata domenica. Tanta gente e bel clima generale. Pioggia evitata, il vantaggio di avere al proprio fianco dagli scout ai monaci buddhisti.
Qui in galleria un po’ di foto.
Non lasciamoli soli
Ricevo, e con piacere riporto, il comunicato stampa di Amnesty International Gruppo di Ferrara, Camera del Lavoro CGIL di Ferrara, Legambiente Circolo “il Raggio Verde”, Movimento Nonviolento Ferrara, Pax Christi Ferrara, Rete Lilliput Nodo di Ferrara per le iniziative ferraresi a sostegno del popolo birmano.
Non lasciamoli soli
Tanti fili legano anche la città di Ferrara con la Birmania. Ne elenchiamo alcuni.
Il più che decennale impegno del gruppo di Amnesty International, che aveva anche adottato Paw U Tun, prigioniero per motivi di opinione e leader studentesco durante le proteste dell’88; l’impegno di un paio di campagne di rete Lilliput, che ha chiesto con successo ad una importante azienda tessile italiana di sospendere le attività nel paese, finché la giunta controlla l’economia e per qualsiasi attività occorre trattare coi generali; sono inoltre note le diffuse violazioni dei diritti dei lavoratori (compreso l’uso diffuso del lavoro forzato) cosa che vede impegnati i sindacati anche a livello internazionale.
Non mancano gravi questioni ambientali, dal taglio delle foreste primarie ed il contrabbando del legno, i rifugiati ambientali o legati alle attività estrattive delle multinazionali del petrolio, e le conseguenti campagne delle associazioni ambientaliste.
E’ evidente, oltre a singole iniziative passate, il legame ideale dei sostenitori del Movimento Nonviolento, di tutti gli attivisti per i diritti umani, dei praticanti buddisti (peraltro tradizionalmente sensibili ai temi della pace), con l’opposizione democratica Birmana, la leader Aung San Suu Kyi, da sempre al centro dell’attenzione, e la forza della spiritualità e della nonviolenza opposta alla ferocia delle armi.
La situazione
Seguiamo con apprensione lo sviluppo della situazione. Esprimiamo la nostra solidarietà alle famiglie delle vittime di questi giorni e dei passati decenni di regime, ed ai monaci e ai democratici birmani che si oppongono alla giunta, nota per i suoi metodi feroci, forti solamente della loro determinazione e voglia di libertà e democrazia.
Non sappiamo se l’opposizione democratica e nonviolenta prevarrà. Siamo però certi che senza l’attenzione e la pressione dell’opinione pubblica internazionale le speranze sono poche. Per questo, come già in passato, non distoglieremo l’attenzione.
Non lasciamoli soli, soprattutto quando, inevitabilmente, si spegneranno i riflettori.
Non si tratta solamente di una testimonianza simbolica: molto si può fare, se –per fare un solo esempio- l’esercito Birmano, nonostante l’embargo, può ricevere tramite semplici triangolazioni armi dotate di strumentazioni e componenti prodotti in vari paesi europei, Italia compresa.
Cosa si può fare
Saremo presenti il 6 e 7 ottobre (in concomitanza col festival di Internazionale) con un banchetto a tema, con appelli da firmare, la possibilità di aderire ad una foto-petizione, ed altri e possibilità di testimonianza, simbolica e non, di solidarietà ai monaci ed alla popolazione di Myanmar. Il banchetto si troverà, dalle 16 alle 19, all’inizio di via San Romano (salvo eventuale spostamento in luogo ancora più centrale).
Inoltre segnaliamo, e chiediamo a tutti i cittadini di sottoscrivere gli appelli e sostenere le iniziative già avviate: in particolare l’appello di Amnesty International per la liberazione degli almeno 300 cittadini imprigionati in seguito alle recenti manifestazioni (vedi www.amensty.it),
e quello di Cisl, Greenpeace, Legambiente, WWF (vedi www.greenpeace.it/birmania), che rivolge diverse specifiche richieste all’UE, al governo ed alle imprese.
Invitiamo chi volesse essere informato o partecipare a seguire il sito http://perlabirmania.volontariatoferrara.org
Amnesty International Gruppo di Ferrara, Camera del Lavoro CGIL di Ferrara, Legambiente Circolo “il Raggio Verde”, Movimento Nonviolento Ferrara, Pax Christi Ferrara, Rete Lilliput Nodo di Ferrara
Guardare fino in fondo
Guardate tutto. Fino alla fine.
Scandalo in consiglio comunale…
Oddio, succede spesso. Ma stavolta è clamoroso. L’opposizione (Forza Italia, Aenne e IoamoFerrara) ha votato contro la discussione in via d’urgenza in Consiglio Comunale a Ferrara di due mozioni di solidarietà con la popolazione birmana. L’avevano presentate i Verdi e l’Ulivo. Manco hanno avuto il coraggio di motivarlo (il voto), di solito si trincerano dietro al fatto che non bisogna perdere tempo a parlare di temi non locali. Salvo poi presentare documenti sulle foibe, di solidarietà ai vertici della Guardia di Finanza o sull’abbigliamento in Consiglio Comunale.
Perché diciamo grazie ai monaci del Myanmar
Ricevo questa lettera di Daniele Lugli sulla lezione dei monaci birmani. Mi pare vada pubblicata…
“In questi giorni molti si interrogano su come non lasciare soli i monaci e i cittadini birmani che lottano in modo nonviolento per un’esistenza libera e dignitosa. Credo che in primo luogo vada espressa la nostra gratitudine perché loro non ci hanno lasciati soli. Ci indicano una strada per uscire dalle strettoie, dai riti della politica e dell’antipolitica, urlati da differenti pulpiti, palchi e teleschermi, con scomuniche e invettive reciproche.
L’ascolto, la parola, la riflessione, il silenzio, la testimonianza mostrano la loro capacità di incidere in profondità anche nella difficilissima situazione birmana.
I monaci dicono che non si può realizzare né ottenere nulla di buono se non si ha sufficiente pace nell’anima. «Offrire aiuto ad un intero popolo senza abbracciare le armi è un dovere», affermano, «ogni monaco deve essere partecipe e sapersi sacrificare per lenire le sofferenze del popolo dove vive e pratica. Preghiamo perché tutto questo finisca e
Marciano a piedi scalzi. Hanno rovesciato le loro ciotole, perchè non vogliono accettare l’elemosina dai militari: “Io ti rispetto come persona, ma non accetto nulla dalla tua struttura di violenza”.
Manifestano senza bandiere di parte, solo quella con il pavone, simbolo di libertà e democrazia. Hanno rinunciato a segni distintivi per identificarsi nella sofferenza del popolo. Dai loro cortei non si levano slogan e proclami, ma una sola frase, in forma di preghiera: “viva la democrazia”. Non portano cartelli, né striscioni, perchè il loro corpo disarmato è il messaggio.
Nella nostra situazione di grande privilegio non vediamo comportamenti paragonabili da chi si pretende guida spirituale o è chiamato a responsabilità di potere, né comportamenti significativamente migliori ci sembrano provenire da quanti, in modo a volte clamoroso, li contestano.
Siamo grati ai monaci birmani, ai cittadini che li accompagnano e proteggono, perché ci ricordano il valore di un metodo e di scelte sottolineate da due date vicine: 2 ottobre, anniversario della nascita di Mohandas Gandhi, “Giornata internazionale della nonviolenza” indetta dall’ONU, e 4 ottobre, anniversario della morte di San Francesco d’Assisi, patrono d’Italia, ricordato come inventore del presepe piuttosto che come costruttore di pace in tempi di crociate e difensore di ogni forma di vita.
Siamo vicini ai fratelli monaci birmani e li ringraziamo ancora per la loro lotta che fa tanto bene anche a noi, che dobbiamo trovare la forza per liberarci dalle basi militari e dalle bombe atomiche presenti sul nostro territorio, per uscire dai conflitti armati nei quali il nostro paese è coinvolto, per costruire una democrazia degna di questo nome.
Daniele Lugli”
La Birmania, la giunta militare, le sanzioni e le droghe
Questo blog, come tanti altri da oggi si tinge di rosso. E’ ben poca cosa rispetto a quello che bisognerebbe fare per garantire la libertà, e non solo in Birmania. Che bisognava fare, da tempo. Non mi pare che le sanzioni siano la soluzione, non lo sono mai state (in Iraq come in Afghansitan, nello stesso Sud Africa). Colpiscono la popolazione, mentre di solito il Potere riesce sempre a reperire ciò di cui ha bisogno, armi in primis. Se poi alle sanzioni si accompagnano i finanziamenti dell’ONU per la War on Drugs locale (leggi su Fuoriluogo) certamente non si da un messaggio chiaro. Bisognerebbe mettere la Cina di fronte alle proprie responsabilità (e non solo nei confronti del Myanmar), ma non mi pare questa una strada credibile. La pressione internazionale può fare qualcosa, ma purtroppo la partita decisiva si gioca sul posto che è lontano e sconosciuto. Speriamo nelle defezioni e nei dissidi interni alla giunta (intanto sono numerosi i soldati che stanno disobbedendo) e che l’inviato ONU si piazzi fra soldati e monaci. Ma non è facile… Una domanda: l’abbiamo già chiamato l’ambasciatore birmano in Italia a riferire al nostro governo?
PS: ho sentito ieri Maria Latella nello speciale di SkyTG24 dire una cosettina su cui varrebbe la pena riflettere (in primis lei stessa). All’incirca era così: in fondo la situazione in Birmania è simile a quella cinese (e su questo non faccio molta fatica ad essere d’accordo), ma l’exploit economico cinese in qualche modo mette in secondo piano questo problema. Spero fosse solo un incespicare sui propri pensieri, anche perchè nessuno ha mai dubitato della rinascita industriale della Germania nazista.