
Il ritorno della Canapa
IL RITORNO DELLA CANAPA
Giovedì 9 maggio 2019 | ore 18
Circolo Arci Bolognesi
[ingresso riservato soci arci]
Fuoriluogo.it presenta
Canapa Nostra
Proiezione del documentario di
Filippo e Francesco Grecchi
(Italia, 2019, 56 min.)
Dibattito con gli autori e
Leonardo Fiorentini
Direttore di Fuoriluogo
Federico Battistini
Avvocato
A seguire aperitivo
Sono stati invitati a partecipare gli operatori del settore della Canapa della città.
Canapa Nostra è un grido del popolo che vuole verità e giustizia, è la storia travagliata e appassionante di una pianta proibita che ha accompagnato l’uomo nella sua intera storia evolutiva.
Il documentario si divide in tre capitoli:
La storia della cannabis
ripercorre le tappe principali della storia agricola, industriale e legale di questa pianta, dalla preistoria fino al proibizionismo, concentrandosi in particolare sul nostro paese.
Cannabis terapeutica
un percorso chiarificante fatto di testimonianze dirette, per un approfondimento delle terapie a base di cannabinoidi e degli ostacoli che incontra chi vuole curarsi con la cannabis.
Il ritorno della canapa
capitolo conclusivo di un percorso ancora aperto, narra la vicenda del fenomeno cannabis light e illustra le potenzialità della cannabis in ambito industriale e alimentare, tra il ritorno di un’antica tradizione e le nuove scoperte che stanno facendo di questa pianta una risorsa al centro dell’attenzione mondiale, non solo per le sue proprietà terapeutiche.
Il documentario è disponibile su openddb
www.openddb.it/film/canapa-nostra
Ingresso riservato ai soci arci

Cena stupefacente!
Cena stupefacente!
Legalizziamo! Cena di autofinanziamento a base di canapa
Martedì 13 settembre 2016
ore 20,30 presso Scaccianuvole (Via Cassoli 49 a Ferrara)
Menu canaposo
Antipasto: Insalata sativa (insalata verde, radicchio, mele, semi di canapa decorticati, scaglie di grana) con pane alla canapa fatto in casa
Primo: Fior di sativa (pasta alla canapa con crema di zucchine e menta e pepe rosa)
Dolce: Miracolo al cioccolato (mousse di solo fondente con semi di canapa accompagnata da frolla alla canapa)
Coperto, Acqua e vino biologico Montuni (bianco fermo) inclusi
Prenotazioni entro domenica 11 settembre alla mail legalizziamo@taldigg.com
Costo 25 euro a finanziamento della campagna locale di raccolta firme per la proposta di legge per la regolamentazione legale della cannabis
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FB: È ora di legalizzare le droghe
Comitato promotore locale: Radicali, Associazione Luca Coscioni, la Società della Ragione, Forum Droghe, Pluralismo e Dissenso, Gruppo consiliare Sinistra Italiana, Socialisti, Rifondazione, SEL, Possibile
La canapa tessile dà alla testa ai deputati
Articolo sulla legge per la promozione della canapa tessile e alimentare per la rubrica di Fuoriluogo su il Manifesto del 14 ottobre 2015.
L’abolizione del bicameralismo fondata sulla necessità di approvare le leggi più velocemente senza un doppio esame desta qualche preoccupazione visti alcuni casi di attualità. Parliamo di quello che è successo alla Camera dei deputati in relazione al progetto di legge recante il titolo “Norme per il sostegno e la promozione della coltivazione e della filiera della Canapa”. Un titolo più che incoraggiante, ma la soddisfazione è durata lo spazio di un mattino. Infatti è bastato andare a leggersi l’articolato approvato dalla Commissione Agricoltura e inviato alle Commissioni competenti per i pareri dovuti, per scoprire una vera enormità.
Infatti il testo all’articolo 9, primo comma, prevedeva la collocazione in tabella I (quella delle droghe cosiddette pesanti) della “canapa sativa, compresi i prodotti da essa ottenuti, proveniente da coltivazioni con una percentuale di tetraidrocannabinoli superiore all’1 per cento, i loro analoghi naturali…”. Una previsione sconcertante, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale del 2014 e del dibattito internazionale sulle droghe che è orientato verso ben altre direzioni.
Questa norma davvero allucinante era peraltro presente nei numerosi progetti di legge, da cui nasce la discussione, presentati dagli onorevoli Lupo, Zaccagnini, Oliverio e Bianchi nel 2013, prima della sentenza della Corte, quando era vigente la tabella unica di tutte le sostanze stupefacenti prevista dalla Fini-Giovanardi. Ha però destato qualche sospetto in più di un osservatore il fatto che, nonostante il testo sia stato emendato in varie parti durante la trattazione in commissione, nessuno si sia accorto di tale errore che riportava l’orologio indietro, a prima della decisione della Corte Costituzionale che nel febbraio 2014 aveva decretato l’incostituzionalità della legge con il ritorno alla Iervolino-Vassalli che prevedeva tabelle diverse per le droghe pesanti e quelle leggere. E’ addirittura incredibile che neppure i funzionari della Camera si siano resi conto del pasticcio che stava prendendo corpo.
Dopo l’estate il caso è divenuto di pubblico dominio quando in Commissione Affari Sociali la relatrice ha verificato l’incoerenza del nuovo testo unificato rispetto alle attuali previsioni del 309/90. Le reti antiproibizioniste si sono allertate e così Maria Stagnitta presidente di Forum Droghe ha denunciato “una controriforma sul piano penale fatta dalla Commissione Agricoltura in barba alla Commissione Giustizia e al ministro Orlando”. Daniele Farina deputato di SEL preannunciava battaglia in Commissione Giustizia ed altrettanto faceva l’on. Ferraresi del Gruppo 5 stelle. A quel punto i deputati del PD della commissione Agricoltura Oliverio e Terrosi tentavano di ridimensionare il tutto assicurando una modifica “tecnica”, da apportare in seguito all’esame delle altre commissioni.
La scorsa settimana finalmente è arrivato il parere, non tecnicamente ma politicamente tranciante, della Commissione Giustizia che ha richiesto l’eliminazione del comma incriminato. Anche la Commissione Ambiente della Camera ha proposto modifiche, in particolare per evitare l’utilizzo come biomassa delle piante di canapa utilizzate per la bonifica dei siti inquinati. Quindi l’8 ottobre la commissione Agricoltura ha preso atto e modificato di conseguenza il testo.
E’ auspicabile che l’Aula approvi le norme per sostenere una produzione storica dell’Italia eliminando sanzioni e controlli, certificando soltanto la provenienza del seme per garantire la buona fede del coltivatore.
Anche questa vicenda surreale conferma l’urgenza di una modifica radicale della legge 309/90.
(leggi il dossier su canapa sativa su www.fuoriluogo.it)
Debunking the debunker
Le droghe sono già libere, le vogliamo regolamentare?
Bisogna ammettere che l’articolo di John B. pubblicato nella rubrica “doktor debunker” offre una serie di interessanti spunti (anche se da punti di partenza un po’ arretrati) sul dibattito sulla legalizzazione della cannabis. A partire dal titolo, per finire alle conclusioni, questo articolo è quindi un tentativo – rivedibile e perfezionabile, di questo mi scuseranno i lettori – di debunking del debunker.
UN MERCATO GIA’ LIBERO – Non nascondiamoci dietro il dito di Giovanardi, oggi il mercato delle sostanze stupefacenti è un mercato libero nei fatti: chiunque puo’ trovare qualunque tipo di sostanze ovunque si trovi. Le uniche cose sotto controllo sono i prezzi delle sostanze e la loro disponibilità, che sono in mano alle organizzazioni criminali. E non è certo un caso che dall’avvento della tabella unica della Fini-Giovanardi i prezzi dei derivati della cannabis siano progressivamente aumentati per avvicinarsi a quelli di sostanze ben più pericolose, ma più facilmente trasportabili e molto più remunerative per il narcotraffico. Del resto questa è la dura legge del mercato, baby. Quindi cominciamo sgombrando il campo da fraintendimenti, o equivoci più o meno voluti: legalizzare significa regolamentare un mercato che è già liberalizzato.
I COSTI DELLA WAR ON DRUGS – Quindi le droghe sono già libere, nonostante la politica repressiva di oltre 50 anni di War on Drugs, e sono largamente usate nel nostro come in tutto il resto del mondo. Non vorrei dilungarmi troppo sui costi della Guerra alla Droga, che vanno ben oltre il “togliere risorse alle organizzazioni criminali”. Ma recentemente una campagna promossa a livello internazionale ha voluto conteggiare questi costi, e vale la pena di riassumerli sinteticamente così (punti ripresi da Giorgio Bignami, War on drugs, i conti non tornano, Fuoriluogo.it):
- Si sprecano almeno 100 miliardi di dollari l’anno senza effetti significativi sulle dimensioni del narcotraffico (almeno $ 330 miliardi annui) e con una serie di danni collaterali a livello economico e socio-antropologico: infiltrazione capillare delle economie legali, crescente ostilità nei riguardi di chi rispetta le regole…
- Si colpiscono sviluppo e sicurezza. L’escalation della violenza e della corruzione seguita a crescere in modo esponenziale; i danni ai territori e alle popolazioni più deboli e meno sviluppati diventano incommensurabili: per la violazione dei diritti umani, la distruzione di ecosistemi fragili, lo scoraggiamento di investimenti con finalità positive e legittime. L’esempio del Messico è sotto gli occhi di tutti.
- Si favorisce la deforestazione e l’inquinamento, a partire dalle attività di distruzione chimica dei raccolti, che accelerano il disboscamento e la messa a cultura di sempre nuove aree.
- Si crea crimine e si arricchiscono i criminali, non solo fomentando i noti conflitti alla messicana, ma trasformando milioni di cittadini consumatori, altrimenti rispettosi delle leggi e delle regole del vivere civile, in criminali, riempiendo sempre più i carceri di tutto il mondo.
- Si minaccia la salute pubblica, disseminando malattia e morte: in russia si registrano tra gli iniettori di droga di strada oltre l’80% di sieropositivi e malati di AIDS, vedi recente rapporto della Global Commission.
- Si ledono gravemente i diritti umani, come il diritto alla salute e all’accesso alle misure di riduzione del danno, alla privacy, al due process, alla libertà di pensiero e di azione; e questo, punendo in maniera sproporzionata comportamenti che non dovrebbero essere considerati reati e neanche infrazioni; incarcerando a dismisura spesso prima di qualsiasi giudizio; usando trattamenti degradanti sino alla tortura; applicando in alcuni casi la pena di morte; calpestando culture indigene come nel caso della criminalizzazione dell’uso di foglie di coca.
- Si promuove lo stigma e la discriminazione dei consumatori, in particolare per le fasce deboli
Più umilmente in Italia una serie di associazioni impegnate da anni nella proposta di revisione delle leggi sulle droghe hanno presentato poche settimane fa il 3° Libro Bianco sugli effetti della legge Fini-Giovanardi i cui disastri dovrebbero essere sotto gli occhi di tutti. In Italia sui 37.750 detenuti con condanna passata in giudicato, presenti al 27 novembre 2011, ben 14.590 (38,90%) lo sono per violazione della legge sugli stupefacenti. Se sommiamo a questi i detenuti tossicodipendenti in carcere per reati collegati al loro status (piccole rapine, scippi, etc) il conto arriva facilmente al 50%. L’impatto carcerario della legge antidroga è quindi la principale causa del sovraffollamento negli istituti di pena italiani. All’aumento della carcerazione e delle sanzioni amministrative corrisponde un abbattimento dei programmi terapeutici, alla faccia dei proclami di Fini e Giovanardi sul “noi i tossicodipendenti li vogliamo curare”. Migliaia di giovani ogni anno sono privati di patente e passaporto, perchè trovati a fumarsi una canna su una panchina e devono sottostare a controlli per anni e anni, mettendo a rischio non solo la loro vita lavorativa.
LEGALIZZARE VALE UN PUNTO DI PIL – In Italia i costi della repressione sulle droghe ammontano, secondo uno studio di Marco Rossi del 2009 a circa 10 miliardi di euro. Se stimiamo che 2/3 siano legati ai derivati dalla cannabis possiamo quantificare in circa 7 miliardi l’anno l’impatto nell’economia di una legalizzazione e regolamentazione della cannabis al pari del tabacco, fra minori costi per la repressione e imposte sulle vendite. Senza contare la tassazione derivante dall’emersione dell’economia illegale e dell’indotto che tra emersione del lavoro e tassazione dei profitti puo’ far arrivare tranquillamente il valore economico della regolamentazione vicino al punto di PIL.
L’ESEMPIO OLANDESE – Nell’articolo che fornisce lo spunto vengono citati alcuni dati sul consumo di cannabis in Olanda presi da un vecchio rapporto dell’EMCDDA, con un confronto fra il 1997 e il 2006. Oltre al dettaglio di omettere a cosa si riferisse il dato della prevalenza (si trattava dell’uso nella vita nella fascia d’età 15-64), si è evitato di citare il dato immediatamente accanto nella stessa tabella, ovvero come l’uso della cannabis nell’ultimo anno fosse non solo molto più basso, ma pure in calo (dal 5,5 del 97 al 5,4 del 2006). Se poi andiamo a vedere la distribuzione per età, sempre nello stesso rapporto, notiamo come l’uso nell’ultimo anno (che è in effetti il dato che viene usualmente utilizzato per la stima del consumo) sia in calo soprattutto per i più giovani (dal 14,3 all’11,4). Onestà intellettuale mi obbliga a riferire come questi dati siano ampiamente superati. Oggi la prevalenza dell’uso lifetime della cannabis in Olanda è al 25,7% (fonte dati EMCDDA, con l’avvertenza che è cambiato il sistema di campionatura e lo stesso Istituto li utilizza con “parsimonia”, soprattuto per i raffronti con i precedenti) mentre è al 7% quella dell’uso nell’ultimo anno.
L’AUMENTO PROGRESSIVO – Ma, oltre a non aver molto senso imputare l’aumento progessivo del consumo dai primi anni 2000 ad una politica che è iniziata 25 anni prima, questi dati non hanno significato se non vengono confrontati con quelli di un paese a caso che applichi coscientemente la politica internazionale di repressione sulle droghe: l’Italia. Così scopriamo che (dati 2008, qui l’EMCDDA manco li cita gli strabilianti dati di Giovanardi degli anni successivi) in Italia l’uso durante la vita è al 32%, mentre l’uso nell’ultimo anno al 14,3%. Se prendiamo invece un paese, sempre a caso, che ha avviato politiche di depenalizzazione come il Portogallo ritorniamo all’11,7% nella vita e al 6,6% nell’ultimo anno. Insomma, la Legalizzazione certamente non fa aumentare i consumi, e forse li puo’ far diminuire.
LEGALIZZARE? REGOLAMENTARE – In un volume tradotto in italia col titolo “Dopo la War on Drugs” e pubblicato da Ediesse, la fondazione britannica Transform ha ipotizzato, a partire dalle esperienze internazionali, un percorso per la regolamentazione di ogni tipo di sostanza. E’ un libro interessante, che invito a consultare. Serve soprattutto a comprendere come legalizzare significhi regolamentare: oggi un minorenne puo’ acquistare cannabis, senza sapere come è stato prodotta, cosa ci è stato aggiunto, come è stato trasportata e a chi andranno i suoi soldi. E spesso senza conoscere neanche gli effetti della sostanza, o i pericoli derivanti dalle poliassunzioni. Una volta regolamentato, un minorenne non potrà acquistare, ci potranno essere controlli sulla qualità delle sostanze e si potrà informare con un po’ più di serenità sugli effetti delle sostanze, favorendo quindi un uso più consapevole e attivando campagne di informazione come per il tabacco.
AL CONTRARIO – Qui l’esempio olandese ci è utile anche al contrario. L’adozione del Wietpas, ovvero il divieto di vendita ai non residenti e la registrazione dei clienti dei coffeshop, nelle regioni del sud del paese ha infatti provocato un ritorno dello spaccio in strada, la sostituzione del turismo dello sballo col pendolarismo dello spaccio, una forte diminuzione dei prezzi nelle piazze (a confronto con quelli “controllati” nei coffeshop) ed una maggiore disponibilità delle sostanze per tutti, compresi i minorenni utilizzati anche come spacciatori.
IL DIBATTITO SULL’ETICA – Qui non si tratta di dibattere se fumare cannabis sia “eticamente” o “moralmente” più disdicevole che bere alcol. Il dibattito deve essere sul fatto che lo Stato debba o meno arrogarsi il diritto di proibire usi e costumi che non danneggiano gli altri e che danneggiano se stessi meno (zero morti l’anno) che i consumi, perfettamente legali, di alcol (30.000 morti l’anno) o di tabacco (80.000 morti l’anno). Perchè se in questo paese non usciamo in fretta dal vicolo stretto della presunzione di ciò che è “socialmente accettato” sarà difficile contrastare l’evasione fiscale, figuriamoci legalizzare le droghe o garantire le unioni di fatto, o addirittura i matrimoni per gay e lesbiche. Non possiamo poi dimenticare che almeno negli ultimi vent’anni il nostro paese abbia conosciuto una fase di dibattito politico di livello talmente basso da impedire una qualsiasi forma di ragionamento sereno sul tema, e questo è stato subito da un movimento antiproibizionista molto indebolito in questi anni. Non è peraltro un caso che tale quadro politico abbia prodotto la legge Fini-Giovanardi e la Bossi-Fini, due normative criminogene asservite al dogma della “sicurezza”.
MARIJUANA, MITI E FATTI – Diventa più difficile commentare in poche righe argomentazioni come queste: “fanno male, danneggiano il cervello, provocano dipendenza, inducono alterazioni sensoriali e comportamentali che mettono a rischio la vita e l’incolumità degli altri, possono favorire il passaggio al consumo di droghe pesanti…” Si tratta di un compendio di miti sulla marijuana che, presi insieme, meritano un libro. Un libro che per fortuna esiste e che è stato ripubblicato in italiano da Vallecchi. Pur un poco datato aiuta a sconfiggere un po’ di miti sulla Marijuana: Marijuana, i miti e i fatti, di Zimmer e Morgan, è un bel libro, ne consiglio la lettura perchè aiuterebbe un dibattito sereno sui reali effetti dei derivati della cannabis. Per citare testi più recenti, sarebbe sufficiente il testo della Beckley Foundation, che analizza in modo piuttosto esteso la sostanza e i suoi reali effetti (qui una presentazione a cura di Grazia Zuffa, Fuoriluogo). Anche più recentemente molte ricerche (fra queste Tait et al, Addiction, ottobre 2011 e Dregan e Gulliford, “American Journal of Epidemiology”, febbraio 2012) hanno dimostrato come i danni reali del consumo di cannabis siano da considerare modesti anche in caso di un consumo pesante (che certamente non va comunque nè consigliato nè favorito). Qui mi limito ad accennare che non esiste in letteratura uno studio che possa dimostrare la dipendenza fisica dalla sostanza cannabis nell’uomo (esiste una ricerca che dimostra un possibile dipendenza nei topi a dosi da cavallo, il suo curatore, Gian Luigi Gessa è oggi uno degli scienziati più esposti a favore della legalizzazione), per la “cannabis droga di passaggio” basterebbe dire che tutti gli eroinomani hanno cominciato dal latte, ma esistono studi che dimostrano che tale legame non è dovuto alla sostanza, e che anzi l’unico collegamento reale è la commistione dovuta al mercato illegale. Per il resto nessuno ha mai negato che la cannabis abbia effetti, sul corpo come nel cervello. Il problema è comprendere quali siano quelli reali e se siano tali da giustificare la proibizione di quella che, dopotutto, è solo una pianta che ha accompagnato l’uomo da millenni.
LE RICERCHE – Fra l’altro sono numerosissime, ed addirittura alcune di queste accettate pure dal Dipartimento Antidroga italiano, le ricerche sull’uso medico della canapa. Oltre ai noti effetti positivi come sostanza utilizzata nelle cure palliative, per i malati sottoposti a chemioterapia, nella terapia sintomatica della sclerosi multipla, sono in via di accertamento proprietà antitumorali (ad esempio per il tumore prostatico, vedi Indian Journal of Urology e British Journal of Pharmacology).
CONCLUDENDO – Sinceramente chi scrive non sa dove si sposteranno gli interessi dei narcotrafficanti una volta regolamentato legalmente il mercato della canapa in Italia, anche se non disdegnerebbe che la manovalanza del crimine trovasse più vantaggioso e salutare trovare occupazione alla luce del sole in un coffeeshop italiano. So però che almeno le forze dell’ordine non saranno più impegnate in costose retate alla caccia di un paio di piantine di canapa nell’armadio, per essere impiegate per contrastare reati più pericolosi per la società, e che centinaia di migliaia di consumatori potranno liberarsi dal giogo della proibizione. Perchè non è vero che il consumo non sia penalizzato nel nostro paese. Infatti le tabelle ministeriali prevedono un limite talmente basso di principio attivo (500mg per la canapa, ben diverso per la cocaina) che sono innumerevoli i casi di consumatori che, anche per le modalità di consumo della canapa (consumo di gruppo spesso significa anche acquisto di gruppo), risultano sottoposti a procedimento penale e che magari preferiscono patteggiare un fatto di lieve entità con sospensione condizionale, piuttosto che rimanere impigliati per anni nelle maglie del sistema penale italiano. Anche se poi molti finiscono lo stesso in carcere (una stima molto parziale parla di circa il 40% di detenuti per “fatto lieve” sul totale dei detenuti per reati di droga). Per non parlare poi di chi, non volendo finanziare le narcomafie, decide di autocoltivarsi la piantina nel ripostiglio o nell’armadio: questi sembrano diventati negli ultimi anni gli obiettivi privilegiati della repressione, quasi fosse un’aggravante il volersi affrancare dal mercato criminale.
(articolo scritto per Giornalettismo)
Scienza Vs Giovanardi 3 a 0
Giorgio Bignami, per la rubrica di Fuoriluogo sul Manifesto dell’8 febbraio 2012, commenta tre recenti studi sul consumo di cannabis che smentiscono alcuni pilastri del proibizionismo:
In questa rubrica si sono spesso commentati lavori che apparentemente mostravano danni neuropsicologici di lungo termine o aumentata insorgenza di disturbi mentali dopo consumi anche moderati di cannabis. In sintesi, si è sottolineato: 1. come in tali lavori non fosse adeguata la analisi dei fattori confondenti (diversi status economici e culturali, sofferenza psichica non riconosciuta a monte dell’uso di droga, ecc.); 2. come i risultati di studi osservazionali pur ampi e ben controllati siano spesso azzerati, o addirittura capovolti, dagli studi randomizzati in doppio cieco (come è avvenuto nel caso dei trattamenti ormonali di donne in menopausa), studi ovviamente non fattibili nel caso delle droghe. Ora una ricerca australiana (Tait et al, Addiction, ottobre 2011) ha analizzato ripetutamente, lungo l’arco di otto anni, le performance cognitive di oltre 2000 soggetti, inizialmente di 20-24 anni, distribuiti in sei classi a seconda dell’entità del consumo di cannabis e del suo andamento temporale (“antecedente leggero”, “costante leggero”, “antecedente pesante”, “costante pesante”, “solo antecedente”, “mai”). Scontati gli effetti del livello di educazione, del sesso di appartenenza e delle interazioni tra detti fattori tra di loro e con i successivi tempi dei test – una valutazione particolarmente sofisticata dal punto di vista statistico, rispetto agli studi precedenti, questa delle interazioni – tutti i gruppi sono risultati indistinguibili tra loro: salvo un deficit in uno solo dei test (quello che misura il ricordo dell’ informazione recentemente acquisita) nel gruppo “pesanti costanti”; un danno peraltro relativamente modesto rispetto alle caratteristiche, comunque fermamente sconsigliabili, di tale stile di consumo. Per quanto riguarda i meno giovani, un altro studio britannico (Dregan e Gulliford, “American Journal of Epidemiology”, febbraio 2012) ha valutato in circa 9000 soggetti l’associazione tra vari stili di consumo di droghe (per lo più, ma non solo, cannabis) a 42 anni e le performance in test cognitivi 8 anni dopo, riscontrando deterioramenti del resto non drammatici solo nei consumatori pesanti e inveterati. In tale studio si è addirittura dovuto “scontare” coi fattori confondenti – in particolare il più elevato livello di educazione – l’apparente relazione mediamente positiva tra consumo di droga remoto e/o recente e successiva performance nei test. Cioè essendo la percentuale di consumatori più elevata tra i soggetti di miglior livello socioeconomico ed educativo, e non riportando essi danni accertabili – salvo il solito caso di uso pesante e prolungato – questi performano meglio dei consumatori loro coetanei di categorie meno fortunate. Infine un terzo studio statunitense (Pletcher et al, “Journal of the American Medical Association”, gennaio 2012), oltre a verificare per l’ennesima volta il deterioramento della funzione polmonare nei fumatori di tabacco, ha riscontrato un certo miglioramento della medesima nei fumatori di cannabis; ma manca qui lo spazio per riassumere l’interessante discussione sui possibili meccanismi che potrebbero esser responsabili di tale beneficio. E per chiudere: notino i lettori lo status elevato di tutte e tre le succitate riviste.
Insomma, la Scienza batte Giovanardi (e il fido Serpelloni) 3 a 0.
Politica, batti un colpo?
Vale la pena di segnalare quest’articolo in cui Franco Corleone commenta un’importante sentenza della Corte di Appello di Cagliari per la rubrica di Fuoriluogo su il Manifesto di oggi, 16 novembre 2011.
Dalla Sardegna giungono buone notizie rispetto alla criminalizzazione della coltivazione domestica di canapa. L’8 luglio scorso, la Corte d’Appello di Cagliari ha cancellato la condanna contro due fratelli di Carbonia: in primo grado, il Tribunale di Cagliari li aveva condannati ad otto mesi di reclusione e duemila euro di multa per avere coltivato quindici piantine nella propria abitazione.
La perizia aveva accertato che solo una piantina alta 50 cm. conteneva 164 mg di Thc (quantitativo inferiore al valore della quantità massima detenibile a uso personale), mentre le altre, tra i 10 e 20 cm., non avevano materiale analizzabile.
La dott.ssa Fiorella Pilato, presidente estensore della sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato, ha affrontato il problema se la coltivazione di poche piante destinate all’uso personale possa avere rilevanza penale o se invece tale condotta possa essere assimilabile alla detenzione (ad uso personale): lo ha fatto prendendo le distanze dal dictum della sentenza 28605 del 10 luglio 2008 delle Sezioni Unite della Cassazione che affermò il principio della punibilità della coltivazione “senza se e senza ma”, indipendentemente dalla quantità e dalla destinazione.
La dr.ssa Pilato sottopone a serrata confutazione l’assunto della Cassazione secondo cui la coltivazione “merita un trattamento diverso e più grave” rispetto alla detenzione, per il solo fatto di aumentare la quantità complessiva di stupefacenti presenti sul mercato (sic!). Questa affermazione apparentemente logica si mostra invece come un vero e proprio paralogismo. La quantità di stupefacenti presente sul mercato è nell’ordine di svariate tonnellate e non è certo qualche piantina che può aumentarla significativamente. Ma paradossali sono le conseguenze: il verdetto della Suprema Corte spingerebbe il consumatore, la cui attività è penalmente irrilevante, a rivolgersi al mercato illecito e clandestino incentivando lo spaccio e i proventi di una attività criminale. Conclude la dr.ssa Pilato: “Soltanto in astratto può affermarsi che qualsiasi coltivazione rappresenti un disvalore assoluto”.
La sentenza delle Sezioni unite della Cassazione afferma che la risoluzione del problema della droga “deve essere circoscritta al legislatore e ad esso soltanto è la responsabilità delle scelte circa i limiti, gli strumenti, le forme di controllo da adottare”, volendo con ciò limitare il potere di interpretazione delle norme da parte del giudice. Ma, in contrasto con quanto dichiarato, si arroga il diritto di aggravare le disposizioni di una legge già estremamente punitiva per l’introduzione di un’unica tabella per tutte le sostanze; e perfino di andare oltre il dettato della Convenzione internazionale di Vienna del 1988 che (par. 2 dell’art.3) equipara la coltivazione per consumo personale al possesso e all’acquisto. Come ho già scritto, la sentenza della Cassazione è culturalmente mediocre e senza alcun pregio giuridico, frutto solo del pregiudizio ideologico e moralistico.
Infine, la dr.ssa Pilato ribadisce l’interpretazione contenuta in una sentenza del Tribunale di Milano: gli articoli 26 e successivi, che stabiliscono le pene per la coltivazione, si riferiscono alle attività di carattere industriale, non ai vasi sul balcone. Perciò, gli atti dei due fratelli di Carbonia sono stati rimessi al Prefetto per le sanzioni amministrative previste dall’art.75 per il consumo personale.
Dopo la magistratura, sarebbe ora che anche la politica battesse un colpo.
Facebook e la crociata anti cannabis
Ieri la notizia in Italia l’ha data Repubblica: Facebook ha censurato la pubblicità di “Just say Now” una campagna pro legalizzazione della cannabis negli USA lanciata dal blog Firedoglake.
Il messaggio pubblicitario, di cui vedete un esempio qui a fianco, sarebbe stato in prima battuta accettato, poi censurato con la motivazione che
“il logo in questione non era più accettabile come pubblicità sul sito. L’immagine di una foglia di marijuana rientra tra i prodotti per il fumo e quindi non è permessa secondo le nostre politiche”
Almeno così ha detto Andrew Noyes a Wired, dichiarazione che sembra proprio un arrampicarsi sugli specchi da parte dell’esponente di Facebook, soprattutto dopo che si è scoperto che anche una analoga pubblicità pro-legalizzazione del Partito libertario americano è stata censurata lo scorso luglio con la più schietta motivazione
“noi non ammettiamo pubblicità pro marijuana o propaganda politica per la promozione della marijuana”.
Ma non finisce qui: da un commento al post odierno di Vittorio Zambardino scopriamo che anche l’account di Matteo Gracis è stato disattivato, questa volta senza spiegazioni. Essendo Gracis il Direttore editoriale di Dolce Vita, magazine che si occupa molto di canapa e stili di vita, qualche sospetto che non sia una coincidenza c’è, come del resto scrive lui stesso sul suo blog:
Conoscevo già bene la Dichiarazione dei diritti e delle responsabilità di Facebook, dal momento che mi occupo anche per lavoro di comunicazione sul web, ma dopo questo episodio sono andato a rileggermi per intero il regolamento e posso affermare con certezza di non aver violato in alcun modo le regole da loro imposte.
Ma penso di sapere il motivo per cui sono stato cacciato da Facebook: la cannabis!
La war on drugs varca quindi, con la sua consueta dose di ottusità censoria, le soglie dei social network, con primario obiettivo l’immagine della foglia di una pianta. Come scrive Pietro Yates Moretti sul sito Aduc in fondo è
un po’ come se durante il proibizionismo sull’alcool fosse stato vietato di pubblicare immagini che rappresentassero grappoli d’uva.
Le pagine di Forum Droghe e Fuoriluogo hanno già cambiato immagine del profilo in solidarietà con i censurati.
Ora tocca a voi.
Basta repressione, basta terrorismo. Lo Stato legalizzi la canapa.
Comunicato stampa
Basta repressione, basta terrorismo. Lo Stato legalizzi la canapa.
E’ di questi giorni la notizia dell’arresto di numerose persone a seguito di un’indagine della Procura di Ferrara sulla vendita on line di materiale per la coltivazione della canapa. Con grande risalto sulla stampa è apparso il monito di magistratura e forze dell’ordine per mettere in guardia i consumatori al fine di evitare condotte rischiose come l’autocoltivazione della marijuana.
Perchè è vero che in questo paese chi coltiva canapa rischia da 6 a 20 anni di galera. Figuratevi che chi stupra rischia solo da 5 a 10 anni, mentre la conscussione è punita con reclusione da quattro a dodici anni. Forse non è quindi un caso che metà dei detenuti italiani è in carcere per violazione delle leggi sulle droghe. E’ evidente che è la legge a non avere senso, una legge voluta dalla coppia Fini-Giovanardi per reprimere e terrorizzare i consumatori, in particolare di canapa e suoi derivati.
Non esiste nella letteratura scientifica internazionale un solo caso di decesso dovuto alla marijuana, mentre altre sostanze, come l’alcol ed il tabacco – che provocano centomila morti l’anno solo in Italia – sono legali e finanziano le casse dello stato. Uno studio stima in circa 10 miliardi di euro il costo diretto della guerra alla droga italiota, fra spese legate alla repressione e mancati introiti fiscali. Senza contare l’indotto che gira intorno al mercato delle droghe e che potrebbe emergere con la legalizzazione.
Pensate, ci risparmieremmo quasi mezza finanziaria di Tremonti. Questi introiti invece vanno tutti alle mafie che, come al solito, ringraziano la miope politica proibizionista. Perchè, è ora di dirlo, l’unica “colpa” di chi autocoltiva la propria piantina di canapa è quella di non voler finanziare con i propri soldi le mafie che controllano il mercato della droga illegale.
La guerra alla droga deve finire, la canapa deve essere legalizzata. Anche perchè i dati dimostrano come nei paesi che hanno avviato politiche di tolleranza i consumi di sostanze siano molto inferiori a quelli dei paese proibizionisti. In Olanda, il paese dei Coffeeshop tanto per intenderci, vi sono solo il 4,6% di consumatori di canapa, contro il 14,6% dell’Italia (dati del rapporto 2010 dell UNODC l’agenzia ONU contro Il traffico di Droga ed il Crimine). Un terzo.
Ci auguriamo che la Magistratura ferrarese prenda esempio dal Tribunale di Milano, che recentemente ha dichiarato la coltivazione domestica come condotta non perseguibile penalmente. Ce lo auguriamo per le persone coinvolte in questa storia di ordinaria repressione, a cui va la nostra solidarietà. Ma ce lo auguriamo anche per il buon senso, che purtroppo sembra merce sempre più rara e preziosa nel nostro paese.
Federazione dei Verdi di Ferrara
L’ufficio Stampa
Basta repressione, basta terrorismo. Lo Stato legalizzi la canapa.
Comunicato stampa dei Verdi di Ferrara:
E’ di questi giorni la notizia dell’arresto di numerose persone a seguito di un’indagine della Procura di Ferrara sulla vendita on line di materiale per la coltivazione della canapa. Con grande risalto sulla stampa è apparso il monito di magistratura e forze dell’ordine per mettere in guardia i consumatori al fine di evitare condotte rischiose come l’autocoltivazione della marijuana.
Perchè è vero che in questo paese chi coltiva canapa rischia da 6 a 20 anni di galera. Figuratevi che chi stupra rischia solo da 5 a 10 anni, mentre la conscussione è punita con reclusione da quattro a dodici anni. Forse non è quindi un caso che metà dei detenuti italiani è in carcere per violazione delle leggi sulle droghe. E’ evidente che è la legge a non avere senso, una legge voluta dalla coppia Fini-Giovanardi per reprimere e terrorizzare i consumatori, in particolare di canapa e suoi derivati.
Non esiste nella letteratura scientifica internazionale un solo caso di decesso dovuto alla marijuana, mentre altre sostanze, come l’alcol ed il tabacco – che provocano centomila morti l’anno solo in Italia – sono legali e finanziano le casse dello stato. Uno studio stima in circa 10 miliardi di euro il costo diretto della guerra alla droga italiota, fra spese legate alla repressione e mancati introiti fiscali. Senza contare l’indotto che gira intorno al mercato delle droghe e che potrebbe emergere con la legalizzazione.
Pensate, ci risparmieremmo quasi mezza finanziaria di Tremonti. Questi introiti invece vanno tutti alle mafie che, come al solito, ringraziano la miope politica proibizionista. Perchè, è ora di dirlo, l’unica “colpa” di chi autocoltiva la propria piantina di canapa è quella di non voler finanziare con i propri soldi le mafie che controllano il mercato della droga illegale.
La guerra alla droga deve finire, la canapa deve essere legalizzata. Anche perchè i dati dimostrano come nei paesi che hanno avviato politiche di tolleranza i consumi di sostanze siano molto inferiori a quelli dei paese proibizionisti. In Olanda, il paese dei Coffeeshop tanto per intenderci, vi sono solo il 4,6% di consumatori di canapa, contro il 14,6% dell’Italia (dati del rapporto 2010 dell UNODC l’agenzia ONU contro Il traffico di Droga ed il Crimine). Un terzo.
Ci auguriamo che la Magistratura ferrarese prenda esempio dal Tribunale di Milano, che recentemente ha dichiarato la coltivazione domestica come condotta non perseguibile penalmente. Ce lo auguriamo per le persone coinvolte in questa storia di ordinaria repressione, a cui va la nostra solidarietà. Ma ce lo auguriamo anche per il buon senso, che purtroppo sembra merce sempre più rara e preziosa nel nostro paese.
Federazione dei Verdi di Ferrara
L’ufficio Stampa
Il Proibizionismo ha fallito
Solidarietà ai consumatori di sostanze vittime della repressione da parte dei Verdi di Ferrara
La giornata mondiale antidroga che si celebra oggi deve essere per i cittadini occasione in cui ci si interroga sull’inefficacia lampante delle politiche proibizioniste sulle droghe. Mentre negli Stati Uniti sempre più stati abbandonano la via perversa della proibizione, mentre i dati dimostrano che laddove si introducono politiche di tolleranza e riduzione del danno i consumi diminuiscono, in Italia il sottosegretario Giovanardi è costretto a inocularci dati stupefacenti, smentiti poche ore dopo dal CNR, per giustificare le politiche proibizioniste del Governo Berlusconi.
Come ampiamente previsto i più colpiti dalla nuova legge sono stati i consumatori di canapa: l’aver assimilato la sostanza ad altre ben più pericolose, l’aver automatizzato – con l’inserimento nelle tabelle della quantità massima detenibile – la contestazione del reato di spaccio, l’aver perseguito con pervicacia coloro che per sottrarsi ai mercati illegali hanno intrapreso la strada dell’autocoltivazione come il giovane copparese arrestato proprio in questi giorni, la criminalizzazione di una pianta che peraltro fino a sessant’anni fa cresceva florida nelle nostre campagne ha riempito le carceri di persone che ovunque dovrebbero stare fuorchè in galera.
Le carceri stanno scoppiando, e quasi la metà dei detenuti lo è per la violazione di due soli articoli del nostro vastissimo apparato normativo penale: quelli sulle droghe. I detenuti tossicodipendenti non riescono più ad uscire dal carcere per seguire programmi di recupero a causa del combinato disposto della legge sulle droghe e di quella sulla recidiva, nonostante i proclami Giovanardiani e nonostante le statistiche dimostrino come la recidiva sia infinitamente minore una volta seguito un percorso rieducativo e di reinserimento alternativo al carcere.
Per questo come ecologisti continueremo a chiedere una nuova politica sulle droghe, che abbandoni la repressione dei consumatori, che tolga ossigeno e denaro alle mafie e investa sulle pratiche della riduzione del danno e dell’informazione.
Per questo i Verdi di Ferrara, proprio oggi, esprimono la propria solidarietà e la propria vicinanza a tutti i consumatori di sostanze vittime della War on Drugs, e a tutti quegli operatori dei servizi pubblici e del privato sociale che nonostante il Governo continuano con passione a fare il loro lavoro. E anche agli operatori delle forze dell’ordine che magari preferirebbero andare a caccia di criminali seri piuttosto che sradicare piante da orti e fossi.
I Verdi di Ferrara
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Rototom, a Udine in versione light
Il più importante festival reggae d’Europa, sotto attacco dalla magistratura, ha deciso da tempo di trasferirsi in Spagna. Ma l’associazione culturale Rototom non “abbandona” l’Italia e così nasce Rototom Free un luogo di incontro culturale e di riflessione politica, il 2 e 3 luglio a Udine presso il Parco del Cormor.
Sotto attacco dalla magistratura friulana, il più importante festival reggae d’Europa ha da tempo deciso di emigrare in Spagna. Così gli oltre 130.000 frequentatori del Rototom Sunsplash Festival si ritroveranno quest’anno dal 21 al 28 agosto nella cittadina di Benicàssim, situata sulla costa mediterranea nella provincia di Castellon a soli 88 chilometri da Valencia, per una settimana a base di reggae, mare e sole.
Ma l’associazione culturale Rototom ha deciso di mantenere un presidio a Udine, per “ricreare un luogo di incontro e di interscambio culturale dove, attraverso le proposte musicali e i dibattiti, le persone si possano incontrare per condividere momenti di riflessione e di divertimento”. Così è nato un nuovo appuntamento, che precederà di alcune settimane l’evento reggae: Rototom Free si terrà il 2 e 3 luglio, a Udine presso il Parco del Cormor e prende il nome della canzone dedicata al Rototom Sunsplash dalla grande star italo-giamaicana Alborosie (scaricabile on line dal sito del Festival).
Si riproporrà ovviamente la musica reggae, ma non solo. Saranno allestiti due palchi e un’area che ospiterà dibattiti e proiezioni di film in una sorta di versione “light” del Festival. Sul palco si alterneranno giovani musicisti locali ad artisti affermati, fra questi si parla già dei Sud Sound System . Nell’area dibattiti, con la presenza fra gli altri di Don Gallo e Marco Travaglio, e con supporto di un comitato scientifico ad hoc, si analizzerà invece “la complessità del mondo in cui viviamo attraverso l’ottica pacifista, ecologista e antirazzista tipica del Rototom”.
In concomitanza con quello che era il canonico periodo del Sunsplash, il Rototom non poteva quindi lasciare un vuoto nel cuore di tutti coloro che hanno seguito per un decennio la manifestazione al Parco del Rivellino. “L’avevamo annunciato nella conferenza stampa di novembre: il
Sunsplash è costretto ad abbandonare l’Italia, ma il Rototom non arretra di un millimetro nella sua battaglia culturale nel suo paese. Rototom Free, a ingresso rigorosamente gratuito, è un contributo alla crescita culturale ed economica della nostra terra, ed è un omaggio alla gente che ci ha sempre sostenuto anche nei momenti più difficili” dichiara l’Ass. Culturale Rototom. Per loro, “per il colorato e pacifico universo multiculturale che si è sempre radunato intorno al festival” ma anche per ribadire come l’esodo spagnolo non è volontario, e che è sempre viva la speranza che vengano archiviate al più presto le indagini e le assurde accuse di “agevolazione dell’uso di stupefacenti” piovute nei mesi scorsi su Filippo Giunta (organizzatore del Rototom) e sul sindaco di Osoppo Luigino Bottoni.
In attesa del ritorno in Friuli continua la campagna di solidarietà “Non processate Bob Marley”, a tutela della libertà di espressione, che ha coinvolto diverse città italiane, come Milano e Bologna e che giovedì 13 toccherà Roma con un appuntamento di lotta e musica.
Il sito del Rototom Sunsplash.
Articolo per fuoriluogo.it.
Sabato 8 maggio la MMM riparte dal Reggae
Sabato prossimo torna a Roma la Million Marijuana March, l’appuntamento annuale che si tiene in oltre 300 città del mondo per chiedere la fine delle persecuzioni per i consumatori, il diritto all’uso terapeutico della Cannabis per i Pazienti e il diritto a coltivare liberamente una pianta che è parte del patrimonio botanico del Pianeta. Gli organizzatori italiani per favorire la partecipazione consapevole rinunciano ad un po’ di carri e ripartono dal reggae. Vai alla presentazione per fuoriluogo.it.