• cannabis

    Sentenza cannabis, Fiorentini: “E’ tempo di una riforma per la regolamentazione legale”

    Sentenza cannabis, Fiorentini: “E’ tempo di una riforma per la regolamentazione legale”

    “Bene la Cassazione, ora è la politica che deve fare il suo”. Il commento dell’antiproibizionista ferrarese alla decisione della Cassazione sulla coltivazione domestica per uso personale.

    Da Estense.com

    Una recente sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite ha stabilito che coltivare marijuana in casa in piccole quantità e per uso personale non costituisce reato. Il pronunciamento è datato 19 ottobre, ma è ancora presto per stabilire se potrà avere riflessi nel prossimo futuro, anche se molto probabilmente i giudici che dovranno decidere su questo tema seguiranno l’orientamento della sentenza, pur non avendo un valore di per sé vincolante.

    E’ probabile che non ne potrà beneficiare la persona arrestata in questi giorni a Buonacompra dai carabinieri, visto il quantitativo ingente sequestrato, ma per i procedimenti giudiziari che prossimamente verranno trattati in seguito al ritrovamento di marijuana coltivata in casa la sentenza della Cassazione avrà un’influenza non trascurabile.

    Da precisare, per i non addetti ai lavori, che tale sentenza non ha cambiato la legge in materia, e ne è ben consapevole un antiproibizionista convinto come il ferrarese Leonardo Fiorentini, direttore di Fuoriluogo ed ex consigliere comunale indipendente, che coglie l’occasione per auspicare una riforma per la regolamentazione legale della cannabis. “E’ la quarta volta – commenta Fiorentini – che i giudici intervengono in sostituzione della politica per adeguare la legge italiana sulle droghe al dettato costituzionale e al buon senso giuridico. Per tre volte la Corte Costituzionale ha prima dichiarato illeggitima la Fini-Giovanardi, poi cassato al’art 75 bis sulle sanzioni amministrative ed infine adeguato il minimo di pena per le sostanze cosiddette pesanti ad un minimo principio di proporzionalità della pena. Oggi è la Cassazione che fa suo un principio già diffuso in molte Corti italiane, ovvero che fosse insensato colpire come uno spacciatore chi coltiva poche piante di cannabis per il proprio consumo personale. Si arrivava all’assurdo che si colpiva pesantemente chi si coltivava la propria pianta in casa proprio per non foraggiare le narcomafie”.

    Secondo Fiorentini “la grande assente di oggi è la politica, che è ancora ostaggio dell’ideologia proibizionista”. “Ne sono dimostrazione – aggiunge – le risposte troppo timide di molti politici rispetto all’ultima crociata dell’ex Ministro della Paura Salvini, addirittura in guerra (senza quartiere) anche contro sostanze che non hanno effetti psicoattivi, come la cannabis light. Per iniziare però 30 anni di pesante proibizionismo in Italia, quasi 60 nel mondo, non hanno fatto altro che riempire le carceri di spacciatori e persone che usano sostanze (rispettivamente il 35% e il 28% dei detenuti), mentre il mercato illegale delle droghe è più libero, florido e variegato che mai. Oggi è il momento del coraggio per affrontare di petto il fallimento delle politiche proibizioniste a livello nazionale ed internazionale, a partire dalla sostanza più diffusa e normalizzata fra quelle nelle tabelle delle convenzioni internazionali. Al pari di Paesi come Uruguay, Canada e 11 stati Usa, è il tempo di avviare anche in Italia una riforma per la regolamentazione legale della cannabis”.

  • cannabis

    Coltivare Cannabis in casa non è punibile penalmente

    Coltivare cannabis in casa in minime quantità non è reato penale, se destinato esclusivamente all’uso personale. Lo ha stabilito la Cassazione, in una sentenza a sezioni unite promulgata il 19 dicembre scorso.

    La Cassazione chiarisce e ribadisce comunque che la coltivazione resta ancora un reato, aprendo però la porta alle prossime sentenze e ponendo dei paletti, qualora «le attività di coltivazione di minime dimensioni, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti» siano chiari indici di un uso personale del coltivatore.

    In attesa delle motivazioni e degli sviluppi che seguiranno a questa sentenza abbiamo chiesto un commento a Leonardo Fiorentini, direttore del portale “Fuoriluogo”. Ascolta o scarica.

  • Gli incidenti stradali, la cassazione e gli alberi killer

    A qualcuno piace dire che le sentenze non si commentano. Io però non ho mai capito perchè abdicare al proprio senso critico nei confronti della magistratura. Probabilmente serve a dimostrare il proprio rispetto nei confronti di un potere dello Stato, ma fra rispetto e carta bianca ce ne passa. In fondo i magistrati sono pur sempre uomini e donne, anche se con una toga sulle spalle, e possono sbagliare, non capire, essere addirittura in mala fede, come tanti di noi ogni giorno.

    Ma qui la mala fede non c’entra. C’entra molto il legislatore che nel ’93 ha introdotto una norma per cui non è possibile piantare alberi nelle strade extraurbane a meno di 6 metri dal limite della carreggiata, senza chiarire se la norma fosse o meno retroattiva. Oggi la cassazione, con una sentenza semplicemente stupida, interpreta la norma come retroattiva e mette sotto accusa non solo i geometri di ANAS e Province, colpevoli di non esser intervenuti (ad esempio con guard rail a protezione delle alberature), ma soprattutto le centinaia di migliaia di alberi che da decenni, spesso secoli, ornano le nostre strade. Come se invece pali della luce, del telefono, le case stesse che ornano le nostre strade, non fossero altrettanto pericolosi.

    Parliamo di incidenti stradali, che spesso significa parlare anche giovani vite spezzate, famiglie distrutte e dolore. Ma resta che l’albero è fermo. Non fa finte, non sterza improvvisamente, non si dimentica di mettere la freccia, non accelera. Sta immobile. Eccezionalmente cade, magari a seguito di fortunali, magari perde rami e foglie ma nessuno mi toglierà mai dalla mente che nel 99% dei casi è l’auto che ci va a sbattere contro. Magari perchè il guidatore è ubriaco, stanco, o solo imprudente. A volte è pura fatalità, a volte, spesso, è colpa della velocità. Nessuno si è mai sognato di far causa alle case automobilistiche che forniscono auto che vanno al doppio dei limiti consentiti o che non hanno installato tutti i sistemi di sicurezza disponibili. Ma sempre, dalle lettere sul gionale ai commenti nei siti di informazione locale, gli imputati sono loro, gli alberi killer.

    Ora in Italia sappiamo come vanno queste cose. Non siamo più ai tempi dei sassi dai cavalcavia, quando si spesero milioni per numerare uno ad uno i ponti sulle autostrade italiane. Coi chiari di luna odierni nei bilanci degli Enti, di fronte alla spesa di installare guard rail su migliaia di chilometri di strade, temo che la scelta principe sarà quella di eliminare alla radice il problema. E operare così la più grande deforestazione dell’italia mai vista, dopo quella per costruire la flotta navale dell’impero romano.

    Riusciremo ad evitarlo? I nostri figli saranno giudici…

  • Sottoscrivo

    dall’Amaca di Michele Serra di oggi su Repubblica: “La storia ce l´ha raccontata ieri su “Repubblica” Jenner Meletti. E´ morto in carcere, per cause ancora da accertare, un falegname umbro, Aldo Bianzino, arrestato il giorno prima perché coltivava cannabis per farne uso personale. Una persona mite, che viveva pacificamente in mezzo alla natura, certo non pericolosa per gli altri, che lascia un figlio minorenne e una compagna disperata.
    Proprio in questi giorni e in queste ore, con l´atroce delitto di Roma che esaspera la questione già rovente della sicurezza, della violenza, dell´immigrazione rom fuori controllo, viene spontaneo domandarsi per quale assurdo criterio giudiziario, o politico, o culturale, un uomo debba morire in carcere perché gli piaceva farsi le canne (tra parentesi: ieri la Cassazione ha “depenalizzato” la coltivazione di cannabis per “uso ornamentale”…). C´è una specie di folle sproporzione, di abnorme iniquità tra le notizie di rapinatori o di assassini rimessi in libertà con evidente imprevidenza, e vicende come questa, dalle quali la legge e la giustizia escono con una patente di totale stupidità. Una stupidità che avrà certamente le sue spiegazioni “tecniche”, i suoi alibi procedurali. Ma lascia di ghiaccio. Uno Stato con i nervi saldi non se la prende con gli hippies: se non altro perché avrebbe cose più urgenti e più serie da fare.