Bolzaneto, promotori #3leggi: introdurre reato di tortura
BOLZANETO, PROMOTORI #3LEGGI: INTRODURRE REATO DI TORTURA

Chi era il tipo con il megafono?
Questo che segue è il racconto “a caldo” che inviai a Carta dopo la mattanza del 21 luglio di 10 anni fa a Genova. La domanda “Chi era il tipo con il megafono?” non ha avuto mai risposta, e mi appare oggi ingenua e stupida. Adesso posso tranquillamente affermare che si trattasse di qualcuno del servizio d’ordine che cercava di fare del suo meglio, in quel caos assoluto.
Il complottismo di quelle ore pero’ era ampiamente giustificato dagli strani tipi in motorino del giorno prima, dai cassonetti riempiti di libri di fianco a Via Assarotti (via Palestro?), dalle fughe prima dai presunti black block, quindi dalla polizia, dal rumore delle pale degli elicotteri sopra piazzale Kennedy la sera del 20, dalla carneficina della Diaz la notte del 21, e da tutto quello che si è scoperto poi. A ripensare che ci era pure venuto in mente di restare a Genova la notte del 21 (“poi andiamo a dormire alla Diaz”), mi tornano i brividi, che mi passano solo al pensiero che abbiamo riportato tutti a casa incolumi.
In quei giorni, questo è l’unico dato politico di cui sono certo, è stato distrutto e frammentato a suon di lacrimogeni e manganelli un grande movimento intergenerazionale e trasversale che solo 10 anni dopo (con i referendum di giugno) ha ricominciato a credere nella forza del lavorare insieme.
Perchè nella forza delle nostre idee non abbiamo mai smesso di crederci.
Vi mando questo resoconto che può essere utile alla ricostruzione dei fatti, ma anche alcune domande sulle quali lavorare: chi era quello sul cassonetto con il megafono? chi ha detto al corteo di muoversi?
Davanti a noi c’era anche un pezzo di rifondazione. Giravano voci incontrollate su scontri dietro che ovviamente bastavano per impedirci di tornare indietro. Ero nello spezzone della rete di Lilliput, siamo stai fermati per molto tempo sul lungo mare per gli scontri di piazzale Kennedy. Il servizio d’ordine era lasciato alla buona volontà delle persone, ovviamente non era adeguato alla situazione. Il cordone è stato rotto in due poco prima di piazzale Kennedy da uno spezzone (Cobas mi pare) che ha rotto il gruppo della rete di Lilliput in due. Non si era ancora riusciti a compattare il gruppo, quando siamo passati nel punto caldo, l’incrocio di fronte il piazzale dove la manifestazione svoltava verso nord e c’era una persona, su alcuni cassonetti in mezzo alla strada che invitava a fare presto con un megafono. Apparentemente teneva d’occhio una laterale in cui c’erano degli scontri. Guarda caso nel momento in cui è passato lo spezzone della rete sono arrivati quattro o cinque black a cui è bastato buttare per terra tre cassonetti per giustificare il lancio di lacrimogeni (uno mi è caduto molto vicino) e subito dopo la carica. Il cordone della rete si è sfaldato praticamente all’arrivo dei black, quello dei Cobas che seguivano ha avuto un momento di cedimento nonostante qualcuno insieme a me tentasse di rinforzarlo. I lacrimogeni hanno fatto il resto. La persona sui cassonetti si è allontanata con una calma che mi ha stupito.
Nota: utilizzare quei mezzi per fermare cinque persone è, se in buonafede, un atto come minimo di incompetenza ed incapacità. Lanciare lacrimogeni su una parte di corteo pacifica è un atto di puro terrorismo. Caricare uno spezzone pacifico è semplicemente un atto criminale. Tornando ai fatti, i quattro/cinque si sono ovviamente inseriti nello spezzone di corteo che era riuscito a passare, mentre guarda caso la polizia manganellava a sangue dietro. Tranquilli come in gita scolastica sono stati dentro al corteo finché non sono stati individuati ed allontanati dal corteo al grido di “fuori fuori” come in piazza Manin venerdì. Insomma, stessa dinamica, solo che questa volta erano in quattro o cinque. È pura coincidenza, è pura incompetenza, è malafede?
Ciao
Leonardo Fiorentini
85 anni
Nonostante la prescrizione dei reati più lievi in econdo grado sono stati condannati a 85 anni di carcere complessivo i poliziotti (catena di comando compresa) che nella notte del 21 luglio 2001 hanno eseguito la “macelleria messicana” alla scuola Diaz.
Sono passati 9 anni. Ora aspettiamo la cassazione, e le possibili ulteriori prescrizioni…
Un simbolo del disfacimento sociale e politico di questo paese
«si può pensare a una commissione di inchiesta parlamentare che accerti le responsabilità politiche» dell’irruzione nell’istituto del capoluogo genovese durante il G8 del 2001. Questa la proposta lanciata dal leader Idv Antonio Di Pietro all’indomani della decisione dei giudici genovesi.
Dal Corsera.
Il fatto che quest’uomo possa essere considerato un leader politico, ritengo che sia una delle prove lampanti del disfacimento politico e sociale del nostro paese.
Che quest’uomo poi possa solo proferire verbo oggi su Genova e sulla commissione d’inchiesta che lui ha impedito nella scorsa legislatura lo trovo semplicemente offensivo.
Preferisco addirittura stare a sentire quel che ha da dire Manganelli.
Commenti sulla sentenza su altri blog (via blogbabel).
La diaz, le molotov e la giustizia in via di prescrizione
Ricordo abbastanza bene la notte di sabato 21 luglio. Eravamo appena tornati in pullman a Ferrara, c’era anche una piccola delegazione ad accoglierci, come i reduci dopo la guerra. Difficile andare a dormire, un giro in piazza, una birra, forse due. Poi a casa. Era l’una, forse le due, quando ricevo una chiamata da un amico milanese, rimasto a Genova: “sai che stanno faccendo? stanno massacrando persone alla Diaz”.
La mia risposta fu quella di chi ad un certo punto della giornata aveva anche valutato di restare a genova (e dormire alla Diaz) ma che era già contento di aver riportato a casa tutti interi i due pullman ferraresi, e che aveva bisogno di qualche ora ancora per decifrare meglio quello che era accaduto nei precedenti quattro giorni genovesi. Di quella risposta mi pentii già il giorno dopo.
Così altre telefonate: “ma è vero che là dentro c’erano spranghe e moltovov?”, “ma che è successo?”, “siamo sicuri che non ci fosse niente?”. Io che alla Diaz e al Media Center in quei giorni ci avevo passato parecchie ore, fra esercitazioni di pratica nonviolenta e aggiornamenti di siti internet, cadevo dalle nuvole. Per un attimo ho pensato di essere stato troppo ingenuo: mai visto spranghe, nè persone propense ad usarle: i black block apparirono improvvisamente venerdì mattina nelle vie genovesi (più o meno come il blocco studentesco a Piazza Navona) per poi scomparire il sabato dopo pranzo, senza mai averli visti girovagare nei forum e nei luoghi d’accoglienza. Figuriamoci poi le molotov.
Poi si scopre degli attrezzi del cantiere a fianco “rubati” all’impresa, gli assorbenti esibiti come arma, la storia della molotov. Poi le foto della palestra insanguinata, le immagini dell’irruzione, i filmati di tutti i pestaggi gratuiti di quei giorni.
E tutto comincia a delinearsi meglio. Come la coscienza di essere stato testimone della più grande violazione sistematica dei diritti umani avvenuta in europa dal secondo dopoguerra.
Oggi, forse, il primo passo verso una giustizia impossibile da ottenere, causa prescrizione.
alla fondazione Mediolanum insegneranno a fare i cerchi sulla sabbia?
Il presidente del Consiglio è nervosetto. Gli italiani cominciano a capire la sua “riforma della scuola” e la sua legge 133. Porca miseria! Tanti servi tra giornali e telegiornali gli avevano fatto lievitare i sondaggi, ma licenziare 87.400 maestre, ridurre le ore di didattica, bloccare i precari, fottere la ricerca e privatizzare l’università con le fondazioni (alla fondazione Mediolanum insegneranno a fare i cerchi sulla sabbia? A Legge insegnerà Alfano?) comincia a diventare un po’ difficile. E allora? E allora c’è la polizia, come ai bei tempi della scuola Diaz, quando i tutori dell’ordine del governo Berlusconi spaccarono teste e falsificarono prove, portando nella scuola addirittura alcune molotov per incolpare gli occupanti. Ora Silvio ci riprova: polizia! Polizia! Ragazzi, gratta gratta, sotto c’è sempre il vecchio fascismo italico. Ma con tutti quei botti, che succede se il paese si sveglia?
Nella foto, un gruppo di poliziotti della celere fa lezione in piazza, a Genova
La solida lucida lettura di Alessandro Robecchi, sul suo blog.