Droga, una diffida al Governo. Ora basta
Antigone, Forum Droghe, Lila, l’Associazione Luca Coscioni e la Società della Ragione hanno inviato lo scorso 31 luglio una diffida al Governo per contestare la violazione della norma fondamentale dell’articolo 1 della legge Iervolino-Vassalli sulla convocazione della Conferenza nazionale sulle droghe.
Il Testo unico sulle droghe (Dpr 309/90) prevede infatti che “ogni tre anni, il Presidente del Consiglio dei Ministri convochi una conferenza nazionale sui problemi connessi alla diffusione delle sostanze stupefacenti e psicotrope, alla quale invita soggetti pubblici e privati che esplicano la loro attività nel campo della prevenzione e della cura della tossicodipendenza. Le conclusioni di tali conferenze sono comunicate al Parlamento anche al fine di individuare eventuali correzioni alla legislazione antidroga dettate dall’esperienza applicativa”.
La diffida ricorda che l’ultima conferenza nazionale sui problemi connessi con la diffusione delle sostanze stupefacenti si è tenuta a Trieste dal 12 al 14 marzo 2009; da 8 anni manca quindi un momento di condivisione dei dati e di riflessione sugli effetti della legislazione sulle droghe rispetto alla salute e i diritti umani e civili dei consumatori, alla sicurezza sociale e alla giustizia e questo a fronte di ripetute sollecitazioni nonché e incontri istituzionali promossi dalle associazioni che hanno presentato la diffida.
Va ricordato che quell’appuntamento organizzato dalla coppia Giovanardi-Serpelloni si caratterizzò per la netta chiusura al confronto con le organizzazioni che contestavano la scelta proibizionista e punitiva della legge 49 del 2006 approvata con un colpo di mano e finalmente bocciata dalla Corte Costituzionale nel febbraio del 2014.
I firmatari della diffida sottolineano di fronte ai cambiamenti legislativi parziali e non coerenti e rispetto agli sviluppi internazionali che comprendono forme diffuse di legalizzazione della cannabis e al dibattito che si è sviluppato all’Assemblea generale dell’Onu a New York nell’aprile 2016, sia sempre più necessario convocare con urgenza una nuova conferenza nazionale sui problemi connessi con la diffusione delle sostanze stupefacenti e psicotrope per porre fine alla inadempienza all’obbligo di legge che dura da troppi anni.
La conclusione è chiara con la comunicazione che, ”decorso inutilmente il termine di cui all’art. 3 comma 1 D.Lgs n. 198/2009, si procederà alla tutela dei diritti e degli interessi dei propri associati dinanzi alle competenti autorità giudiziarie”.
A febbraio di quest’anno molte Associazioni avevano lanciato un appello al Governo con precise richieste, dalla nomina di un responsabile politico per dare un indirizzo alla politica delle droghe alla convocazione della Conferenza nazionale sulle droghe, dalla riorganizzazione dei Servizi pubblici nella prospettiva del rilancio della riduzione del danno prevista dai LEA con la previsione di interventi per la prevenzione dei rischi connessi all’abuso e alla clandestinità dei consumi, alla analisi delle sostanze e verso la sperimentazione delle stanze del consumo e dei trattamenti con eroina, alla convocazione di un seminario per discutere il documento conclusivo di Ungass.
Il silenzio è stato la eloquente risposta.
il 26 giugno, assieme agli altri gruppi che compongono il Cartello di Genova, è stato presentato l’ottavo libro bianco sulle droghe che ha confermato i gravi effetti collaterali della legislazione antidroga sulla giustizia e sul carcere.
Il rispetto della legge è un principio che non può essere violato dalle istituzioni. La diffida ha un valore formale, ma la contestazione al Governo è tutta politica. Ora la parola è al Presidente Gentiloni.
Cannabis terapeutica, è caccia alle farmacie
Un conto salato di 60.200 euro. È l’importo complessivo delle multe che sette farmacie galeniche italiane dovranno pagare allo Stato italiano. Il motivo? Violazione dell’articolo 84 del DPR 309/90, ovvero il divieto di “propaganda pubblicitaria di sostanze o preparazioni comprese nelle tabelle” delle sostanze sottoposte a controllo dalle convenzioni internazionale, “anche se effettuata in modo indiretto”. Le sette farmacie comparivano in siti che elencano le aziende che realizzano preparati a base di cannabis terapeutica. Una utile informazione agli utenti, peraltro resa senza che sia nota una richiesta di corrispettivo, ma che per la legge Jervolino-Vassalli diventa passibile di sanzione. Le farmacie hanno ovviamente già presentato ricorso che ci auguriamo sia accolto. Alcune hanno anche oscurato il proprio sito per protesta.
L’azione, evidentemente pretestuosa da parte dello Stato, conferma come la legislazione italiana sulle droghe sia un coacervo di norme dal puro intento vessatorio e repressivo. Ma non solo. Tutto probabilmente nasce da un sospetto. Alcune di queste farmacie all’inizio dell’anno erano state oggetto di controllo da parte del Ministero per la loro richiesta di fornitura di FM2, il preparato a base di cannabis dell’Istituto Farmaceutico Militare di Firenze che “sostituisce” uno dei prodotti olandesi, il Bediol. Al Ministero della Salute il quantitativo richiesto sembrava eccessivo, forse temendo vendite “sottobanco” a persone senza prescrizione. Semmai il problema è la quantità assolutamente insufficiente della prima produzione statale, pari a soli 47 chilogrammi.

Nella tabella sono riportati i consumi totali in grammi come somma delle importazioni effettuate da ASL ai sensi del DM 11/2/1997, indicati con consumi ASL, e delle importazioni di aziende autorizzate al commercio all’ingrosso. (Fonte Ministero della Salute)
Alla fine a chi aveva richiesto 500 grammi di FM2, stimando l’ordine sulla domanda storica, ne sono stati concessi 50. Purtroppo le richieste, come da tempo denunciato dalle associazioni e dai pazienti, sono assolutamente fuori scala rispetto all’attuale produzione dello Stato, e si continua ad importare grossi quantitativi dall’estero. Con un aggravio di costi per il paziente e per l’intero sistema sanitario nazionale. Ricordiamo che una terapia può costare al paziente, se non coperta dal sistema sanitario – per mancanza di una legge regionale o per una patologia non ricompresa fra quelle prescrivibili a carico del SSN – anche alcune centinaia di euro al mese. Ma non solo: per un problema di crisi di produzione da alcune settimane risultano di fatto bloccate le importazioni in Italia dei farmaci olandesi. In risposta ad una recente interrogazione al governo dell’on. Mucci, a seguito anche del digiuno di Rita Bernardini, la Ministra Lorenzin ha annunciato di aver disposto la distribuzione delle scorte dell’IFM (sul perché siano rimaste nei magazzini, l’interrogativo è d’obbligo) e ha assicurato che lo stesso Istituto nel secondo semestre del 2017 metterà a disposizione ulteriori 12 kg che non appaiono comunque sufficienti a rispondere alla domanda totale.
C’è da domandarsi se non valga la pena di cogliere al balzo la timida proposta del PD di stralcio della cannabis terapeutica dalla proposta dell’Intergruppo riempiendola di contenuti efficaci. Se si riuscisse entro la legislatura a prevedere l’allargamento della produzione di cannabis, su autorizzazione, anche a soggetti diversi dal Farmaceutico Militare di Firenze ed infine, uscendo dalla logica degli elenchi restrittivi, la prescrivibilità per qualunque patologia il medico curante la ritenga utile e la completa depenalizzazione della coltivazione ad uso personale, sarebbe un successo parziale, anzi parzialissimo rispetto alla battaglia per il cambio di politica sulle droghe, ma una vittoria per i malati che subiscono ancora gli effetti della guerra, incomprensibile, ad una pianta millenaria.
Nelle città nuove pratiche sulle droghe
Dopo l’assemblea delle Nazioni Unite sulle droghe UNGASS 2016, che ha sancito il venir meno della compattezza internazionale delle politiche proibizioniste sulle sostanze illegali, numerosi sono i segnali di svolta a livello mondiale. In Uruguay fra poche settimane saranno in vendita nelle farmacie i primi quantitativi di cannabis “statale”, negli Usa otto Stati hanno sancito, per referendum, la legalizzazione dell’uso ricreativo della cannabis, mentre il nono, il Vermont, ha scelto la via parlamentare. In Olanda il Senato deve decidere sulla legge approvata dai deputati a favore della coltivazione della canapa da parte dei coffee-shop, mentre in Canada il governo ha presentato il suo disegno di legge per la regolamentazione della marijuana. La Giamaica infine ha legalizzato l’uso tradizionale della ganja. Le politiche di riduzione del danno più avanzate (stanze del consumo sicuro, trattamenti con eroina, pill testing) sono ormai consolidate in molti paesi europei, mentre approdano nel dibattito pubblico anche in paesi prima refrattari a questo tipo di approccio, come gli Stati Uniti.
Purtroppo in Italia, la proposta di legge sulla cannabis dell’intergruppo si è arenata in commissione giustizia mentre quella popolare dopo sei mesi dal deposito è ancora sub iudice, in attesa del conteggio dei certificati elettorali che accompagnano le firme. Stessa sorte stanno subendo le proposte di legge di modifica complessiva del Testo Unico sugli stupefacenti, il Dpr 309 del 1990, presentate alla Camera dal deputato Filippo Fossati e al Senato dal sen. Sergio Lo Giudice.
La legislatura è avviata verso la fine più o meno traumatica e sta dando il peggio possibile, basti pensare ai decreti Minniti e alla vicenda della legge sulla tortura. Occorre prendere atto che gli spazi parlamentari per le droghe non sono agibili e che dal governo in questi anni è giunto chiaramente un segnale di assoluto disinteresse. Gli ultimi due governi, più volte interpellati dalle associazioni del Cartello di Genova, non si sono degnati nemmeno di rispondere. Anche l’ultimo appello “il Governo batta un colpo” lanciato a febbraio e che chiedeva al governo di rispettare i propri obblighi di legge, è caduto nel vuoto.
È venuto il momento di cambiare il tavolo sul quale confrontarsi. Dall’assemblea di Forum Droghe è arrivato un invito importante. Riprendere quel protagonismo municipale che anche in Italia ha guidato il movimento di riforma delle politiche sulle sostanze negli anni ’90. In questa situazione di stallo politico ed istituzionale, bisogna ripartire dalle città, dove gli effetti del proibizionismo esplodono nelle strade, nelle piazze e nei giardini. Per affermare, partendo dal basso, che non solo una politica diversa sulle droghe è possibile, ma soprattutto che, dati alla mano, è migliore della criminogena repressione.
In questi anni alcune città si sono apertamente schierate: Genova, Torino e Firenze hanno votato documenti a favore della legalizzazione della cannabis mentre sindaci come De Magistris e Pizzarotti hanno sposato la causa antiproibizionista. Il Friuli Venezia Giulia ha approvato una legge voto che invita il Parlamento ad approvare la proposta di riforma della legge Iervolino-Vassalli che risale a ventisette anni fa.
Dobbiamo ripartire da qui, coinvolgendo gli amministratori locali, per praticare una politica sulle droghe realistica ed efficace nelle città e nelle regioni disponibili. Un primo confronto potrà avvenire in occasione della presentazione del Libro Bianco sulle droghe prevista il prossimo 26 giugno a Roma (ore 15/18 Sala del Senato di S. Maria in Aquiro – P.zza Capranica 72 – obbligatorio accredito a accrediti@fuoriluogo.it).
Canada, la cannabis è partecipazione
È stato pubblicato il rapporto canadese sulla regolamentazione della cannabis del Dipartimento Federale della Salute. Si tratta del resoconto del processo di consultazione pubblica voluto dal Governo di Justin Trudeau che ha coinvolto enti locali, città, ma anche esperti, pazienti, giuristi, lavoratori e imprenditori oltre che – on line – quasi 30.000 fra cittadini e organizzazioni. Dando conto di tutte le posizioni, la task force sulla cannabis ha stilato una serie di raccomandazioni al Governo in vista della legalizzazione prevista per il 2017, che affiancano rigore scientifico e sensibilità presenti nella società.
Innanzitutto si raccomanda il divieto di vendita ai minori di 18 anni, il divieto di pubblicità, un confezionamento che informi anche sulla quantità di principio attivo (THC e CBD) e che non sia confondibile con altri prodotti, in particolare per i bambini e che non sia “attrattivo” per loro. Per gli alimenti si chiede un logo che identifichi la presenza di cannabis ed il divieto di prodotti misti con altre sostanze (alcol, tabacco, nicotina e caffeina).
Per incentivare il consumo di cannabis con basso THC la task force consiglia uno schema di tassazione e formazione del prezzo disincentivante rispetto all’acquisto di prodotti ad alta potenza, pur mantenendo tasse e prezzi a un livello che garantisca l’obiettivo di ridurre il mercato illegale. La tassazione dovrà essere equamente distribuita fra stato centrale e amministrazioni locali e resa flessibile al fine di seguire i cambiamenti di mercato; dovrà finanziare i servizi educativi, la ricerca, la prevenzione degli abusi ed il loro trattamento ed infine il sistema di repressione dei crimini. Per prevenire gli abusi si raccomanda l’implementazione di strategie educative e di informazione basate sulle evidenze scientifiche per prevenire i rischi dell’uso problematico e fornire linee guida per un uso a “basso rischio”. Anche per quel che riguarda l’incidenza del consumo nei luoghi di lavoro si ipotizza un raccordo con enti locali, lavoratori e sindacati per attuare politiche che prevengano incidenti sul lavoro.
Per la produzione si propone un modello sotto licenza, che apra un mercato accessibile anche ai piccoli produttori. Le produzioni dovranno essere tracciabili e, per limitare l’impatto ambientale, anche outdoor se debitamente protette. Si raccomanda una stretta collaborazione con le autorità locali per la collocazione dei negozi, che non dovranno vendere anche alcol e tabacco e con limitazioni rispetto alla loro densità e collocazione (non vicino a scuole, parchi e altri luoghi sensibili). La massima quantità proposta di sostanza essiccata detenibile in pubblico (e quindi vendibile) è di 30 grammi, mentre l’autocoltivazione viene limitata a 4 piante per abitazione, alte non più di 1 metro. Sul versante della repressione la raccomandazione è di redigere un “Cannabis Control Act” che preveda pene proporzionate alle violazioni, e che escluda dalla sanzione le eventuali condotte senza scopo di lucro (“social sharing”). Una particolare attenzione dovrà essere data a prevenzione e sanzione della guida sotto l’effetto di cannabis, finanziando ricerche per verificare le correlazioni fra livelli di THC e incapacità di condurre veicoli.
Si è trattato di un enorme processo partecipativo che ha rivelato come “la regolazione della cannabis toccherà ogni aspetto della nostra società”. E’ la conferma di ciò che i riformatori da tempo sostengono, ovvero che politiche intelligenti sulle droghe aiutano a risolvere alcuni dei nodi più problematici della giustizia, della sicurezza e della salute.
Droga & riforma, il Friuli pianta un seme
Riparte dal Friuli Venezia Giulia la battaglia per la modifica della legislazione sulle droghe. Mentre la Fini-Giovanardi viene abbattuta, pezzo dopo pezzo, dalle sentenze della Corte Costituzionale, gli operatori, le istituzioni e i politici più sensibili si rendono conto che il Testo Unico degli stupefacenti, la cui ossatura risale al 1990, ha fatto il suo tempo e va profondamente riformato.
Così proprio dalla Regione che è stata teatro di uno dei momenti più bui della Fini-Giovanardi, la caccia alle streghe tramutatasi in processo contro il Rototom Sunsplash Festival, lancia un segnale forte dall’interno delle Istituzioni per la riforma della legge sulla droga.
Con una larga maggioranza, solo 6 i voti contrari, il consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia ha infatti dato il via libera la settimana scorsa alla “legge voto” promossa da Silvana Cremaschi, che invita il Parlamento ed il Governo a mettere all’ordine del giorno la riforma della politica sulle droghe in Italia.
Il testo approvato a Trieste richiede infatti a Governo e Parlamento di affrontare “lo scottante problema di un ripensamento globale delle pene detentive in Italia e della definizione in particolare di misure alternative alla reclusione” e riprende a questo scopo il testo del progetto di legge elaborato dal gruppo di lavoro promosso dalla Società della Ragione e poi sostenuto dal Cartello di Genova che riforma la legge 309/90, con la consapevolezza che il sovraffollamento nelle carceri ha origine proprio nella legislazione antidroga.
Va ricordato che il testo della proposta di legge depositata alla Camera da Filippo Fossati (C. 3413) e al Senato da Sergio Lo Giudice (S 2399) si apre con l’importante definizione della liceità del consumo personale di sostanze, e prevede – oltre all’eliminazione definitiva delle sanzioni amministrative – anche la non punibilità della coltivazione, anche associata, di piante di cannabis ad uso personale. Inoltre il testo delinea una armonizzazione delle pene previste per spaccio e traffico rispetto al sistema penale italiano e più in linea con i principi costituzionali: ad esempio si passa da un profilo di pena detentiva per spaccio (art. 73) che attualmente va dagli 8 ai 20 anni (diminuita di un terzo per le sostanze in tabella II, in particolare la cannabis), ad una più ragionevole previsione di pena da 1 a 8 anni. Anche i minimi di pena per i reati associativi sono diminuiti considerevolmente. Inoltre il testo della proposta di legge delinea una revisione dell’impianto previsto per l’esecuzione penale dei detenuti tossicodipendenti con il chiaro obiettivo di favorire l’accesso alle misure alternative alla detenzione. Viene anche istituito presso ogni tribunale un servizio pubblico per le dipendenze che dovrà segnalare al giudice l’esistenza di un programma terapeutico in corso e soprattutto dovrà eventualmente predisporre in via di urgenza, su richiesta degli interessati o di ufficio, un programma prima dell’udienza. Dal punto di vista dei servizi vanno segnalate le modifiche che allineerebbero l’Italia con i Paesi europei ed extra europei permettendo la sperimentazione sui territori dell’efficacia di misure di riduzione del danno come, tra le altre, le stanze del consumo sicuro e il pill testing.
Il voto friulano va rimarcato come un fatto politico importante, non solo perché finalmente una Regione, per la prima volta da alcuni anni, esce dalle paludi securitarie e prende una posizione netta sulle politiche sulle droghe, ma anche perché il Friuli Venezia Giulia è la Regione della Presidente Debora Serracchiani, vice segretaria del Partito Democratico. Non sappiamo ancora se son rose, e se mai fioriranno. Ma di certo un seme è stato piantato.
Cannabis legale, al via la legge popolare
Inizia ufficialmente oggi in tutta Italia la raccolta firme sulla Legge di iniziativa popolare per la regolamentazione legale della cannabis e dei suoi derivati. Promossa dai Radicali e dalla Associazione Luca Coscioni e sostenuta da un vasto schieramento di associazioni, da Forum Droghe ad Antigone, dalla Società della Ragione alla Cild, passando per la Coalizione per la legalizzazione, la campagna vuole portare il dibattito sulla legalizzazione della marijuana nelle piazze delle nostre città. Dichiaratamente “a sostegno dell’azione parlamentare dell’intergruppo per la legalizzazione della cannabis”, il testo sul quale dovranno essere raccolte almeno 50.000 firme differisce però in alcuni punti non irrilevanti da quello presentato con la prima firma di Roberto Giachetti. Le differenze sono di particolare interesse perché contribuiscono a farne una proposta più avanzata, e se vogliamo anche più libertaria e liberale, rispetto a quella dell’intergruppo. Una proposta che tiene conto del dibattito avviato nella società civile in questi mesi, e quindi anche delle proposte nate all’interno del gruppo di associazioni che si riconoscono nel Cartello di Genova.
In primo luogo, all’articolo 1, viene definita la liceità dell’uso di sostanze, ribaltando finalmente l’impianto legislativo di stampo proibizionista. Una proposta questa già contenuta nella legge di modifica del 309/90 elaborata dal gruppo di lavoro della Società della Ragione e depositata alla Camera dei deputati da Filippo Fossati. Per la coltivazione personale la competenza passa dai Monopoli all’assessorato all’Agricoltura regionale. Una modifica di competenza che è più significativa per quel che riguarda la produzione a fini commerciali: salta infatti il monopolio di Stato previsto dal testo dell’intergruppo, e viene invece introdotto un sistema di autorizzazioni, con il coinvolgimento dei Comuni per quanto riguarda la localizzazione dei locali per la vendita al dettaglio.
Per quel che riguarda il trattamento fiscale la cannabis viene assimilata ai tabacchi, e viene anche definita la destinazione delle risorse derivanti alla vendita: 10% per finanziamenti di campagne informative e per programmi terapeutici e riabilitativi ed il resto suddiviso fra attività di previdenza sociale, assistenza sociale, riduzione delle imposte e incentivi all’occupazione, finanziamenti di investimenti produttivi e infine per la riduzione del debito pubblico. Ricordiamo che stiamo parlando, secondo gli studi più recenti di una cifra compresa tra 4 e gli 8 miliardi di euro all’anno (vedi Marco Rossi, 6° Libro Bianco sulla legge sulle droghe).
Mentre i Gasparri e i Giovanardi insistono nella caccia alle streghe, come dimostra l’esilarante interrogazione parlamentare sulla composizione della delegazione italiana ad UNGASS 2016, finalmente aperta a tutta la società civile (e non solo agli amici proibizionisti), in Italia il tema della regolamentazione legale entrerà finalmente nel dibattito pubblico, a partire dalle piazze delle nostre città. Certo pare difficile che il Parlamento che sta per licenziare le Unioni Civili in quanto “formazioni sociali specifiche” possa legiferare sulla legalizzazione della cannabis. Come del resto appare improbabile che a New York in questi giorni si possano registrare significativi cambiamenti. Ma sarà importante il dibattito nel Paese per obbligare il Parlamento a discutere una proposta seria, ragionevole e condivisa di regolamentazione legale della cannabis, così come sarà decisivo il ruolo delle Ong perché la prossima UNGASS nel 2019 sia disponibile a una rivisitazione delle politiche sulle droghe nel mondo. Una proposta su cui confrontarsi con i cittadini e sulla quale costruire consenso già dalle prossime settimane.
(mio articolo per la rubrica di Fuoriluogo su il Manifesto del 20 aprile 2016)
Canapa, il Canada verso la legalizzazione?
La recente inattesa vittoria elettorale del Partito Liberale in Canada, e l’elezione del suo giovane leader Justin Trudeau a Primo Ministro, ha riportato in primo piano anche nel paese nordamericano il tema della legalizzazione della marijuana a fini ricreativi. Sono passati 14 anni dall’ottimo lavoro svolto nel 2002 dal Rapporto della Commissione presieduta dal Senatore Pierre Claude Nolin (cfr. Fuoriluogo, settembre 2002) che aveva caldeggiato la decriminalizzazione della canapa. Il Partito Liberale è un partito tradizionalmente di centro che però ha puntato per la sua rinascita a una forte attenzione ai diritti civili e ai temi sociali. Durante la recente campagna elettorale non sono mancati gli attacchi, in particolare dal Partito Conservatore al neo Primo Ministro, accusato addirittura in alcuni spot di voler vendere la marijuana ai bambini. Trudeau ha risposto senza scomporsi denunciando come fosse proprio l’approccio governativo a rendere “troppo facile l’accesso alla marijuana per i nostri bambini finanziando allo stesso tempo la criminalità di strada, le bande organizzate ed il commercio di armi”.
Nel programma con cui ha vinto le elezioni Trudeau è stato molto chiaro: rimuovere il consumo ed il possesso di marijuana dal Codice Penale, creando un sistema di regolamentazione rigido per vendita e distribuzione di cannabis con l’applicazione di accise sia federali che locali. Allo stesso tempo punire più severamente chi vende ai minori, chi guida sotto l’effetto di cannabis e chi vende al di fuori del sistema regolato. Il nuovo sistema andrà costruito insieme ai territori e agli esperti di salute pubblica e con le forze dell’ordine.
All’inizio di gennaio è stata resa pubblica la decisione del Governo di affidare a Bill Blair, ex capo della Polizia di Toronto e ora deputato, il fascicolo relativo alla legalizzazione della marijuana. Blair ha dichiarato che è stato molto influenzato dalla posizione del Centre for Addictions and Mental Health (CAMH) che nel corso del 2014 ha esplicitato la propria posizione a favore di una regolamentazione legale della marijuana per meglio garantire la salute pubblica. Il modello proposto dal CAMH prevede il monopolio della vendita, un’età minima per l’acquisto, dei limiti di densità dei luoghi di vendita e di orario, una politica dei prezzi impostata in modo tale da ridurre la domanda, scoraggiare il ricorso al mercato clandestino ed allo stesso tempo orientare verso prodotti a minor rischio, limitando l’accesso ai prodotti più potenti. E previsto ovviamente il divieto di pubblicità, una etichettatura trasparente ed infine l’investimento di risorse nella prevenzione, sia per quel che riguarda la riduzione dei rischi che per quel che riguarda la guida in stato alterato.
Nel frattempo l’industria della marijuana canadese si sta attrezzando. I produttori autorizzati a produrre cannabis per uso terapeutico, legale sin dal 2001, attualmente sono 26 ma ci sarebbero state oltre 1000 richieste, mentre 20 nuove compagnie fanno richiesta di licenza ogni mese. Del resto l’attuale mercato si rivolge a circa 60.000 pazienti, ma se il progetto di regolamentazione legale dovesse andare in porto si aprirebbe un mercato di milioni di persone. Non è un caso che alcune di queste aziende siano approdate anche alla Borsa di Toronto.
Per quanto riguarda il rapporto con le Convenzione internazionali sulle droghe in Canada probabilmente non si faranno troppi problemi. Nel 2013 il Canada si è ritirato dalla Convenzione ONU per la lotta alla desertificazione, nel 2011 dagli impegni del Protocollo di Kyoto e nel 1981 dalla Convenzione per la regolazione della caccia alle balene.
Tutta la documentazione on line su ungass.fuoriluogo.it
La canapa tessile dà alla testa ai deputati
Articolo sulla legge per la promozione della canapa tessile e alimentare per la rubrica di Fuoriluogo su il Manifesto del 14 ottobre 2015.
L’abolizione del bicameralismo fondata sulla necessità di approvare le leggi più velocemente senza un doppio esame desta qualche preoccupazione visti alcuni casi di attualità. Parliamo di quello che è successo alla Camera dei deputati in relazione al progetto di legge recante il titolo “Norme per il sostegno e la promozione della coltivazione e della filiera della Canapa”. Un titolo più che incoraggiante, ma la soddisfazione è durata lo spazio di un mattino. Infatti è bastato andare a leggersi l’articolato approvato dalla Commissione Agricoltura e inviato alle Commissioni competenti per i pareri dovuti, per scoprire una vera enormità.
Infatti il testo all’articolo 9, primo comma, prevedeva la collocazione in tabella I (quella delle droghe cosiddette pesanti) della “canapa sativa, compresi i prodotti da essa ottenuti, proveniente da coltivazioni con una percentuale di tetraidrocannabinoli superiore all’1 per cento, i loro analoghi naturali…”. Una previsione sconcertante, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale del 2014 e del dibattito internazionale sulle droghe che è orientato verso ben altre direzioni.
Questa norma davvero allucinante era peraltro presente nei numerosi progetti di legge, da cui nasce la discussione, presentati dagli onorevoli Lupo, Zaccagnini, Oliverio e Bianchi nel 2013, prima della sentenza della Corte, quando era vigente la tabella unica di tutte le sostanze stupefacenti prevista dalla Fini-Giovanardi. Ha però destato qualche sospetto in più di un osservatore il fatto che, nonostante il testo sia stato emendato in varie parti durante la trattazione in commissione, nessuno si sia accorto di tale errore che riportava l’orologio indietro, a prima della decisione della Corte Costituzionale che nel febbraio 2014 aveva decretato l’incostituzionalità della legge con il ritorno alla Iervolino-Vassalli che prevedeva tabelle diverse per le droghe pesanti e quelle leggere. E’ addirittura incredibile che neppure i funzionari della Camera si siano resi conto del pasticcio che stava prendendo corpo.
Dopo l’estate il caso è divenuto di pubblico dominio quando in Commissione Affari Sociali la relatrice ha verificato l’incoerenza del nuovo testo unificato rispetto alle attuali previsioni del 309/90. Le reti antiproibizioniste si sono allertate e così Maria Stagnitta presidente di Forum Droghe ha denunciato “una controriforma sul piano penale fatta dalla Commissione Agricoltura in barba alla Commissione Giustizia e al ministro Orlando”. Daniele Farina deputato di SEL preannunciava battaglia in Commissione Giustizia ed altrettanto faceva l’on. Ferraresi del Gruppo 5 stelle. A quel punto i deputati del PD della commissione Agricoltura Oliverio e Terrosi tentavano di ridimensionare il tutto assicurando una modifica “tecnica”, da apportare in seguito all’esame delle altre commissioni.
La scorsa settimana finalmente è arrivato il parere, non tecnicamente ma politicamente tranciante, della Commissione Giustizia che ha richiesto l’eliminazione del comma incriminato. Anche la Commissione Ambiente della Camera ha proposto modifiche, in particolare per evitare l’utilizzo come biomassa delle piante di canapa utilizzate per la bonifica dei siti inquinati. Quindi l’8 ottobre la commissione Agricoltura ha preso atto e modificato di conseguenza il testo.
E’ auspicabile che l’Aula approvi le norme per sostenere una produzione storica dell’Italia eliminando sanzioni e controlli, certificando soltanto la provenienza del seme per garantire la buona fede del coltivatore.
Anche questa vicenda surreale conferma l’urgenza di una modifica radicale della legge 309/90.
(leggi il dossier su canapa sativa su www.fuoriluogo.it)
Rototom, Bob Marley è innocente!
Oggi a Udine si svolge l’ultima udienza del processo che vede imputato Filippo Giunta, lo storico organizzatore del Rototom Sunsplash, per agevolazione del consumo di sostanze durante l’edizione del Festival del 2009, l’ultima ad essere organizzata a Osoppo nel parco del Rivellino.
Un processo iniziato sull’onda repressiva della Fini-Giovanardi e di una furiosa caccia alle streghe. A seguito dell’assedio lanciato dalle forze dell’ordine durante quell’edizione, furono effettuati 103 arresti fra i 150.000 frequentatori del festival ai sensi della nuova normativa antidroga. Per lo più consumatori di cannabis, vero obbiettivo della legge. Un assurdo accanimento nei confronti del Festival che coinvolse anche Ispettorato del lavoro, Vigili del Fuoco, NOE, NAS, Finanza, Vigili urbani di vari comuni, tutti impegnati a trovare fantasiose irregolarità nell’organizzazione del Rototom.
Oggi Giunta, assistito dagli avvocati Alessandro Gamberini e Simona Filippi, sarà in tribunale per rendere la sua testimonianza e forse per ascoltare la sentenza. Siamo convinti che si arriverà ad una piena assoluzione ma un grave delitto è stato far perdere ad Osoppo un grandissimo evento musicale e culturale. Il Friuli, terra di Pier Paolo Pasolini, Loris Fortuna e Beppino Englaro, è stato purtroppo il teatro di una operazione repressiva e di censura di un’intera comunità, colpevole di amare il reggae e quindi la cannabis, per una supposta proprietà transitiva fantasiosamente applicata al diritto penale.
Osoppo rimpiange il suo Festival, che aveva garantito più di 500.000 euro di investimenti regionali sul Parco del Rivellino, e che secondo stime de il Sole 24 ore faceva girare fra i 5 e i 7 milioni di euro. Un rimpianto per gli amministratori di Osoppo, che insieme all’intera comunità locale e ad un vasto movimento di artisti, intellettuali e attivisti si sono schierati nel tempo al fianco degli organizzatori sotto lo slogan “Non processate Bob Marley”.
Del resto in Spagna a Benicassim, dove è emigrato nel 2010, il festival è cresciuto continuamente confermandosi come il Festival Reggae più importante d’Europa incrementando le presenze sino alle 240 mila dello scorso anno. L’Università di Castellon ha stimato una ricaduta economica sul territorio di circa 24 milioni di euro. Anche per questo difficilmente Rototom tornerà in Italia. Insomma Osoppo, il Friuli e l’Italia hanno perso, a causa dell’ottusa foga proibizionista, non solo un grande evento musicale e culturale, ma anche una grande risorsa per l’economia locale.
Con la sentenza di oggi ci auguriamo si compia un ulteriore passo verso la sconfessione delle politiche proibizioniste italiane, almeno nelle aule dei tribunali. Mentre il mondo guarda avanti, oltre la war on drugs, le sue vittime ed i suoi palesi insuccessi, in Italia il dibattito sulla riforma della politica sulle droghe fatica ad arrivare sui tavoli della politica nonostante la Fini-Giovanardi sia ormai stata cancellata dalla Corte Costituzionale. Se in Parlamento qualcosa si muove, con la costituzione di un intergruppo per la legalizzazione della cannabis recentemente promosso da Benedetto Della Vedova, il Governo pare voler far finta di niente. Il Cartello di Genova sta mettendo a punto un calendario di iniziative con al centro la pubblicazione di un nuovo Libro Bianco sugli effetti della legge antidroga. La Società della Ragione intende aprire il confronto su una nuova legge sulle droghe, proprio da Udine. Un appuntamento fondamentale, per costruire una posizione italiana seria e riformatrice in vista di UNGASS 2016, la sessione ONU sulle droghe prevista per il prossimo anno.
Droghe, il Libro Bianco per cambiare
Stamattina alle 11 a Roma (Sala del Senato Santa Maria in Aquiro, Piazza Capranica 72) il Cartello che ha promosso il Manifesto di Genova, presenta la quinta edizione del Libro Bianco sulla Fini-Giovanardi. Promosso da La Società della Ragione, Antigone, Cnca, Forum Droghe il rapporto anticipa e nei fatti sostituisce la relazione governativa probabilmente congelata in attesa del nuovo Capo Dipartimento Antidroga, e vorrebbe essere l’ultimo che mette in fila i danni di una legge sulle droghe che ha fatto della propaganda e della repressione la sua bandiera.
La Fini-Giovanardi, cancellata dalla Corte Costituzionale dopo una battaglia tenacemente condotta dalle associazioni, rimane come un’ombra nera sul nostro sistema giuridico. Lo abbiamo visto con la genesi del decreto Lorenzin che, ipotizzando addirittura la riproposizione delle norme cassate, ha buttato alle ortiche la grande chance riformatrice messa in campo dalle novità politiche internazionali (Uruguay, Colorado e Washington) e dalla sentenza della Corte. Come la muffa sui muri la Fini-Giovanardi è addirittura rispuntata in Gazzetta Ufficiale, con un grottesco refuso riconosciuto dal Governo.
Il peggio di quella legge però non c’è più. Dopo 8 anni il Libro Bianco ricostruisce il calvario attraverso cui siamo passati. Oltre agli abituali contributi sulla repressione penale e amministrativa dell’uso e della detenzione di sostanze, che confermano ancora una volta come la legge sia stata una fonte di criminalizzazione, di stigmatizzazione e di discriminazione di centinaia di migliaia di giovani e consumatori, vengono proposti approfondimenti sul ruolo dei servizi pubblici e privati, sul consumo giovanile, sui test ai lavoratori e sui controlli alla guida. Non manca in appendice un trittico critico sui principali cavalli di battaglia del braccio destro di Giovanardi al Dipartimento antidroga, dalla composizione delle sostanze alla diffusione dei consumi. In chiusura, in assenza di fonti ufficiali, viene proposta una puntuale ricostruzione della normativa penale vigente del testo unico sulle sostanze stupefacenti.
E’ bene però ricordare che la strage continua: con la criminalizzazione dei consumatori (solo attenuata da pene più miti per la detenzione di droghe leggere) e con la detenzione scandalosa di condannati a pene illegittime. Alcune migliaia di detenuti, secondo la giurisprudenza della Cassazione, meriterebbero di vedersi rideterminata la pena, ma sono abbandonati a se stessi dal cinismo e dall’inazione di Governo e Parlamento. Basterebbe un decreto o un indulto ad hoc: invece si preferisce intasare gli uffici giudiziari con le singole richieste di ricalcolo delle pene o – peggio – far scontare alle persone pene ingiuste.
Come detto è cambiato lo scenario entro cui ci muoviamo. Serve allora un radicale mutamento delle politiche sulle droghe nel nostro Paese che distingua nettamente le politiche sociali e sanitarie da quelle penali. Serve una compiuta depenalizzazione del possesso e della cessione gratuita di piccoli quantitativi di sostanze destinati all’uso personale, anche di gruppo. Serve poi una regolamentazione legale della produzione e della circolazione dei derivati della cannabis e della libera coltivazione a uso personale. Serve il rilancio dei servizi per le dipendenze e delle politiche di “riduzione del danno”. Serve il superamento del fallimentare modello autocratico del Dipartimento Antidroga, con una gestione partecipata che abbia come primo obiettivo la convocazione entro l’anno della Conferenza nazionale prevista dalla legge e cancellata da troppi anni.
Scarica il V° Libro Bianco sulla legge Fini-Giovanardi sulle droghe: libro_bianco_2014.pdf.
Leggi le pillole del Libro Bianco sulla legge Fini-Giovanardi sulle droghe
Leggi il comunicato di presentazione del V° Libro Bianco sulla legge Fini-Giovanardi sulle droghe

Una firma per il fronte dei diritti
Continua la mobilitazione sulle tre leggi di iniziativa popolare per l’introduzione del reato di Tortura, per la salvaguardia dei diritti umani in Carcere e per una completa riforma della legge Fini Giovanardi sulle droghe. La prima giornata nazionale di raccolta firme del 9 aprile ha visto oltre diecimila persone fare pazientemente la fila ai banchetti davanti ai tribunali; il 9 maggio si replica davanti alle Università italiane.
I promotori hanno così voluto venire incontro alle migliaia di giovani che con entusiasmo si sono recati a firmare le proposte di legge, a volte facendo chilometri. Come ricordano i promotori, queste leggi “nei fatti costituiscono un vero e proprio programma di governo per ripristinare la legalità nel nostro sistema penale e penitenziario”. Non è solo la riforma della legge sulle droghe, con la completa depenalizzazione del consumo e la non punibilità della coltivazione di cannabis, a mobilitare le nuove generazioni. Le norme sul reato di Tortura detengono sinora il primato delle adesioni con quasi 15.000 firme: segno che il G8 di Genova e i casi Aldrovandi, Cucchi, Uva (e purtroppo tanti altri) sono ferite ancora aperte nella società; e segno che forse i giovani italiani, su cui spesso si scaglia la repressione di Stato, sono più sensibili al tema della salvaguardia dei diritti umani di quanto non lo siano i loro rappresentanti in Parlamento. L’introduzione del reato di tortura è prevista da una convenzione internazionale ratificata dal nostro paese. Tuttavia, l’iniziativa è finora naufragata di fronte a interessi corporativi delle forze dell’ordine e per la pavidità delle forze politiche, succubi della deriva giustizialista degli ultimi vent’anni.
Il carcere è sempre più un buco nero in cui annegano i principi costituzionali e in cui trionfa l’illegalità. Il neo premier Letta ha denunciato l’insostenibilità della situazione e la ministra Cancellieri ha dichiarato che il sovraffollamento delle carceri è una priorità. Da molto tempo le grida di allarme si sprecano, ma rischiano di ridursi a pura retorica se non si affrontano le cause di fondo che alimentano la bulimia carceraria. Le tre leggi sono l’unica risposta, coerente.
Ci auguriamo che, sotto l’onda dell’entusiasmo popolare, si crei in Parlamento un nuovo e inedito “fronte dei diritti” che sappia scardinare il processo di autoreferenzialità e di involuzione democratica degli ultimi anni: forse il vasto salto generazionale farà il miracolo.
D’altronde, nella prima repubblica, pur in presenza di governi con egemonia della Dc furono approvate le leggi sul divorzio e sull’aborto.
Con questa speranza e con la semplice e rivoluzionaria convinzione di fare la cosa giusta, invito tutti a recarsi oggi a firmare, dalle 9 alle 14, davanti alle università di Bari, Campobasso, Roma, Bologna, Ferrara, Napoli, Milano, Parma, Pescara, Modena, Torino, Trento, Padova, Cassino, Reggio Emilia, Lecce e tante altre città ancora. Le indicazioni per trovare i banchetti presso cui firmare con l’indirizzo dell’ateneo e l’elenco dei comuni nei quali si può firmare, si possono trovare sul sito www.3leggi.it e sulla pagina facebook.com/3leggi.
Articolo per la rubrica di Fuoriluogo sul Manifesto del 9 maggio 2013.
Una firma per il fronte dei diritti
Continua la mobilitazione sulle tre leggi di iniziativa popolare per l’introduzione del reato di Tortura, per la salvaguardia dei diritti umani in Carcere e per una completa riforma della legge Fini Giovanardi sulle droghe. La prima giornata nazionale di raccolta firme del 9 aprile ha visto oltre diecimila persone fare pazientemente la fila ai banchetti davanti ai tribunali; il 9 maggio si replica davanti alle Università italiane.
I promotori hanno così voluto venire incontro alle migliaia di giovani che con entusiasmo si sono recati a firmare le proposte di legge, a volte facendo chilometri. Come ricordano i promotori, queste leggi “nei fatti costituiscono un vero e proprio programma di governo per ripristinare la legalità nel nostro sistema penale e penitenziario”. Non è solo la riforma della legge sulle droghe, con la completa depenalizzazione del consumo e la non punibilità della coltivazione di cannabis, a mobilitare le nuove generazioni. Le norme sul reato di Tortura detengono sinora il primato delle adesioni con quasi 15.000 firme: segno che il G8 di Genova e i casi Aldrovandi, Cucchi, Uva (e purtroppo tanti altri) sono ferite ancora aperte nella società; e segno che forse i giovani italiani, su cui spesso si scaglia la repressione di Stato, sono più sensibili al tema della salvaguardia dei diritti umani di quanto non lo siano i loro rappresentanti in Parlamento. L’introduzione del reato di tortura è prevista da una convenzione internazionale ratificata dal nostro paese. Tuttavia, l’iniziativa è finora naufragata di fronte a interessi corporativi delle forze dell’ordine e per la pavidità delle forze politiche, succubi della deriva giustizialista degli ultimi vent’anni.
Il carcere è sempre più un buco nero in cui annegano i principi costituzionali e in cui trionfa l’illegalità. Il neo premier Letta ha denunciato l’insostenibilità della situazione e la ministra Cancellieri ha dichiarato che il sovraffollamento delle carceri è una priorità. Da molto tempo le grida di allarme si sprecano, ma rischiano di ridursi a pura retorica se non si affrontano le cause di fondo che alimentano la bulimia carceraria. Le tre leggi sono l’unica risposta, coerente.
Ci auguriamo che, sotto l’onda dell’entusiasmo popolare, si crei in Parlamento un nuovo e inedito “fronte dei diritti” che sappia scardinare il processo di autoreferenzialità e di involuzione democratica degli ultimi anni: forse il vasto salto generazionale farà il miracolo.
D’altronde, nella prima repubblica, pur in presenza di governi con egemonia della Dc furono approvate le leggi sul divorzio e sull’aborto.
Con questa speranza e con la semplice e rivoluzionaria convinzione di fare la cosa giusta, invito tutti a recarsi oggi a firmare, dalle 9 alle 14, davanti alle università di Bari, Campobasso, Roma, Bologna, Ferrara, Napoli, Milano, Parma, Pescara, Modena, Torino, Trento, Padova, Cassino, Reggio Emilia, Lecce e tante altre città ancora. Le indicazioni per trovare i banchetti presso cui firmare con l’indirizzo dell’ateneo e l’elenco dei comuni nei quali si può firmare, si possono trovare sul sito www.3leggi.it e sulla pagina facebook.com/3leggi.
Articolo per la rubrica di Fuoriluogo sul Manifesto del 9 maggio 2013.
Droga, fine del tabù mondiale
Discutere pubblicamente della fine della war on Drugs e di una politica internazionale sulle droghe alternativa alla repressione è sin dai tempi di Nixon un vero e proprio tabù. Può un documentario di un’ora, fra interviste, dati e immagini, aiutare a romperlo? E’ quanto tenta di fare il video della campagna Breaking the taboo, lanciata dalla Beckley Foundation insieme a molte altre Ong internazionali.
Le immagini di Baltimora, città simbolo degli effetti della tolleranza zero in Usa, sono meno violente e tragiche di quelle che documentano gli effetti della “guerra alla droga” esportata in America Latina, ma non meno agghiaccianti: in quarant’anni, la popolazione della città natale di Frank Zappa si è quasi dimezzata. Oggi, il 10% dei residenti è tossicodipendente e sono circa 50.000 gli edifici abbandonati; nel solo 2007 sono stati 100.000 gli arresti per droga su una popolazione di 600.000 residenti. In tutti gli Stati Uniti, dal 1970 al 2012, i detenuti sono passati da 330.000 a due milioni e trecentomila, con una progressione che ricorda molto da vicino l’effetto sulle carceri italiane della Fini-Giovanardi. Non siamo i soli a seguire pervicacemente il cattivo esempio. Lo Zar antidroga russo Ivanov annuncia di voler trasportare nell’Asia continentale la strategia armata Usa in America Latina, forse non soddisfatto del milione di sieropositivi causato dal rifiuto di minime pratiche di riduzione del danno in madrepatria.
Proprio l’America Latina è il terreno privilegiato su cui si gioca il futuro delle politiche mondiali. Da un lato è sotto gli occhi di tutti il fallimento della war on drugs con la conseguente escalation di violenza (che ha portato a cinquantamila morti in Messico negli ultimi 6 anni); dall’altro, molte sono le voci che oggi si alzano per chiedere una svolta politica (cfr. Amira Armenta, il Manifesto 20.6.12). Svolta già intrapresa in Uruguay, con il progetto di legge governativo per la legalizzazione della marijuana che sta contagiando la gran parte dei paesi latinoamericani. Illuminanti le parole del presidente colombiano Santos: “Abbiamo combattuto la droga e i cartelli per quarant’anni, ma il narcotraffico continua come prima. Oggi mi sento come su una bicicletta bloccata: tu ti sforzi, pedali, guardi a destra e sinistra, ma vedi sempre lo stesso luogo. Ci vuole un nuovo approccio: ci sono molte alternative, inclusa la legalizzazione, ma prima dobbiamo rompere il tabù”.
La campagna Breaking the taboo (col film disponibile su Youtube) rilancia nel dibattito pubblico le conclusioni della Global Commission on Drugs, composta da importanti personalità internazionali fra cui l’ex segretario generale Onu, Kofi Annan. La Global Commission ha chiesto all’Onu di fermare la guerra alla droga. Una lettera aperta all’Onu per rivedere la convenzione unica del 1961 è stata sottoscritta da artisti del calibro di Morgan Freeman (che è anche voce narrante del film), Sting, Kate Winslet, Natalie Imbruglia, Bernardo Bertolucci; ma anche da politici, come alcuni ex presidenti: l’americano Jimmy Carter, il brasiliano Fernando Cardoso, la svizzera Ruth Dreifuss, il colombiano Cesar Gaviria, il messicano Vicente Fox e alcuni “insospettabili“ come Lech Walesa e Javier Solana. Si può aderire on line alla lettera aperta e alla campagna #breakthetaboo.
Leonardo Fiorentini
(articolo scritto per la rubrica di Fuoriluogo sul Manifesto del 12 dicembre 2012)
Documentario e adesione http://www.breakingthetaboo.info/.
L’America è più antiproibizionista di Obama?
Sono sei i referendum sul fronte della legalizzazione della marijuana posti all’attenzione degli elettori americani nella tornata di ieri. Si votava negli stati dell’Arkansas, Colorado, Massachusetts, Montana, Oregon e Washington. Da sottolineare perchè particolarmente significative le vittorie in Colorado e nello stato di Washington, dove viene legalizzato (e tassato) anche l’uso ludico dei derivati della cannabis. Il Massachuetts è il 18esimo stato americano a legalizzare la marijuana terapeutica.
L’America, o almeno parte di questa, è più avanti sul piano dei diritti dei consumatori di canapa del suo Presidente appena rieletto: vedremo se in questo secondo mandato Obama avrà il coraggio di imprimere una svolta alle politiche proibizioniste sia all’interno della nazione che all’estero, ponendo fine alla War on Drugs voluta oltre 40 anni fa da Nixon.
Qui sotto una breve descrizione dei quesiti e i risultati noti al momento in cui scriviamo (via NORML):
Arkansas: Medical Marijuana Initiative
Il voto favorevole all’iniziativa referendaria consentirà ai cittadini dell’arkansas malati e a fine vite di utilizzare marijuana sotto prescrizione medica per gravi condizioni mediche debilitanti. La marijuana medica sarà distribuita in modo strettamente regolato, in Dispensari non a scopo di lucro. È possibile leggere il testo completo dell’iniziativa qui.
Risultati 52% contrari 48% favorevoli (63% dello scrutinio – fonte).
Colorado: Amendment 64
La proposta rimuove tutte le sanzioni civili e penali in tutto lo stato per il possesso personale di marijuana (fino a un’oncia di peso, circa 28 grammi). Permette anche la coltivazione domestica di marijuana in uno spazio chiuso (fino a sei piante, come per la vigente legge sulla marijuana medica). Non cambia normativa vigente per la marijuana medica. Gli obiettivi di questa misura includono la creazione e la regolamentazione di un mercato legale per la produzione e la vendita di cannabis ai cittadini di età superiore ai 21 anni, tramite licenza dello Stato. Maggiori info.
Risultati: 54% favorevoli 46% contrari (70% dello scrutinio – fonte).
Massachusetts: Medical Marijuana Initiative
Questa initiziativa permetterà ai pazienti dello stato del Massachusetts l’accesso alla marijuana medica. Consentire ai pazienti di ottenere la marijuana medica presso numero limitato di centri di trattamento non-profit, disciplinati dal Dipartimento di Stato per la Salute Pubblica, e accessibili grazie a una tessera di iscrizione rilasciata dopo la prescrizione del medico. In casi specifici potrà essere consentita la coltivazione domestica. Il testo completo dell’iniziativa può essere letto qui.
Risultati: 63% favorevoli 37% contrari 57%-43%(92% dello scrutinio – fonte).
Montana: Medical Marijuana Veto Referendum
L’iniziativa è stata promossa per porre il veto alla legge approvata nel maggio 2011 che pone restrizioni sull’accesso alle terapie con marijuana, rispetto al provvedimento approvato nel 2004. Votare a favore significa confermare la nuova legge più restrittiva). Maggiori info.
Risultati: 57% favorevoli 43% contrari (fonte)
Oregon: Measure 80
Il Cannabis Tax Act è frutto di un’iniziativa dei cittadini per regolare il mercato dei derivati della cannabis e per ripristinare la filiera industriale della canapa. La vendita sarà consentita solo ai maggiori di 21 anni e la tassazione genererebbe oltre $ 140 milioni l’anno. La legge ripristinerà l’industria della canapa: i derivati della canapa potranno essere utilizzati per prodotti alimentari, abbigliamento, carburante, carta e altro ancora. Maggiori info.
Risultati: 55% contrari 45% favorevoli (55% dello scrutinio – fonte)
Washington: Initiative 502
Questa misura permetterà di eliminare i divieti contro la produzione, lavorazione e vendita di marijuana, subordinata ad autorizzazione e regolamentazione da parte dell’ufficio di controllo sugli alcolici; consentirà il possesso limitato di marijuana da parte di persone di età superiore ai 21 anni, e di imporre accise 25% sulla vendita all’ingrosso e al dettaglio di marijuana, entrate destinate alla prevenzione delle tossicodipendenze, alla ricerca, all’istruzione e alla sanità. Le leggi che vietano la guida sotto l’influenza di cannabinoidi e dovrà essere modificata per includere soglie massime per la concentrazione di THC nel sangue. Maggiori info.
Risultati: 55% favorevoli 45% contrari (fonte)
Debunking the debunker
Le droghe sono già libere, le vogliamo regolamentare?
Bisogna ammettere che l’articolo di John B. pubblicato nella rubrica “doktor debunker” offre una serie di interessanti spunti (anche se da punti di partenza un po’ arretrati) sul dibattito sulla legalizzazione della cannabis. A partire dal titolo, per finire alle conclusioni, questo articolo è quindi un tentativo – rivedibile e perfezionabile, di questo mi scuseranno i lettori – di debunking del debunker.
UN MERCATO GIA’ LIBERO – Non nascondiamoci dietro il dito di Giovanardi, oggi il mercato delle sostanze stupefacenti è un mercato libero nei fatti: chiunque puo’ trovare qualunque tipo di sostanze ovunque si trovi. Le uniche cose sotto controllo sono i prezzi delle sostanze e la loro disponibilità, che sono in mano alle organizzazioni criminali. E non è certo un caso che dall’avvento della tabella unica della Fini-Giovanardi i prezzi dei derivati della cannabis siano progressivamente aumentati per avvicinarsi a quelli di sostanze ben più pericolose, ma più facilmente trasportabili e molto più remunerative per il narcotraffico. Del resto questa è la dura legge del mercato, baby. Quindi cominciamo sgombrando il campo da fraintendimenti, o equivoci più o meno voluti: legalizzare significa regolamentare un mercato che è già liberalizzato.
I COSTI DELLA WAR ON DRUGS – Quindi le droghe sono già libere, nonostante la politica repressiva di oltre 50 anni di War on Drugs, e sono largamente usate nel nostro come in tutto il resto del mondo. Non vorrei dilungarmi troppo sui costi della Guerra alla Droga, che vanno ben oltre il “togliere risorse alle organizzazioni criminali”. Ma recentemente una campagna promossa a livello internazionale ha voluto conteggiare questi costi, e vale la pena di riassumerli sinteticamente così (punti ripresi da Giorgio Bignami, War on drugs, i conti non tornano, Fuoriluogo.it):
- Si sprecano almeno 100 miliardi di dollari l’anno senza effetti significativi sulle dimensioni del narcotraffico (almeno $ 330 miliardi annui) e con una serie di danni collaterali a livello economico e socio-antropologico: infiltrazione capillare delle economie legali, crescente ostilità nei riguardi di chi rispetta le regole…
- Si colpiscono sviluppo e sicurezza. L’escalation della violenza e della corruzione seguita a crescere in modo esponenziale; i danni ai territori e alle popolazioni più deboli e meno sviluppati diventano incommensurabili: per la violazione dei diritti umani, la distruzione di ecosistemi fragili, lo scoraggiamento di investimenti con finalità positive e legittime. L’esempio del Messico è sotto gli occhi di tutti.
- Si favorisce la deforestazione e l’inquinamento, a partire dalle attività di distruzione chimica dei raccolti, che accelerano il disboscamento e la messa a cultura di sempre nuove aree.
- Si crea crimine e si arricchiscono i criminali, non solo fomentando i noti conflitti alla messicana, ma trasformando milioni di cittadini consumatori, altrimenti rispettosi delle leggi e delle regole del vivere civile, in criminali, riempiendo sempre più i carceri di tutto il mondo.
- Si minaccia la salute pubblica, disseminando malattia e morte: in russia si registrano tra gli iniettori di droga di strada oltre l’80% di sieropositivi e malati di AIDS, vedi recente rapporto della Global Commission.
- Si ledono gravemente i diritti umani, come il diritto alla salute e all’accesso alle misure di riduzione del danno, alla privacy, al due process, alla libertà di pensiero e di azione; e questo, punendo in maniera sproporzionata comportamenti che non dovrebbero essere considerati reati e neanche infrazioni; incarcerando a dismisura spesso prima di qualsiasi giudizio; usando trattamenti degradanti sino alla tortura; applicando in alcuni casi la pena di morte; calpestando culture indigene come nel caso della criminalizzazione dell’uso di foglie di coca.
- Si promuove lo stigma e la discriminazione dei consumatori, in particolare per le fasce deboli
Più umilmente in Italia una serie di associazioni impegnate da anni nella proposta di revisione delle leggi sulle droghe hanno presentato poche settimane fa il 3° Libro Bianco sugli effetti della legge Fini-Giovanardi i cui disastri dovrebbero essere sotto gli occhi di tutti. In Italia sui 37.750 detenuti con condanna passata in giudicato, presenti al 27 novembre 2011, ben 14.590 (38,90%) lo sono per violazione della legge sugli stupefacenti. Se sommiamo a questi i detenuti tossicodipendenti in carcere per reati collegati al loro status (piccole rapine, scippi, etc) il conto arriva facilmente al 50%. L’impatto carcerario della legge antidroga è quindi la principale causa del sovraffollamento negli istituti di pena italiani. All’aumento della carcerazione e delle sanzioni amministrative corrisponde un abbattimento dei programmi terapeutici, alla faccia dei proclami di Fini e Giovanardi sul “noi i tossicodipendenti li vogliamo curare”. Migliaia di giovani ogni anno sono privati di patente e passaporto, perchè trovati a fumarsi una canna su una panchina e devono sottostare a controlli per anni e anni, mettendo a rischio non solo la loro vita lavorativa.
LEGALIZZARE VALE UN PUNTO DI PIL – In Italia i costi della repressione sulle droghe ammontano, secondo uno studio di Marco Rossi del 2009 a circa 10 miliardi di euro. Se stimiamo che 2/3 siano legati ai derivati dalla cannabis possiamo quantificare in circa 7 miliardi l’anno l’impatto nell’economia di una legalizzazione e regolamentazione della cannabis al pari del tabacco, fra minori costi per la repressione e imposte sulle vendite. Senza contare la tassazione derivante dall’emersione dell’economia illegale e dell’indotto che tra emersione del lavoro e tassazione dei profitti puo’ far arrivare tranquillamente il valore economico della regolamentazione vicino al punto di PIL.
L’ESEMPIO OLANDESE – Nell’articolo che fornisce lo spunto vengono citati alcuni dati sul consumo di cannabis in Olanda presi da un vecchio rapporto dell’EMCDDA, con un confronto fra il 1997 e il 2006. Oltre al dettaglio di omettere a cosa si riferisse il dato della prevalenza (si trattava dell’uso nella vita nella fascia d’età 15-64), si è evitato di citare il dato immediatamente accanto nella stessa tabella, ovvero come l’uso della cannabis nell’ultimo anno fosse non solo molto più basso, ma pure in calo (dal 5,5 del 97 al 5,4 del 2006). Se poi andiamo a vedere la distribuzione per età, sempre nello stesso rapporto, notiamo come l’uso nell’ultimo anno (che è in effetti il dato che viene usualmente utilizzato per la stima del consumo) sia in calo soprattutto per i più giovani (dal 14,3 all’11,4). Onestà intellettuale mi obbliga a riferire come questi dati siano ampiamente superati. Oggi la prevalenza dell’uso lifetime della cannabis in Olanda è al 25,7% (fonte dati EMCDDA, con l’avvertenza che è cambiato il sistema di campionatura e lo stesso Istituto li utilizza con “parsimonia”, soprattuto per i raffronti con i precedenti) mentre è al 7% quella dell’uso nell’ultimo anno.
L’AUMENTO PROGRESSIVO – Ma, oltre a non aver molto senso imputare l’aumento progessivo del consumo dai primi anni 2000 ad una politica che è iniziata 25 anni prima, questi dati non hanno significato se non vengono confrontati con quelli di un paese a caso che applichi coscientemente la politica internazionale di repressione sulle droghe: l’Italia. Così scopriamo che (dati 2008, qui l’EMCDDA manco li cita gli strabilianti dati di Giovanardi degli anni successivi) in Italia l’uso durante la vita è al 32%, mentre l’uso nell’ultimo anno al 14,3%. Se prendiamo invece un paese, sempre a caso, che ha avviato politiche di depenalizzazione come il Portogallo ritorniamo all’11,7% nella vita e al 6,6% nell’ultimo anno. Insomma, la Legalizzazione certamente non fa aumentare i consumi, e forse li puo’ far diminuire.
LEGALIZZARE? REGOLAMENTARE – In un volume tradotto in italia col titolo “Dopo la War on Drugs” e pubblicato da Ediesse, la fondazione britannica Transform ha ipotizzato, a partire dalle esperienze internazionali, un percorso per la regolamentazione di ogni tipo di sostanza. E’ un libro interessante, che invito a consultare. Serve soprattutto a comprendere come legalizzare significhi regolamentare: oggi un minorenne puo’ acquistare cannabis, senza sapere come è stato prodotta, cosa ci è stato aggiunto, come è stato trasportata e a chi andranno i suoi soldi. E spesso senza conoscere neanche gli effetti della sostanza, o i pericoli derivanti dalle poliassunzioni. Una volta regolamentato, un minorenne non potrà acquistare, ci potranno essere controlli sulla qualità delle sostanze e si potrà informare con un po’ più di serenità sugli effetti delle sostanze, favorendo quindi un uso più consapevole e attivando campagne di informazione come per il tabacco.
AL CONTRARIO – Qui l’esempio olandese ci è utile anche al contrario. L’adozione del Wietpas, ovvero il divieto di vendita ai non residenti e la registrazione dei clienti dei coffeshop, nelle regioni del sud del paese ha infatti provocato un ritorno dello spaccio in strada, la sostituzione del turismo dello sballo col pendolarismo dello spaccio, una forte diminuzione dei prezzi nelle piazze (a confronto con quelli “controllati” nei coffeshop) ed una maggiore disponibilità delle sostanze per tutti, compresi i minorenni utilizzati anche come spacciatori.
IL DIBATTITO SULL’ETICA – Qui non si tratta di dibattere se fumare cannabis sia “eticamente” o “moralmente” più disdicevole che bere alcol. Il dibattito deve essere sul fatto che lo Stato debba o meno arrogarsi il diritto di proibire usi e costumi che non danneggiano gli altri e che danneggiano se stessi meno (zero morti l’anno) che i consumi, perfettamente legali, di alcol (30.000 morti l’anno) o di tabacco (80.000 morti l’anno). Perchè se in questo paese non usciamo in fretta dal vicolo stretto della presunzione di ciò che è “socialmente accettato” sarà difficile contrastare l’evasione fiscale, figuriamoci legalizzare le droghe o garantire le unioni di fatto, o addirittura i matrimoni per gay e lesbiche. Non possiamo poi dimenticare che almeno negli ultimi vent’anni il nostro paese abbia conosciuto una fase di dibattito politico di livello talmente basso da impedire una qualsiasi forma di ragionamento sereno sul tema, e questo è stato subito da un movimento antiproibizionista molto indebolito in questi anni. Non è peraltro un caso che tale quadro politico abbia prodotto la legge Fini-Giovanardi e la Bossi-Fini, due normative criminogene asservite al dogma della “sicurezza”.
MARIJUANA, MITI E FATTI – Diventa più difficile commentare in poche righe argomentazioni come queste: “fanno male, danneggiano il cervello, provocano dipendenza, inducono alterazioni sensoriali e comportamentali che mettono a rischio la vita e l’incolumità degli altri, possono favorire il passaggio al consumo di droghe pesanti…” Si tratta di un compendio di miti sulla marijuana che, presi insieme, meritano un libro. Un libro che per fortuna esiste e che è stato ripubblicato in italiano da Vallecchi. Pur un poco datato aiuta a sconfiggere un po’ di miti sulla Marijuana: Marijuana, i miti e i fatti, di Zimmer e Morgan, è un bel libro, ne consiglio la lettura perchè aiuterebbe un dibattito sereno sui reali effetti dei derivati della cannabis. Per citare testi più recenti, sarebbe sufficiente il testo della Beckley Foundation, che analizza in modo piuttosto esteso la sostanza e i suoi reali effetti (qui una presentazione a cura di Grazia Zuffa, Fuoriluogo). Anche più recentemente molte ricerche (fra queste Tait et al, Addiction, ottobre 2011 e Dregan e Gulliford, “American Journal of Epidemiology”, febbraio 2012) hanno dimostrato come i danni reali del consumo di cannabis siano da considerare modesti anche in caso di un consumo pesante (che certamente non va comunque nè consigliato nè favorito). Qui mi limito ad accennare che non esiste in letteratura uno studio che possa dimostrare la dipendenza fisica dalla sostanza cannabis nell’uomo (esiste una ricerca che dimostra un possibile dipendenza nei topi a dosi da cavallo, il suo curatore, Gian Luigi Gessa è oggi uno degli scienziati più esposti a favore della legalizzazione), per la “cannabis droga di passaggio” basterebbe dire che tutti gli eroinomani hanno cominciato dal latte, ma esistono studi che dimostrano che tale legame non è dovuto alla sostanza, e che anzi l’unico collegamento reale è la commistione dovuta al mercato illegale. Per il resto nessuno ha mai negato che la cannabis abbia effetti, sul corpo come nel cervello. Il problema è comprendere quali siano quelli reali e se siano tali da giustificare la proibizione di quella che, dopotutto, è solo una pianta che ha accompagnato l’uomo da millenni.
LE RICERCHE – Fra l’altro sono numerosissime, ed addirittura alcune di queste accettate pure dal Dipartimento Antidroga italiano, le ricerche sull’uso medico della canapa. Oltre ai noti effetti positivi come sostanza utilizzata nelle cure palliative, per i malati sottoposti a chemioterapia, nella terapia sintomatica della sclerosi multipla, sono in via di accertamento proprietà antitumorali (ad esempio per il tumore prostatico, vedi Indian Journal of Urology e British Journal of Pharmacology).
CONCLUDENDO – Sinceramente chi scrive non sa dove si sposteranno gli interessi dei narcotrafficanti una volta regolamentato legalmente il mercato della canapa in Italia, anche se non disdegnerebbe che la manovalanza del crimine trovasse più vantaggioso e salutare trovare occupazione alla luce del sole in un coffeeshop italiano. So però che almeno le forze dell’ordine non saranno più impegnate in costose retate alla caccia di un paio di piantine di canapa nell’armadio, per essere impiegate per contrastare reati più pericolosi per la società, e che centinaia di migliaia di consumatori potranno liberarsi dal giogo della proibizione. Perchè non è vero che il consumo non sia penalizzato nel nostro paese. Infatti le tabelle ministeriali prevedono un limite talmente basso di principio attivo (500mg per la canapa, ben diverso per la cocaina) che sono innumerevoli i casi di consumatori che, anche per le modalità di consumo della canapa (consumo di gruppo spesso significa anche acquisto di gruppo), risultano sottoposti a procedimento penale e che magari preferiscono patteggiare un fatto di lieve entità con sospensione condizionale, piuttosto che rimanere impigliati per anni nelle maglie del sistema penale italiano. Anche se poi molti finiscono lo stesso in carcere (una stima molto parziale parla di circa il 40% di detenuti per “fatto lieve” sul totale dei detenuti per reati di droga). Per non parlare poi di chi, non volendo finanziare le narcomafie, decide di autocoltivarsi la piantina nel ripostiglio o nell’armadio: questi sembrano diventati negli ultimi anni gli obiettivi privilegiati della repressione, quasi fosse un’aggravante il volersi affrancare dal mercato criminale.
(articolo scritto per Giornalettismo)
Scienza Vs Giovanardi 3 a 0
Giorgio Bignami, per la rubrica di Fuoriluogo sul Manifesto dell’8 febbraio 2012, commenta tre recenti studi sul consumo di cannabis che smentiscono alcuni pilastri del proibizionismo:
In questa rubrica si sono spesso commentati lavori che apparentemente mostravano danni neuropsicologici di lungo termine o aumentata insorgenza di disturbi mentali dopo consumi anche moderati di cannabis. In sintesi, si è sottolineato: 1. come in tali lavori non fosse adeguata la analisi dei fattori confondenti (diversi status economici e culturali, sofferenza psichica non riconosciuta a monte dell’uso di droga, ecc.); 2. come i risultati di studi osservazionali pur ampi e ben controllati siano spesso azzerati, o addirittura capovolti, dagli studi randomizzati in doppio cieco (come è avvenuto nel caso dei trattamenti ormonali di donne in menopausa), studi ovviamente non fattibili nel caso delle droghe. Ora una ricerca australiana (Tait et al, Addiction, ottobre 2011) ha analizzato ripetutamente, lungo l’arco di otto anni, le performance cognitive di oltre 2000 soggetti, inizialmente di 20-24 anni, distribuiti in sei classi a seconda dell’entità del consumo di cannabis e del suo andamento temporale (“antecedente leggero”, “costante leggero”, “antecedente pesante”, “costante pesante”, “solo antecedente”, “mai”). Scontati gli effetti del livello di educazione, del sesso di appartenenza e delle interazioni tra detti fattori tra di loro e con i successivi tempi dei test – una valutazione particolarmente sofisticata dal punto di vista statistico, rispetto agli studi precedenti, questa delle interazioni – tutti i gruppi sono risultati indistinguibili tra loro: salvo un deficit in uno solo dei test (quello che misura il ricordo dell’ informazione recentemente acquisita) nel gruppo “pesanti costanti”; un danno peraltro relativamente modesto rispetto alle caratteristiche, comunque fermamente sconsigliabili, di tale stile di consumo. Per quanto riguarda i meno giovani, un altro studio britannico (Dregan e Gulliford, “American Journal of Epidemiology”, febbraio 2012) ha valutato in circa 9000 soggetti l’associazione tra vari stili di consumo di droghe (per lo più, ma non solo, cannabis) a 42 anni e le performance in test cognitivi 8 anni dopo, riscontrando deterioramenti del resto non drammatici solo nei consumatori pesanti e inveterati. In tale studio si è addirittura dovuto “scontare” coi fattori confondenti – in particolare il più elevato livello di educazione – l’apparente relazione mediamente positiva tra consumo di droga remoto e/o recente e successiva performance nei test. Cioè essendo la percentuale di consumatori più elevata tra i soggetti di miglior livello socioeconomico ed educativo, e non riportando essi danni accertabili – salvo il solito caso di uso pesante e prolungato – questi performano meglio dei consumatori loro coetanei di categorie meno fortunate. Infine un terzo studio statunitense (Pletcher et al, “Journal of the American Medical Association”, gennaio 2012), oltre a verificare per l’ennesima volta il deterioramento della funzione polmonare nei fumatori di tabacco, ha riscontrato un certo miglioramento della medesima nei fumatori di cannabis; ma manca qui lo spazio per riassumere l’interessante discussione sui possibili meccanismi che potrebbero esser responsabili di tale beneficio. E per chiudere: notino i lettori lo status elevato di tutte e tre le succitate riviste.
Insomma, la Scienza batte Giovanardi (e il fido Serpelloni) 3 a 0.
Il 31 maggio a Tolmezzo processano Bob Marley
Il 31 maggio a Tolmezzo si terrà la prima udienza del processo contro Filippo Giunta, responsabile del Rototom Sunsplash Festival, per l’accusa di “agevolazione all’uso di sostanze stupefacenti”. Negli atti di accusa, convalidati dal GIP, si legge fra le motivazioni che il Rototom sarebbe stato un punto d’incontro di persone in preda alle “suggestioni culturali riconducibili all’ideologia rastafariana che prevede l’associazione tra musica reggae e marijuana”.
Così Fuoriluogo ha deciso di lanciare un’appello per una mobilitazione in solidarietà con il Rototom e per una nuova politica sulle droghe. L’appuntamento è in Piazza XX settembre a Tolmezzo il 31 di maggio. Aderite anche voi!
La war on drugs va superata, un libro vi dice come
Una commissione ad altissimo livello, costituita fra gli altri da personaggi come l’ex segretario delle NU Kofi Annan, gli scrittori Mario Vargas Llosa e Carlos Fuentes, l’ex alto commissario delle NU per i diritti umani Louise Arbour e il musicista Sting, valuta il disastro delle politiche proibizioniste e propone all’ONU di aprire la strada alla legalizzazione. Giovanardi, evidentemente ancora in clima post elettorale, si difende più o meno come Verdini dopo la batosta delle amministrative: “non è vero, il probizionismo ha funzionato, oggi si consuma molta meno droga che nel 1901?. Ma nonostante tutto è evidente che la fallimentare politica repressiva non puo’ andare avanti. E servono soluzioni a breve. Anche per questo vi consigliamo nuovamente la lettura di “Dopo la guerra alla droga. Un piano per la regolamentazione legale delle droghe” edito da Ediesse. Ordinatelo on line dal sito dell’editore. IN REGALO per chi si iscrive a Forum Droghe!
Le reazioni (dal Notiziario Droghe Aduc)
Scarica il Rapporto (in formato pdf, lingua inglese)
Proibizionismo: una politica fallimentare. Leggi l’articolo di Giorgio Bignami per Terra del 3 giugno 2011.
Vai alla presentazione del volume “Dopo la guerra alla droga. Un piano per la regolamentazione legale delle droghe” edito da Ediesse. Ordinalo on line dal sito dell’editore. IN REGALO per chi si iscrive a Forum Droghe!
(via fuoriluogo.it)
Vent’anni di Antigone
Segnalo anche questi due incontri in occasione del ventennale dell’associazione Antigone
Giovedì 19 maggio
ore 14.30 – 19
Università di Roma Tre
Facoltà di Giurisprudenza
Aula 2 – piano terra
Via Ostiense 161 – RomaESECUZIONE DELLA PENA, TITOLARITÀ DEI DIRITTI E STRUMENTI DI TUTELA
Saluti di Massimiliano Smeriglio Assessore Provincia di Roma
Presiede Patrizio Gonnella
RELAZIONI
Stefano Anastasia: Difesa civica, prevenzione e tutela non giurisdizionale
Mauro Palma: Limiti sovranazionali alle forme della punizione legale
Marco Ruotolo: I residui di libertà dei detenuti nella giurisprudenza costituzionaleESPERIENZE
Fiorentina Barbieri: Lo sportello a Rebibbia
Franco Corleone: I Garanti locali nella tutela dei diritti dei detenuti
Susanna Marietti e Gianni Torrente: L’esperienza dell’Osservatorio di Antigone
Angiolo Marroni: I Garanti regionali nella tutela dei diritti dei detenuti
Emilio Santoro: L’esperienza de L’altro diritto
Simona Filippi: L’esperienza del Difensore civico di AntigoneINTERVENTI PROGRAMMATI
Giuseppe Mosconi, Carmelo Cantone, Francesco Cascini, Alessandro De Federicis, Giovanni TamburinoConclusioni Luigi Ferrajoli
Venerdì 20 maggio
ore 09.00
Camera dei Deputati, Palazzo S. Macuto
Sala del Refettorio
Via del Seminario 76 – RomaGIUSTIZIA, SICUREZZA, CARCERI
GLI ULTIMI VENT’ANNI ITALIANIVent’anni di politiche della sicurezza
Introduce e coordina Patrizio Gonnella
Loïc Wacquant The Return of the Prison and how to Stop it
Ne discutono Massimo Pavarini, Tamar Pitch, Claudio SarzottiInterviene Franco Ionta
Vent’anni di politiche della giustizia
Introduce e coordina Stefano Anastasia
Dialogo tra Beppe Cascini, Eligio Resta, Valerio SpigarelliConclude Mauro Palma
Per partecipare è necessario comunicare il proprio nominativo entro il 18 maggio a:
segreteria@associazioneantigone.it, tel. 0644363191, 3395889039
I giornalisti possono accreditarsi personalmente allo 0667602125
Per gli uomini è richiesta la giacca
(via fuoriluogo.it)
Parlare di premi è insostenibile
A Rimini è partita in questi giorni una mobilitazione, lanciata dal consigliere comunale Fabio Pazzaglia, contro l’assegnazione a San Patrignano del Sigismondo d’Oro, massima onoreficienza della città della riviera adriatica. Sostenuta da un gruppo di associazioni e partiti (LABORATORIO PAZ, SINISTRA ECOLOGIA E LIBERTA’ RIMINI, GROTTAROSSA SPA, FEDERAZIONE SINISTRA, ASSOCIAZIONE CARLO GIULIANI, LA FABBRICA/RIMINI PER NICHI VENDOLA, ASSOCIAZIONE JACQUERIE) l’iniziativa vorrebbe convincere il Sindaco di Rimini, Alberto Ravaioli, a soprassedere:
Con un passato di gravi violenze ed abusi. Una persona uccisa, tre suicidi misteriosi. Fortissimi dubbi sui metodi di recupero e ancora oggi situazioni strane, come la fuga di massa dalla succursale di Trento nel 2007 inducono a ritenere la decisione del Sindaco Ravaioli affrettata (soprattutto perchè giunge alla fine del suo mandato di undici anni).
Così è scritto nella petizione lanciata on line in queste ore, mentre nel comunicato degli organizzatori della proteste si legge:
“Ricordare è un esercizio che nessuno oramai pratica in Italia; al limite il passato si mistifica a seconda delle convenienze, come accadeva in 1984 di Orwell. Anche la ragione non va di moda: dati scientifici, verificabilità delle fonti, possibilità di ripetere l’esperimento sono vuoti concetti spesso impraticati. Per non parlare del rispetto delle normative, dei regolamenti, delle prescrizioni che questo stato, seppur estremamente fragile, cerca di fare applicare. Quindi non stupisce che il Sindaco di Rimini Dott. Alberto Ravaioli abbia deciso di assegnare a San Patrignano il Sigismondo d’Oro, massima onorificenza della città. Non stupisce neppure (sempre premesso quanto sopra) la risposta che lo stesso ha dato ai parenti delle vittime di San Patrignano, Giuseppe Maranzano e Sebastiano Berla, che gli chiedono conto di questa assegnazione: “Non sapevo ci fossero stati dei problemi nel passato… comunque il Sigismondo d’Oro è già assegnato”. Risposta incredibile.”
Ma non c’è solo il passato da rivangare. Anche episodi recenti, che hanno coinvolto San Patrignano e le sue sedi distaccate, pongono per i promotori dei dubbi sul “lifting” della comunità dei Muccioli, così da accusare il Sindaco di uniformarsi
“all’adagio generale che non considera i tossicodipendenti come persone portatrici di tutti i diritti ascrivibili a una persona, ma uomini e donne da dovere sottomettere per cercare di sostituire la volontà “purificatrice” muccioliana alla loro, in quello che si è già detto essere un DELIRIO DI ONNIPOTENZA teso a ripristinare la normalità (con una violenta e pervasiva forza moralizzatrice) in persone che, invece, versano in grave difficoltà esistenziale e, spesso, devono combattere, oltre che con se stesse anche con chi “vuole salvarle”.”
Mentre domani pomeriggio è previsto un volantinaggio di protesta e un banchetto informativo sulle vicende storiche di san patrignano e sui dubbi in merito alla validita’ del metodo di recupero in occasione della consegna del Sigismondo d’Oro a San Patrignano nella sala dell’Arengo del Comune anche Don Gallo, dalla Comunità di San Benedetto al Porto di Genova, ha inviato ai promotori un messaggio:
Gli ultimi quarantanni di “tossicodipendenza”si possono definire: “strage mafiosa” di cui siamo tutti responsabili. Parlare di premi è insostenibile.
(Articolo per il blog di fuoriluogo.it)