• Droga, una diffida al Governo. Ora basta

    Antigone, Forum Droghe, Lila, l’Associazione Luca Coscioni e la Società della Ragione hanno inviato lo scorso 31 luglio una diffida al Governo per contestare la violazione della norma fondamentale dell’articolo 1 della legge Iervolino-Vassalli sulla convocazione della Conferenza nazionale sulle droghe.

    Il Testo unico sulle droghe (Dpr 309/90) prevede infatti che “ogni tre anni, il Presidente del Consiglio dei Ministri convochi una conferenza nazionale sui problemi connessi alla diffusione delle sostanze stupefacenti e psicotrope, alla quale invita soggetti pubblici e privati che esplicano la loro attività nel campo della prevenzione e della cura della tossicodipendenza. Le conclusioni di tali conferenze sono comunicate al Parlamento anche al fine di individuare eventuali correzioni alla legislazione antidroga dettate dall’esperienza applicativa”.

    La diffida ricorda che l’ultima conferenza nazionale sui problemi connessi con la diffusione delle sostanze stupefacenti si è tenuta a Trieste dal 12 al 14 marzo 2009; da 8 anni manca quindi un momento di condivisione dei dati e di riflessione sugli effetti della legislazione sulle droghe rispetto alla salute e i diritti umani e civili dei consumatori, alla sicurezza sociale e alla giustizia e questo a fronte di ripetute sollecitazioni nonché e incontri istituzionali promossi dalle associazioni che hanno presentato la diffida.

    Va ricordato che quell’appuntamento organizzato dalla coppia Giovanardi-Serpelloni si caratterizzò per la netta chiusura al confronto con le organizzazioni che contestavano la scelta proibizionista e punitiva della legge 49 del 2006 approvata con un colpo di mano e finalmente bocciata dalla Corte Costituzionale nel febbraio del 2014.

    I firmatari della diffida sottolineano di fronte ai cambiamenti legislativi parziali e non coerenti e rispetto agli sviluppi internazionali che comprendono forme diffuse di legalizzazione della cannabis e al dibattito che si è sviluppato all’Assemblea generale dell’Onu a New York nell’aprile 2016, sia sempre più necessario convocare con urgenza una nuova conferenza nazionale sui problemi connessi con la diffusione delle sostanze stupefacenti e psicotrope per porre fine alla inadempienza all’obbligo di legge che dura da troppi anni.

    La conclusione è chiara con la comunicazione che, ”decorso inutilmente il termine di cui all’art. 3 comma 1 D.Lgs n. 198/2009, si procederà alla tutela dei diritti e degli interessi dei propri associati dinanzi alle competenti autorità giudiziarie”.

    A febbraio di quest’anno molte Associazioni avevano lanciato un appello al Governo con precise richieste, dalla nomina di un responsabile politico per dare un indirizzo alla politica delle droghe alla convocazione della Conferenza nazionale sulle droghe, dalla riorganizzazione dei Servizi pubblici nella prospettiva del rilancio della riduzione del danno prevista dai LEA con la previsione di interventi per la prevenzione dei rischi connessi all’abuso e alla clandestinità dei consumi, alla analisi delle sostanze e verso la sperimentazione delle stanze del consumo e dei trattamenti con eroina, alla convocazione di un seminario per discutere il documento conclusivo di Ungass.

    Il silenzio è stato la eloquente risposta.

    il 26 giugno, assieme agli altri gruppi che compongono il Cartello di Genova, è stato presentato l’ottavo libro bianco sulle droghe che ha confermato i gravi effetti collaterali della legislazione antidroga sulla giustizia e sul carcere.

    Il rispetto della legge è un principio che non può essere violato dalle istituzioni. La diffida ha un valore formale, ma la contestazione al Governo è tutta politica. Ora la parola è al Presidente Gentiloni.

  • Cannabis terapeutica, è caccia alle farmacie

    Un conto salato di 60.200 euro. È l’importo complessivo delle multe che sette farmacie galeniche italiane dovranno pagare allo Stato italiano. Il motivo? Violazione dell’articolo 84 del DPR 309/90, ovvero il divieto di “propaganda pubblicitaria di sostanze o preparazioni comprese nelle tabelle” delle sostanze sottoposte a controllo dalle convenzioni internazionale, “anche se effettuata in modo indiretto”. Le sette farmacie comparivano in siti che elencano le aziende che realizzano preparati a base di cannabis terapeutica. Una utile informazione agli utenti, peraltro resa senza che sia nota una richiesta di corrispettivo, ma che per la legge Jervolino-Vassalli diventa passibile di sanzione. Le farmacie hanno ovviamente già presentato ricorso che ci auguriamo sia accolto. Alcune hanno anche oscurato il proprio sito per protesta.

    L’azione, evidentemente pretestuosa da parte dello Stato, conferma come la legislazione italiana sulle droghe sia un coacervo di norme dal puro intento vessatorio e repressivo. Ma non solo. Tutto probabilmente nasce da un sospetto. Alcune di queste farmacie all’inizio dell’anno erano state oggetto di controllo da parte del Ministero per la loro richiesta di fornitura di FM2, il preparato a base di cannabis dell’Istituto Farmaceutico Militare di Firenze che “sostituisce” uno dei prodotti olandesi, il Bediol. Al Ministero della Salute il quantitativo richiesto sembrava eccessivo, forse temendo vendite “sottobanco” a persone senza prescrizione. Semmai il problema è la quantità assolutamente insufficiente della prima produzione statale, pari a soli 47 chilogrammi.

    Consumi di Cannabis Terapeutica in Italia

    Nella tabella sono riportati i consumi totali in grammi come somma delle importazioni effettuate da ASL ai sensi del DM 11/2/1997, indicati con consumi ASL, e delle importazioni di aziende autorizzate al commercio all’ingrosso. (Fonte Ministero della Salute)

    Alla fine a chi aveva richiesto 500 grammi di FM2, stimando l’ordine sulla domanda storica, ne sono stati concessi 50. Purtroppo le richieste, come da tempo denunciato dalle associazioni e dai pazienti, sono assolutamente fuori scala rispetto all’attuale produzione dello Stato, e si continua ad importare grossi quantitativi dall’estero. Con un aggravio di costi per il paziente e per l’intero sistema sanitario nazionale. Ricordiamo che una terapia può costare al paziente, se non coperta dal sistema sanitario – per mancanza di una legge regionale o per una patologia non ricompresa fra quelle prescrivibili a carico del SSN – anche alcune centinaia di euro al mese. Ma non solo: per un problema di crisi di produzione da alcune settimane risultano di fatto bloccate le importazioni in Italia dei farmaci olandesi. In risposta ad una recente interrogazione al governo dell’on. Mucci, a seguito anche del digiuno di Rita Bernardini, la Ministra Lorenzin ha annunciato di aver disposto la distribuzione delle scorte dell’IFM (sul perché siano rimaste nei magazzini, l’interrogativo è d’obbligo) e ha assicurato che lo stesso Istituto nel secondo semestre del 2017 metterà a disposizione ulteriori 12 kg che non appaiono comunque sufficienti a rispondere alla domanda totale.

    C’è da domandarsi se non valga la pena di cogliere al balzo la timida proposta del PD di stralcio della cannabis terapeutica dalla proposta dell’Intergruppo riempiendola di contenuti efficaci. Se si riuscisse entro la legislatura a prevedere l’allargamento della produzione di cannabis, su autorizzazione, anche a soggetti diversi dal Farmaceutico Militare di Firenze ed infine, uscendo dalla logica degli elenchi restrittivi, la prescrivibilità per qualunque patologia il medico curante la ritenga utile e la completa depenalizzazione della coltivazione ad uso personale, sarebbe un successo parziale, anzi parzialissimo rispetto alla battaglia per il cambio di politica sulle droghe, ma una vittoria per i malati che subiscono ancora gli effetti della guerra, incomprensibile, ad una pianta millenaria.

  • Nelle città nuove pratiche sulle droghe

    Dopo l’assemblea delle Nazioni Unite sulle droghe UNGASS 2016, che ha sancito il venir meno della compattezza internazionale delle politiche proibizioniste sulle sostanze illegali, numerosi sono i segnali di svolta a livello mondiale. In Uruguay fra poche settimane saranno in vendita nelle farmacie i primi quantitativi di cannabis “statale”, negli Usa otto Stati hanno sancito, per referendum, la legalizzazione dell’uso ricreativo della cannabis, mentre il nono, il Vermont, ha scelto la via parlamentare. In Olanda il Senato deve decidere sulla legge approvata dai deputati a favore della coltivazione della canapa da parte dei coffee-shop, mentre in Canada il governo ha presentato il suo disegno di legge per la regolamentazione della marijuana. La Giamaica infine ha legalizzato l’uso tradizionale della ganja. Le politiche di riduzione del danno più avanzate (stanze del consumo sicuro, trattamenti con eroina, pill testing) sono ormai consolidate in molti paesi europei, mentre approdano nel dibattito pubblico anche in paesi prima refrattari a questo tipo di approccio, come gli Stati Uniti.

    Purtroppo in Italia, la proposta di legge sulla cannabis dell’intergruppo si è arenata in commissione giustizia mentre quella popolare dopo sei mesi dal deposito è ancora sub iudice, in attesa del conteggio dei certificati elettorali che accompagnano le firme. Stessa sorte stanno subendo le proposte di legge di modifica complessiva del Testo Unico sugli stupefacenti, il Dpr 309 del 1990, presentate alla Camera dal deputato Filippo Fossati e al Senato dal sen. Sergio Lo Giudice.

    La legislatura è avviata verso la fine più o meno traumatica e sta dando il peggio possibile, basti pensare ai decreti Minniti e alla vicenda della legge sulla tortura. Occorre prendere atto che gli spazi parlamentari per le droghe non sono agibili e che dal governo in questi anni è giunto chiaramente un segnale di assoluto disinteresse. Gli ultimi due governi, più volte interpellati dalle associazioni del Cartello di Genova, non si sono degnati nemmeno di rispondere. Anche l’ultimo appello “il Governo batta un colpo” lanciato a febbraio e che chiedeva al governo di rispettare i propri obblighi di legge, è caduto nel vuoto.

    È venuto il momento di cambiare il tavolo sul quale confrontarsi. Dall’assemblea di Forum Droghe è arrivato un invito importante. Riprendere quel protagonismo municipale che anche in Italia ha guidato il movimento di riforma delle politiche sulle sostanze negli anni ’90. In questa situazione di stallo politico ed istituzionale, bisogna ripartire dalle città, dove gli effetti del proibizionismo esplodono nelle strade, nelle piazze e nei giardini. Per affermare, partendo dal basso, che non solo una politica diversa sulle droghe è possibile, ma soprattutto che, dati alla mano, è migliore della criminogena repressione.

    In questi anni alcune città si sono apertamente schierate: Genova, Torino e Firenze hanno votato documenti a favore della legalizzazione della cannabis mentre sindaci come De Magistris e Pizzarotti hanno sposato la causa antiproibizionista. Il Friuli Venezia Giulia ha approvato una legge voto che invita il Parlamento ad approvare la proposta di riforma della legge Iervolino-Vassalli che risale a ventisette anni fa.

    Dobbiamo ripartire da qui, coinvolgendo gli amministratori locali, per praticare una politica sulle droghe realistica ed efficace nelle città e nelle regioni disponibili. Un primo confronto potrà avvenire in occasione della presentazione del Libro Bianco sulle droghe prevista il prossimo 26 giugno a Roma (ore 15/18 Sala del Senato di S. Maria in Aquiro – P.zza Capranica 72 – obbligatorio accredito a accrediti@fuoriluogo.it).

  • Canada, la cannabis è partecipazione

    È stato pubblicato il rapporto canadese sulla regolamentazione della cannabis del Dipartimento Federale della Salute. Si tratta del resoconto del processo di consultazione pubblica voluto dal Governo di Justin Trudeau che ha coinvolto enti locali, città, ma anche esperti, pazienti, giuristi, lavoratori e imprenditori oltre che – on line – quasi 30.000 fra cittadini e organizzazioni. Dando conto di tutte le posizioni, la task force sulla cannabis ha stilato una serie di raccomandazioni al Governo in vista della legalizzazione prevista per il 2017, che affiancano rigore scientifico e sensibilità presenti nella società.

    Innanzitutto si raccomanda il divieto di vendita ai minori di 18 anni, il divieto di pubblicità, un confezionamento che informi anche sulla quantità di principio attivo (THC e CBD) e che non sia confondibile con altri prodotti, in particolare per i bambini e che non sia “attrattivo” per loro. Per gli alimenti si chiede un logo che identifichi la presenza di cannabis ed il divieto di prodotti misti con altre sostanze (alcol, tabacco, nicotina e caffeina).

    Per incentivare il consumo di cannabis con basso THC la task force consiglia uno schema di tassazione e formazione del prezzo disincentivante rispetto all’acquisto di prodotti ad alta potenza, pur mantenendo tasse e prezzi a un livello che garantisca l’obiettivo di ridurre il mercato illegale. La tassazione dovrà essere equamente distribuita fra stato centrale e amministrazioni locali e resa flessibile al fine di seguire i cambiamenti di mercato; dovrà finanziare i servizi educativi, la ricerca, la prevenzione degli abusi ed il loro trattamento ed infine il sistema di repressione dei crimini. Per prevenire gli abusi si raccomanda l’implementazione di strategie educative e di informazione basate sulle evidenze scientifiche per prevenire i rischi dell’uso problematico e fornire linee guida per un uso a “basso rischio”. Anche per quel che riguarda l’incidenza del consumo nei luoghi di lavoro si ipotizza un raccordo con enti locali, lavoratori e sindacati per attuare politiche che prevengano incidenti sul lavoro.

    Per la produzione si propone un modello sotto licenza, che apra un mercato accessibile anche ai piccoli produttori. Le produzioni dovranno essere tracciabili e, per limitare l’impatto ambientale, anche outdoor se debitamente protette. Si raccomanda una stretta collaborazione con le autorità locali per la collocazione dei negozi, che non dovranno vendere anche alcol e tabacco e con limitazioni rispetto alla loro densità e collocazione (non vicino a scuole, parchi e altri luoghi sensibili). La massima quantità proposta di sostanza essiccata detenibile in pubblico (e quindi vendibile) è di 30 grammi, mentre l’autocoltivazione viene limitata a 4 piante per abitazione, alte non più di 1 metro. Sul versante della repressione la raccomandazione è di redigere un “Cannabis Control Act” che preveda pene proporzionate alle violazioni, e che escluda dalla sanzione le eventuali condotte senza scopo di lucro (“social sharing”). Una particolare attenzione dovrà essere data a prevenzione e sanzione della guida sotto l’effetto di cannabis, finanziando ricerche per verificare le correlazioni fra livelli di THC e incapacità di condurre veicoli.

    Si è trattato di un enorme processo partecipativo che ha rivelato come “la regolazione della cannabis toccherà ogni aspetto della nostra società”. E’ la conferma di ciò che i riformatori da tempo sostengono, ovvero che politiche intelligenti sulle droghe aiutano a risolvere alcuni dei nodi più problematici della giustizia, della sicurezza e della salute.

    Il rapporto è online su fuoriluogo.it.

  • Droga & riforma, il Friuli pianta un seme

    palazzo_consiglio_regionale_triesteRiparte dal Friuli Venezia Giulia la battaglia per la modifica della legislazione sulle droghe. Mentre la Fini-Giovanardi viene abbattuta, pezzo dopo pezzo, dalle sentenze della Corte Costituzionale, gli operatori, le istituzioni e i politici più sensibili si rendono conto che il Testo Unico degli stupefacenti, la cui ossatura risale al 1990, ha fatto il suo tempo e va profondamente riformato.
    Così proprio dalla Regione che è stata teatro di uno dei momenti più bui della Fini-Giovanardi, la caccia alle streghe tramutatasi in processo contro il Rototom Sunsplash Festival, lancia un segnale forte dall’interno delle Istituzioni per la riforma della legge sulla droga.
    Con una larga maggioranza, solo 6 i voti contrari, il consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia ha infatti dato il via libera la settimana scorsa alla “legge voto” promossa da Silvana Cremaschi, che invita il Parlamento ed il Governo a mettere all’ordine del giorno la riforma della politica sulle droghe in Italia.
    Il testo approvato a Trieste richiede infatti a Governo e Parlamento di affrontare “lo scottante problema di un ripensamento globale delle pene detentive in Italia e della definizione in particolare di misure alternative alla reclusione” e riprende a questo scopo il testo del progetto di legge elaborato dal gruppo di lavoro promosso dalla Società della Ragione e poi sostenuto dal Cartello di Genova che riforma la legge 309/90, con la consapevolezza che il sovraffollamento nelle carceri ha origine proprio nella legislazione antidroga.
    Va ricordato che il testo della proposta di legge depositata alla Camera da Filippo Fossati (C. 3413) e al Senato da Sergio Lo Giudice (S 2399) si apre con l’importante definizione della liceità del consumo personale di sostanze, e prevede – oltre all’eliminazione definitiva delle sanzioni amministrative – anche la non punibilità della coltivazione, anche associata, di piante di cannabis ad uso personale. Inoltre il testo delinea una armonizzazione delle pene previste per spaccio e traffico rispetto al sistema penale italiano e più in linea con i principi costituzionali: ad esempio si passa da un profilo di pena detentiva per spaccio (art. 73) che attualmente va dagli 8 ai 20 anni (diminuita di un terzo per le sostanze in tabella II, in particolare la cannabis), ad una più ragionevole previsione di pena da 1 a 8 anni. Anche i minimi di pena per i reati associativi sono diminuiti considerevolmente. Inoltre il testo della proposta di legge delinea una revisione dell’impianto previsto per l’esecuzione penale dei detenuti tossicodipendenti con il chiaro obiettivo di favorire l’accesso alle misure alternative alla detenzione. Viene anche istituito presso ogni tribunale un servizio pubblico per le dipendenze che dovrà segnalare al giudice l’esistenza di un programma terapeutico in corso e soprattutto dovrà eventualmente predisporre in via di urgenza, su richiesta degli interessati o di ufficio, un programma prima dell’udienza. Dal punto di vista dei servizi vanno segnalate le modifiche che allineerebbero l’Italia con i Paesi europei ed extra europei permettendo la sperimentazione sui territori dell’efficacia di misure di riduzione del danno come, tra le altre, le stanze del consumo sicuro e il pill testing.
    Il voto friulano va rimarcato come un fatto politico importante, non solo perché finalmente una Regione, per la prima volta da alcuni anni, esce dalle paludi securitarie e prende una posizione netta sulle politiche sulle droghe, ma anche perché il Friuli Venezia Giulia è  la Regione della Presidente Debora Serracchiani, vice segretaria del Partito Democratico. Non sappiamo ancora se son rose, e se mai fioriranno. Ma di certo un seme è stato piantato.

  • Cannabis legale, al via la legge popolare

    legalizziamo-cannabis4-e1458235054311Inizia ufficialmente oggi in tutta Italia la raccolta firme sulla Legge di iniziativa popolare per la regolamentazione legale della cannabis e dei suoi derivati. Promossa dai Radicali e dalla Associazione Luca Coscioni e sostenuta da un vasto schieramento di associazioni, da Forum Droghe ad Antigone, dalla Società della Ragione alla Cild, passando per la Coalizione per la legalizzazione, la campagna vuole portare il dibattito sulla legalizzazione della marijuana nelle piazze delle nostre città. Dichiaratamente “a sostegno dell’azione parlamentare dell’intergruppo per la legalizzazione della cannabis”, il testo sul quale dovranno essere raccolte almeno 50.000 firme differisce però in alcuni punti non irrilevanti da quello presentato con la prima firma di Roberto Giachetti. Le differenze sono di particolare interesse perché contribuiscono a farne una proposta più avanzata, e se vogliamo anche più libertaria e liberale, rispetto a quella dell’intergruppo. Una proposta che tiene conto del dibattito avviato nella società civile in questi mesi, e quindi anche delle proposte nate all’interno del gruppo di associazioni che si riconoscono nel Cartello di Genova.

    In primo luogo, all’articolo 1, viene definita la liceità dell’uso di sostanze, ribaltando finalmente l’impianto legislativo di stampo proibizionista. Una proposta questa già contenuta nella legge di modifica del 309/90 elaborata dal gruppo di lavoro della Società della Ragione e depositata alla Camera dei deputati da Filippo Fossati. Per la coltivazione personale la competenza passa dai Monopoli all’assessorato all’Agricoltura regionale. Una modifica di competenza che è più significativa per quel che riguarda la produzione a fini commerciali: salta infatti il monopolio di Stato previsto dal testo dell’intergruppo, e viene invece introdotto un sistema di autorizzazioni, con il coinvolgimento dei Comuni per quanto riguarda la localizzazione dei locali per la vendita al dettaglio.

    Per quel che riguarda il trattamento fiscale la cannabis viene assimilata ai tabacchi, e viene anche definita la destinazione delle risorse derivanti alla vendita: 10% per finanziamenti di campagne informative e per programmi terapeutici e riabilitativi ed il resto suddiviso fra attività di previdenza sociale, assistenza sociale, riduzione delle imposte e incentivi all’occupazione, finanziamenti di investimenti produttivi e infine per la riduzione del debito pubblico. Ricordiamo che stiamo parlando, secondo gli studi più recenti di una cifra compresa tra 4 e gli 8 miliardi di euro all’anno (vedi  Marco Rossi, 6° Libro Bianco sulla legge sulle droghe).

    Mentre i Gasparri e i Giovanardi insistono nella caccia alle streghe, come dimostra l’esilarante interrogazione parlamentare sulla composizione della delegazione italiana ad UNGASS 2016, finalmente aperta a tutta la società civile (e non solo agli amici proibizionisti), in Italia il tema della regolamentazione legale entrerà finalmente nel dibattito pubblico, a partire dalle piazze delle nostre città. Certo pare difficile che il Parlamento che sta per licenziare le Unioni Civili in quanto “formazioni sociali specifiche” possa legiferare sulla legalizzazione della cannabis. Come del resto appare improbabile che a New York in questi giorni si possano registrare significativi cambiamenti. Ma sarà importante il dibattito nel Paese per obbligare il Parlamento a discutere una proposta seria, ragionevole e condivisa di regolamentazione legale della cannabis, così come sarà decisivo il ruolo delle Ong perché la prossima UNGASS nel 2019  sia disponibile a una rivisitazione delle politiche sulle droghe nel mondo. Una proposta su cui confrontarsi con i cittadini e sulla quale costruire consenso già dalle prossime settimane.

    Vai al sito della campagna.

    (mio articolo per la rubrica di Fuoriluogo su il Manifesto del 20 aprile 2016)

  • Canapa, il Canada verso la legalizzazione?

    leo_2013La recente inattesa vittoria elettorale del Partito Liberale in Canada, e l’elezione del suo giovane leader Justin Trudeau a Primo Ministro, ha riportato in primo piano anche nel paese nordamericano il tema della legalizzazione della marijuana a fini ricreativi. Sono passati 14 anni dall’ottimo lavoro svolto nel 2002 dal Rapporto della Commissione presieduta dal Senatore Pierre Claude Nolin (cfr. Fuoriluogo, settembre 2002) che aveva caldeggiato la decriminalizzazione della canapa. Il Partito Liberale è un partito tradizionalmente di centro che però ha puntato per la sua rinascita a una forte attenzione ai diritti civili e ai temi sociali. Durante la recente campagna elettorale non sono mancati gli attacchi, in particolare dal Partito Conservatore al neo Primo Ministro, accusato addirittura in alcuni spot di voler vendere la marijuana ai bambini. Trudeau ha risposto senza scomporsi denunciando come fosse proprio l’approccio governativo a rendere “troppo facile l’accesso alla marijuana per i nostri bambini finanziando allo stesso tempo la criminalità di strada, le bande organizzate ed il commercio di armi”.

    Nel programma con cui ha vinto le elezioni Trudeau è stato molto chiaro: rimuovere il consumo ed il possesso di marijuana dal Codice Penale, creando un sistema di regolamentazione rigido per vendita e distribuzione di cannabis con l’applicazione di accise sia federali che locali. Allo stesso tempo punire più severamente chi vende ai minori, chi guida sotto l’effetto di cannabis e chi vende al di fuori del sistema regolato. Il nuovo sistema andrà costruito insieme ai territori e agli esperti di salute pubblica e con le forze dell’ordine.

    All’inizio di gennaio è stata resa pubblica la decisione del Governo di affidare a Bill Blair, ex capo della Polizia di Toronto e ora deputato, il fascicolo relativo alla legalizzazione della marijuana. Blair ha dichiarato che è stato molto influenzato dalla posizione del Centre for Addictions and Mental Health (CAMH) che nel corso del 2014 ha esplicitato la propria posizione a favore di una regolamentazione legale della marijuana per meglio garantire la salute pubblica. Il modello proposto dal CAMH prevede il monopolio della vendita, un’età minima per l’acquisto, dei limiti di densità dei luoghi di vendita e di orario, una politica dei prezzi impostata in modo tale da ridurre la domanda, scoraggiare il ricorso al mercato clandestino ed allo stesso tempo orientare verso prodotti a minor rischio, limitando l’accesso ai prodotti più potenti. E previsto ovviamente il divieto di pubblicità, una etichettatura trasparente ed infine l’investimento di risorse nella prevenzione, sia per quel che riguarda la riduzione dei rischi che per quel che riguarda la guida in stato alterato.

    Nel frattempo l’industria della marijuana canadese si sta attrezzando. I produttori autorizzati a produrre cannabis per uso terapeutico, legale sin dal 2001, attualmente sono 26 ma ci sarebbero state oltre 1000 richieste, mentre 20 nuove compagnie fanno richiesta di licenza ogni mese. Del resto l’attuale mercato si rivolge a circa 60.000 pazienti, ma se il progetto di regolamentazione legale dovesse andare in porto si aprirebbe un mercato di milioni di persone. Non è un caso che alcune di queste aziende siano approdate anche alla Borsa di Toronto.

    Per quanto riguarda il rapporto con le Convenzione internazionali sulle droghe in Canada probabilmente non si faranno troppi problemi. Nel 2013 il Canada si è ritirato dalla Convenzione ONU per la lotta alla desertificazione, nel 2011 dagli impegni del Protocollo di Kyoto e nel 1981 dalla Convenzione per la regolazione della caccia alle balene.

    Tutta la documentazione on line su ungass.fuoriluogo.it

  • La canapa tessile dà alla testa ai deputati

    Articolo sulla legge per la promozione della canapa tessile e alimentare per la rubrica di Fuoriluogo su il Manifesto del 14 ottobre 2015.

    L’abolizione del bicameralismo fondata sulla necessità di approvare le leggi più velocemente senza un doppio esame desta qualche preoccupazione visti alcuni casi di attualità. Parliamo di quello che è successo alla Camera dei deputati in relazione al progetto di legge recante il titolo “Norme per il sostegno e la promozione della coltivazione e della filiera della Canapa”. Un titolo più che incoraggiante, ma la soddisfazione è durata lo spazio di un mattino. Infatti è bastato andare a leggersi l’articolato approvato dalla Commissione Agricoltura e inviato alle Commissioni competenti per i pareri dovuti, per scoprire una vera enormità.

    Infatti il testo all’articolo 9, primo comma, prevedeva la collocazione in tabella I (quella delle droghe cosiddette pesanti) della “canapa sativa, compresi i prodotti da essa ottenuti, proveniente da coltivazioni con una percentuale di tetraidrocannabinoli superiore all’1 per cento, i loro analoghi naturali…”. Una previsione sconcertante, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale del 2014 e del dibattito internazionale sulle droghe che è orientato verso ben altre direzioni.

    Questa norma davvero allucinante era peraltro presente nei numerosi progetti di legge, da cui nasce la discussione, presentati dagli onorevoli Lupo, Zaccagnini, Oliverio e Bianchi nel 2013, prima della sentenza della Corte, quando era vigente la tabella unica di tutte le sostanze stupefacenti prevista dalla Fini-Giovanardi. Ha però destato qualche sospetto in più di un osservatore il fatto che, nonostante il testo sia stato emendato in varie parti durante la trattazione in commissione, nessuno si sia accorto di tale errore che riportava l’orologio indietro, a prima della decisione della Corte Costituzionale che nel febbraio 2014 aveva decretato l’incostituzionalità della legge con il ritorno alla Iervolino-Vassalli che prevedeva tabelle diverse per le droghe pesanti e quelle leggere. E’ addirittura incredibile che neppure i funzionari della Camera si siano resi conto del pasticcio che stava prendendo corpo.

    Dopo l’estate il caso è divenuto di pubblico dominio quando in Commissione Affari Sociali la relatrice ha verificato l’incoerenza del nuovo testo unificato rispetto alle attuali previsioni del 309/90. Le reti antiproibizioniste si sono allertate e così Maria Stagnitta presidente di Forum Droghe ha denunciato “una controriforma sul piano penale fatta dalla Commissione Agricoltura in barba alla Commissione Giustizia e al ministro Orlando”. Daniele Farina deputato di SEL preannunciava battaglia in Commissione Giustizia ed altrettanto faceva l’on. Ferraresi del Gruppo 5 stelle. A quel punto i deputati del PD della commissione Agricoltura Oliverio e Terrosi tentavano di ridimensionare il tutto assicurando una modifica “tecnica”, da apportare in seguito all’esame delle altre commissioni.

    La scorsa settimana finalmente è arrivato il parere, non tecnicamente ma politicamente tranciante, della Commissione Giustizia che ha richiesto l’eliminazione del comma incriminato. Anche la Commissione Ambiente della Camera ha proposto modifiche, in particolare per evitare l’utilizzo come biomassa delle piante di canapa utilizzate per la bonifica dei siti inquinati. Quindi l’8 ottobre la commissione Agricoltura ha preso atto e modificato di conseguenza il testo.

    E’ auspicabile che l’Aula approvi le norme per sostenere una produzione storica dell’Italia eliminando sanzioni e controlli, certificando soltanto la provenienza del seme per garantire la buona fede del coltivatore.

    Anche questa vicenda surreale conferma l’urgenza di una modifica radicale della legge 309/90.

    (leggi il dossier su canapa sativa su www.fuoriluogo.it)

  • Rototom, Bob Marley è innocente!

    rototomOggi a Udine si svolge l’ultima udienza del processo che vede imputato Filippo Giunta, lo storico organizzatore del Rototom Sunsplash, per agevolazione del consumo di sostanze durante l’edizione del Festival del 2009, l’ultima ad essere organizzata a Osoppo nel parco del Rivellino.

    Un processo iniziato sull’onda repressiva della Fini-Giovanardi e di una furiosa caccia alle streghe. A seguito dell’assedio lanciato dalle forze dell’ordine durante quell’edizione, furono effettuati 103 arresti fra i 150.000 frequentatori del festival ai sensi della nuova normativa antidroga. Per lo più consumatori di cannabis, vero obbiettivo della legge. Un assurdo accanimento nei confronti del Festival che coinvolse anche Ispettorato del lavoro, Vigili del Fuoco, NOE, NAS, Finanza, Vigili urbani di vari comuni, tutti impegnati a trovare fantasiose irregolarità nell’organizzazione del Rototom.

    Oggi Giunta, assistito dagli avvocati Alessandro Gamberini e Simona Filippi, sarà in tribunale per rendere la sua testimonianza e forse per ascoltare la sentenza. Siamo convinti che si arriverà ad una piena assoluzione ma un grave delitto è stato far perdere ad Osoppo un grandissimo evento musicale e culturale. Il Friuli, terra di Pier Paolo Pasolini, Loris Fortuna e Beppino Englaro, è stato purtroppo il teatro di una operazione repressiva e di censura di un’intera comunità, colpevole di amare il reggae e quindi la cannabis, per una supposta proprietà transitiva fantasiosamente applicata al diritto penale.

    Osoppo rimpiange il suo Festival, che aveva garantito più di 500.000 euro di investimenti regionali sul Parco del Rivellino, e che secondo stime de il Sole 24 ore faceva girare fra i 5 e i 7 milioni di euro. Un rimpianto per gli amministratori di Osoppo, che insieme all’intera comunità locale e ad un vasto movimento di artisti, intellettuali e attivisti si sono schierati nel tempo al fianco degli organizzatori sotto lo slogan “Non processate Bob Marley”.

    Del resto in Spagna a Benicassim, dove è emigrato nel 2010, il festival è cresciuto continuamente confermandosi come il Festival Reggae più importante d’Europa incrementando le presenze sino alle 240 mila dello scorso anno. L’Università di Castellon ha stimato una ricaduta economica sul territorio di circa 24 milioni di euro. Anche per questo difficilmente Rototom tornerà in Italia. Insomma Osoppo, il Friuli e l’Italia hanno perso, a causa dell’ottusa foga proibizionista, non solo un grande evento musicale e culturale, ma anche una grande risorsa per l’economia locale.

    Con la sentenza di oggi ci auguriamo si compia un ulteriore passo verso la sconfessione delle politiche proibizioniste italiane, almeno nelle aule dei tribunali. Mentre il mondo guarda avanti, oltre la war on drugs, le sue vittime ed i suoi palesi insuccessi, in Italia il dibattito sulla riforma della politica sulle droghe fatica ad arrivare sui tavoli della politica nonostante la Fini-Giovanardi sia ormai stata cancellata dalla Corte Costituzionale. Se in Parlamento qualcosa si muove, con la costituzione di un intergruppo per la legalizzazione della cannabis recentemente promosso da Benedetto Della Vedova, il Governo pare voler far finta di niente. Il Cartello di Genova sta mettendo a punto un calendario di iniziative con al centro la pubblicazione di un nuovo Libro Bianco sugli effetti della legge antidroga. La Società della Ragione intende aprire il confronto su una nuova legge sulle droghe, proprio da Udine. Un appuntamento fondamentale, per costruire una posizione italiana seria e riformatrice in vista di UNGASS 2016, la sessione ONU sulle droghe prevista per il prossimo anno.

  • Rototom, Bob Marley è innocente!

    rototom-altan-bob-marleyOggi a Udine si svolge l’ultima udienza del processo che vede imputato Filippo Giunta, lo storico organizzatore del Rototom Sunsplash, per agevolazione del consumo di sostanze durante l’edizione del Festival del 2009, l’ultima ad essere organizzata a Osoppo nel parco del Rivellino.

    Un processo iniziato sull’onda repressiva della Fini-Giovanardi e di una furiosa caccia alle streghe. A seguito dell’assedio lanciato dalle forze dell’ordine durante quell’edizione, furono effettuati 103 arresti fra i 150.000 frequentatori del festival ai sensi della nuova normativa antidroga. Per lo più consumatori di cannabis, vero obbiettivo della legge. Un assurdo accanimento nei confronti del Festival che coinvolse anche Ispettorato del lavoro, Vigili del Fuoco, NOE, NAS, Finanza, Vigili urbani di vari comuni, tutti impegnati a trovare fantasiose irregolarità nell’organizzazione del Rototom.

    Oggi Giunta, assistito dagli avvocati Alessandro Gamberini e Simona Filippi, sarà in tribunale per rendere la sua testimonianza e forse per ascoltare la sentenza. Siamo convinti che si arriverà ad una piena assoluzione ma un grave delitto è stato far perdere ad Osoppo un grandissimo evento musicale e culturale. Il Friuli, terra di Pier Paolo Pasolini, Loris Fortuna e Beppino Englaro, è stato purtroppo il teatro di una operazione repressiva e di censura di un’intera comunità, colpevole di amare il reggae e quindi la cannabis, per una supposta proprietà transitiva fantasiosamente applicata al diritto penale.

    Osoppo rimpiange il suo Festival, che aveva garantito più di 500.000 euro di investimenti regionali sul Parco del Rivellino, e che secondo stime de il Sole 24 ore faceva girare fra i 5 e i 7 milioni di euro. Un rimpianto per gli amministratori di Osoppo, che insieme all’intera comunità locale e ad un vasto movimento di artisti, intellettuali e attivisti si sono schierati nel tempo al fianco degli organizzatori sotto lo slogan “Non processate Bob Marley”.

    Del resto in Spagna a Benicassim, dove è emigrato nel 2010, il festival è cresciuto continuamente confermandosi come il Festival Reggae più importante d’Europa incrementando le presenze sino alle 240 mila dello scorso anno. L’Università di Castellon ha stimato una ricaduta economica sul territorio di circa 24 milioni di euro. Anche per questo difficilmente Rototom tornerà in Italia. Insomma Osoppo, il Friuli e l’Italia hanno perso, a causa dell’ottusa foga proibizionista, non solo un grande evento musicale e culturale, ma anche una grande risorsa per l’economia locale.

    Con la sentenza di oggi ci auguriamo si compia un ulteriore passo verso la sconfessione delle politiche proibizioniste italiane, almeno nelle aule dei tribunali. Mentre il mondo guarda avanti, oltre la war on drugs, le sue vittime ed i suoi palesi insuccessi, in Italia il dibattito sulla riforma della politica sulle droghe fatica ad arrivare sui tavoli della politica nonostante la Fini-Giovanardi sia ormai stata cancellata dalla Corte Costituzionale. Se in Parlamento qualcosa si muove, con la costituzione di un intergruppo per la legalizzazione della cannabis recentemente promosso da Benedetto Della Vedova, il Governo pare voler far finta di niente. Il Cartello di Genova sta mettendo a punto un calendario di iniziative con al centro la pubblicazione di un nuovo Libro Bianco sugli effetti della legge antidroga. La Società della Ragione intende aprire il confronto su una nuova legge sulle droghe, proprio da Udine. Un appuntamento fondamentale, per costruire una posizione italiana seria e riformatrice in vista di UNGASS 2016, la sessione ONU sulle droghe prevista per il prossimo anno.

  • Droghe: V° Libro Bianco sulla Fini-Giovanardi

    Droghe, il Libro Bianco per cambiare

    Stamattina alle 11 a Roma (Sala del Senato Santa Maria in Aquiro, Piazza Capranica 72) il Cartello che ha promosso il Manifesto di Genova, presenta la quinta edizione del Libro Bianco sulla Fini-Giovanardi. Promosso da La Società della Ragione, Antigone, Cnca, Forum Droghe il rapporto anticipa e nei fatti sostituisce la relazione governativa probabilmente congelata in attesa del nuovo Capo Dipartimento Antidroga, e vorrebbe essere l’ultimo che mette in fila i danni di una legge sulle droghe che ha fatto della propaganda e della repressione la sua bandiera.

    La Fini-Giovanardi, cancellata dalla Corte Costituzionale dopo una battaglia tenacemente condotta dalle associazioni, rimane come un’ombra nera sul nostro sistema giuridico. Lo abbiamo visto con la genesi del decreto Lorenzin che, ipotizzando addirittura la riproposizione delle norme cassate, ha buttato alle ortiche la grande chance riformatrice messa in campo dalle novità politiche internazionali (Uruguay, Colorado e Washington) e dalla sentenza della Corte. Come la muffa sui muri la Fini-Giovanardi è addirittura rispuntata in Gazzetta Ufficiale, con un grottesco refuso riconosciuto dal Governo.

    Il peggio di quella legge però non c’è più. Dopo 8 anni il Libro Bianco ricostruisce il calvario attraverso cui siamo passati. Oltre agli abituali contributi sulla repressione penale e amministrativa dell’uso e della detenzione di sostanze, che confermano ancora una volta come la legge sia stata una fonte di criminalizzazione, di stigmatizzazione e di discriminazione di centinaia di migliaia di giovani e consumatori, vengono proposti approfondimenti sul ruolo dei servizi pubblici e privati, sul consumo giovanile, sui test ai lavoratori e sui controlli alla guida. Non manca in appendice un trittico critico sui principali cavalli di battaglia del braccio destro di Giovanardi al Dipartimento antidroga, dalla composizione delle sostanze alla diffusione dei consumi. In chiusura, in assenza di fonti ufficiali, viene proposta una puntuale ricostruzione della normativa penale vigente del testo unico sulle sostanze stupefacenti.

    E’ bene però ricordare che la strage continua: con la criminalizzazione dei consumatori (solo attenuata da pene più miti per la detenzione di droghe leggere) e con la detenzione scandalosa di condannati a pene illegittime. Alcune migliaia di detenuti, secondo la giurisprudenza della Cassazione, meriterebbero di vedersi rideterminata la pena, ma sono abbandonati a se stessi dal cinismo e dall’inazione di Governo e Parlamento. Basterebbe un decreto o un indulto ad hoc: invece si preferisce intasare gli uffici giudiziari con le singole richieste di ricalcolo delle pene o – peggio – far scontare alle persone pene ingiuste.

    Come detto è cambiato lo scenario entro cui ci muoviamo. Serve allora un radicale mutamento delle politiche sulle droghe nel nostro Paese che distingua nettamente le politiche sociali e sanitarie da quelle penali. Serve una compiuta depenalizzazione del possesso e della cessione gratuita di piccoli quantitativi di sostanze destinati all’uso personale, anche di gruppo. Serve poi una regolamentazione legale della produzione e della circolazione dei derivati della cannabis e della libera coltivazione a uso personale. Serve il rilancio dei servizi per le dipendenze e delle politiche di “riduzione del danno”. Serve il superamento del fallimentare modello autocratico del Dipartimento Antidroga, con una gestione partecipata che abbia come primo obiettivo la convocazione entro l’anno della Conferenza nazionale prevista dalla legge e cancellata da troppi anni.

    Scarica il V° Libro Bianco sulla legge Fini-Giovanardi: libro_bianco_2014.pdf.

    Leggi le pillole del Libro Bianco

    Leggi il comunicato di presentazione

  • Droghe, il Libro Bianco per cambiare

    Droghe: presentato il V° libro bianco sulla fini-giovanardiStamattina alle 11 a Roma (Sala del Senato Santa Maria in Aquiro, Piazza Capranica 72) il Cartello che ha promosso il Manifesto di Genova, presenta la quinta edizione del Libro Bianco sulla Fini-Giovanardi. Promosso da La Società della Ragione, Antigone, Cnca, Forum Droghe il rapporto anticipa e nei fatti sostituisce la relazione governativa probabilmente congelata in attesa del nuovo Capo Dipartimento Antidroga, e vorrebbe essere l’ultimo che mette in fila i danni di una legge sulle droghe che ha fatto della propaganda e della repressione la sua bandiera.

    La Fini-Giovanardi, cancellata dalla Corte Costituzionale dopo una battaglia tenacemente condotta dalle associazioni, rimane come un’ombra nera sul nostro sistema giuridico. Lo abbiamo visto con la genesi del decreto Lorenzin che, ipotizzando addirittura la riproposizione delle norme cassate, ha buttato alle ortiche la grande chance riformatrice messa in campo dalle novità politiche internazionali (Uruguay, Colorado e Washington) e dalla sentenza della Corte. Come la muffa sui muri la Fini-Giovanardi è addirittura rispuntata in Gazzetta Ufficiale, con un grottesco refuso riconosciuto dal Governo.

    Il peggio di quella legge però non c’è più. Dopo 8 anni il Libro Bianco ricostruisce il calvario attraverso cui siamo passati. Oltre agli abituali contributi sulla repressione penale e amministrativa dell’uso e della detenzione di sostanze, che confermano ancora una volta come la legge sia stata una fonte di criminalizzazione, di stigmatizzazione e di discriminazione di centinaia di migliaia di giovani e consumatori, vengono proposti approfondimenti sul ruolo dei servizi pubblici e privati, sul consumo giovanile, sui test ai lavoratori e sui controlli alla guida. Non manca in appendice un trittico critico sui principali cavalli di battaglia del braccio destro di Giovanardi al Dipartimento antidroga, dalla composizione delle sostanze alla diffusione dei consumi. In chiusura, in assenza di fonti ufficiali, viene proposta una puntuale ricostruzione della normativa penale vigente del testo unico sulle sostanze stupefacenti.

    E’ bene però ricordare che la strage continua: con la criminalizzazione dei consumatori (solo attenuata da pene più miti per la detenzione di droghe leggere) e con la detenzione scandalosa di condannati a pene illegittime. Alcune migliaia di detenuti, secondo la giurisprudenza della Cassazione, meriterebbero di vedersi rideterminata la pena, ma sono abbandonati a se stessi dal cinismo e dall’inazione di Governo e Parlamento. Basterebbe un decreto o un indulto ad hoc: invece si preferisce intasare gli uffici giudiziari con le singole richieste di ricalcolo delle pene o – peggio – far scontare alle persone pene ingiuste.

    Come detto è cambiato lo scenario entro cui ci muoviamo. Serve allora un radicale mutamento delle politiche sulle droghe nel nostro Paese che distingua nettamente le politiche sociali e sanitarie da quelle penali. Serve una compiuta depenalizzazione del possesso e della cessione gratuita di piccoli quantitativi di sostanze destinati all’uso personale, anche di gruppo. Serve poi una regolamentazione legale della produzione e della circolazione dei derivati della cannabis e della libera coltivazione a uso personale. Serve il rilancio dei servizi per le dipendenze e delle politiche di “riduzione del danno”. Serve il superamento del fallimentare modello autocratico del Dipartimento Antidroga, con una gestione partecipata che abbia come primo obiettivo la convocazione entro l’anno della Conferenza nazionale prevista dalla legge e cancellata da troppi anni.

    Scarica il V° Libro Bianco sulla legge Fini-Giovanardi sulle droghe: libro_bianco_2014.pdf.

    Leggi le pillole del Libro Bianco sulla legge Fini-Giovanardi sulle droghe

    Leggi il comunicato di presentazione del V° Libro Bianco sulla legge Fini-Giovanardi sulle droghe

  • Il trip di Giovanardi ricomincia dal senato

    Il trip di Giovanardi ricomincia dal senato

    La noti­zia «stu­pe­fa­cente», come l’ha defi­nita Fuo­ri­luogo, è che a diri­gere i lavori con­giunti delle com­mis­sioni Giu­sti­zia e Sanità del Senato sul prov­ve­di­mento di con­ver­sione in legge del decreto Loren­zin sulle dro­ghe sarà niente meno che Carlo Gio­va­nardi. Non sarà solo, lo affian­cherà l’ex respon­sa­bile della Salute del Pd, Ame­deo Bianco, ma la noti­zia è risuo­nata «tra­gica e comica allo stesso tempo», per usare le parole del pre­si­dente di Anti­gone Patri­zio Gon­nella, per­ché «è come met­tere Dra­cula all’Avis». In effetti in molti, den­tro e fuori il Par­la­mento, si chie­dono quale sia il reale motivo che ha spinto i pre­si­denti delle due com­mis­sioni, Emi­lia De Biasi del Pd e il ber­lu­sco­niano Fran­ce­sco Nitto Palma, a nomi­nare pro­prio il padrino della legge annul­lata per inco­sti­tu­zio­na­lità dalla Con­sulta come rela­tore del testo appro­dato ieri a Palazzo Madama dopo essere stato licen­ziato dalla Camera il 30 aprile scorso col voto di fidu­cia impo­sto dal governo. Forse a par­ziale giu­sti­fi­ca­zione si può pren­dere l’ipotesi sug­ge­rita dal sena­tore Luigi Man­coni che ieri sul Foglio, in un arti­colo inti­to­lato «Il cer­chio si chiude», par­lava di un «caso Gio­va­nardi» come un esem­pio di «dipen­denza secon­da­ria» deri­vante dalla «con­di­zione di bur­nout» che «affligge coloro che, senza svol­gere diret­ta­mente un lavoro a con­tatto — per esem­pio — con i tos­si­co­mani, pos­sono risul­tare con­di­zio­nati osses­si­va­mente dalla que­stione droga, dal discorso intorno ad essa, dall’introiezione nella sfera men­tale e psi­co­lo­gica dei suoi effetti».

    Ma non è solo, Carlo Gio­va­nardi. Lavora in tan­dem con la mini­stra Loren­zin che della sen­tenza della Con­sulta avrebbe fatto subito carta strac­cia rimon­tando la legge Fini-Giovanardi sul treno del decreto legge, pro­prio con lo stesso esca­mo­tage boc­ciato per inco­sti­tu­zio­na­lità. E infatti ieri Gio­va­nardi ha spie­gato che il decreto legge è «in sca­denza, quindi i tempi devono essere rapidi. Ritengo — ha aggiunto però — che si possa appro­vare così come è, uni­ta­mente a un ordine del giorno che chieda al Mini­stero della Salute di cor­reg­gere il punto cri­tico riguardo la can­na­bis natu­rale arric­chita». Eccolo, il suo pal­lino: «La Camera — afferma il sena­tore del Ncd – ha resu­sci­tato, di fatto, la legge Gio­va­nardi, con­fer­man­done i prin­cipi car­dine, in pri­mis la con­ce­zione del tos­si­co­di­pen­dente come malato da curare. Resta solo il pro­blema della mari­juana: quella che si usava 20 anni fa poteva esser messa in una tabella a parte, ma quella che si usa oggi, sia natu­rale che sin­te­tica, è arric­chita e pre­senta un Thc altis­simo. Per que­sto – con­clude Gio­va­nardi – non andrebbe inse­rita in una tabella sepa­rata rispetto a dro­ghe più pesanti e peri­co­lose. Spero che il Senato intervenga».

    E a riprova che è uomo di lotta e di governo, Gio­va­nardi schiera anche le sue truppe. Ieri, infatti, men­tre da più parti si leva­vano rea­zioni di sde­gno con­tro l’incarico con­fe­ri­to­gli che rap­pre­senta «un ossi­moro», come lo defi­ni­sce Feder­Serd, o «un insulto in pri­mis alla ragione, poi alla Corte Costi­tu­zio­nale e, in ultimo, alla dignità stessa del Senato», come ha scritto il diret­tore di Fuo­ri­luogo, Leo­nardo Fio­ren­tini, in una let­tera al pre­si­dente dei sena­tori Pie­tro Grasso per chie­dere un suo inter­vento imme­diato e per annun­ciare un digiuno di pro­te­sta a staf­fetta orga­niz­zato da Forum Dro­ghe, alcune comu­nità “proi­bi­zio­ni­ste” con in testa San Patri­gnano si met­te­vano già sul piede di guerra. La con­te­sta­zione con­tro l’attuale testo di con­ver­sione parte oggi alle 14 da Piazza Far­nese; poi una dele­ga­zione ten­terà di por­tare in Senato le pres­santi richie­ste del “movi­mento”. Le stesse di Giovanardi.

    L’esito però non è scon­tato. Per­ché se la nomina – media­zione tra il Pd e il Ncd – potrebbe essere “stra­te­gica”, per costrin­gere il rela­tore a mediare a sua volta tra le oppo­ste posi­zioni rap­pre­sen­tate in Senato, per il Pd, «indie­tro non si torna», secondo quanto afferma il sena­tore Giu­seppe Lumia, mem­bro della com­mis­sione Giu­sti­zia. «Si parte dalla sen­tenza della Con­sulta — dice — il testo non deve essere peg­gio­rato, e vanno respinti tutti i ten­ta­tivi di tro­vare esca­mo­tage per far rien­trare dalla fine­stra ciò che è uscito dalla porta».

    Pur­troppo però, anche se i sena­tori di Sel bol­lano la nomina come «pura fol­lia», che «rasenta la pro­vo­ca­zione aperta», sarà dif­fi­cile sen­tire pro­nun­ciare a Palazzo Madama le parole scritte ieri da George Soros sul Finan­cial Times in un arti­co­lato fondo inti­to­lato «L’inutile guerra alle dro­ghe che spreca denaro e distrugge vite»: «La proi­bi­zione degli stu­pe­fa­centi ha creato un mer­cato nero immenso, valu­tato sui 300 miliardi di dol­lari». E, scrive Soros, «in tutto il mondo, il 40% dei car­ce­rati è den­tro per reati legati alla droga, e la cifra è solo desti­nata ad aumen­tare». In poche parole: «La war on drugs è stata un fal­li­mento da mille miliardi di dol­lari. I governi di tutto il mondo devono valu­tare i costi e i bene­fici delle loro poli­ti­che attuali, e rio­rien­tare le risorse verso pro­grammi che fun­zio­nano. I costi del non fare nulla sono troppo grandi da sopportare».

  • Una firma per il fronte dei diritti

    banner300-250Continua la mobilitazione sulle tre leggi di iniziativa popolare per l’introduzione del reato di Tortura, per la salvaguardia dei diritti umani in Carcere e per una completa riforma della legge Fini Giovanardi sulle droghe. La prima giornata nazionale di raccolta firme del 9 aprile ha visto oltre diecimila persone fare pazientemente la fila ai banchetti davanti ai tribunali; il 9 maggio si replica davanti alle Università italiane.
    I promotori hanno così voluto venire incontro alle migliaia di giovani che con entusiasmo si sono recati a firmare le proposte di legge, a volte facendo chilometri. Come ricordano i promotori, queste leggi “nei fatti costituiscono un vero e proprio programma di governo per ripristinare la legalità nel nostro sistema penale e penitenziario”. Non è solo la riforma della legge sulle droghe, con la completa depenalizzazione del consumo e la non punibilità della coltivazione di cannabis, a mobilitare le nuove generazioni. Le norme sul reato di Tortura detengono sinora il primato delle adesioni con quasi 15.000 firme: segno che il G8 di Genova e i casi Aldrovandi, Cucchi, Uva (e purtroppo tanti altri) sono ferite ancora aperte nella società; e segno che forse i giovani italiani, su cui spesso si scaglia la repressione di Stato, sono più sensibili al tema della salvaguardia dei diritti umani di quanto non lo siano i loro rappresentanti in Parlamento. L’introduzione del reato di tortura è prevista da una convenzione internazionale ratificata dal nostro paese. Tuttavia, l’iniziativa è finora naufragata di fronte a interessi corporativi delle forze dell’ordine e per la pavidità delle forze politiche, succubi della deriva giustizialista degli ultimi vent’anni.
    Il carcere è sempre più un buco nero in cui annegano i principi costituzionali e in cui trionfa l’illegalità. Il neo premier Letta ha denunciato l’insostenibilità della situazione e la ministra Cancellieri ha dichiarato che il sovraffollamento delle carceri è una priorità. Da molto tempo le grida di allarme si sprecano, ma rischiano di ridursi a pura retorica se non si affrontano le cause di fondo che alimentano la bulimia carceraria. Le tre leggi sono l’unica risposta, coerente.
    Ci auguriamo che, sotto l’onda dell’entusiasmo popolare, si crei in Parlamento un nuovo e inedito “fronte dei diritti” che sappia scardinare il processo di autoreferenzialità e di involuzione democratica degli ultimi anni: forse il vasto salto generazionale farà il miracolo.
    D’altronde, nella prima repubblica, pur in presenza di governi con egemonia della Dc furono approvate le leggi sul divorzio e sull’aborto.
    Con questa speranza e con la semplice e rivoluzionaria convinzione di fare la cosa giusta, invito tutti a recarsi oggi a firmare, dalle 9 alle 14, davanti alle università di Bari, Campobasso, Roma, Bologna, Ferrara, Napoli, Milano, Parma, Pescara, Modena, Torino, Trento, Padova, Cassino, Reggio Emilia, Lecce e tante altre città ancora. Le indicazioni per trovare i banchetti presso cui firmare con l’indirizzo dell’ateneo e l’elenco dei comuni nei quali si può firmare, si possono trovare sul sito www.3leggi.it e sulla pagina facebook.com/3leggi.

    Articolo per la rubrica di Fuoriluogo sul Manifesto del 9 maggio 2013.

  • Una firma per il fronte dei diritti

    lecce 4Continua la mobilitazione sulle tre leggi di iniziativa popolare per l’introduzione del reato di Tortura, per la salvaguardia dei diritti umani in Carcere e per una completa riforma della legge Fini Giovanardi sulle droghe. La prima giornata nazionale di raccolta firme del 9 aprile ha visto oltre diecimila persone fare pazientemente la fila ai banchetti davanti ai tribunali; il 9 maggio si replica davanti alle Università italiane.
    I promotori hanno così voluto venire incontro alle migliaia di giovani che con entusiasmo si sono recati a firmare le proposte di legge, a volte facendo chilometri. Come ricordano i promotori, queste leggi “nei fatti costituiscono un vero e proprio programma di governo per ripristinare la legalità nel nostro sistema penale e penitenziario”. Non è solo la riforma della legge sulle droghe, con la completa depenalizzazione del consumo e la non punibilità della coltivazione di cannabis, a mobilitare le nuove generazioni. Le norme sul reato di Tortura detengono sinora il primato delle adesioni con quasi 15.000 firme: segno che il G8 di Genova e i casi Aldrovandi, Cucchi, Uva (e purtroppo tanti altri) sono ferite ancora aperte nella società; e segno che forse i giovani italiani, su cui spesso si scaglia la repressione di Stato, sono più sensibili al tema della salvaguardia dei diritti umani di quanto non lo siano i loro rappresentanti in Parlamento. L’introduzione del reato di tortura è prevista da una convenzione internazionale ratificata dal nostro paese. Tuttavia, l’iniziativa è finora naufragata di fronte a interessi corporativi delle forze dell’ordine e per la pavidità delle forze politiche, succubi della deriva giustizialista degli ultimi vent’anni.
    Il carcere è sempre più un buco nero in cui annegano i principi costituzionali e in cui trionfa l’illegalità. Il neo premier Letta ha denunciato l’insostenibilità della situazione e la ministra Cancellieri ha dichiarato che il sovraffollamento delle carceri è una priorità. Da molto tempo le grida di allarme si sprecano, ma rischiano di ridursi a pura retorica se non si affrontano le cause di fondo che alimentano la bulimia carceraria. Le tre leggi sono l’unica risposta, coerente.
    Ci auguriamo che, sotto l’onda dell’entusiasmo popolare, si crei in Parlamento un nuovo e inedito “fronte dei diritti” che sappia scardinare il processo di autoreferenzialità e di involuzione democratica degli ultimi anni: forse il vasto salto generazionale farà il miracolo.
    D’altronde, nella prima repubblica, pur in presenza di governi con egemonia della Dc furono approvate le leggi sul divorzio e sull’aborto.
    Con questa speranza e con la semplice e rivoluzionaria convinzione di fare la cosa giusta, invito tutti a recarsi oggi a firmare, dalle 9 alle 14, davanti alle università di Bari, Campobasso, Roma, Bologna, Ferrara, Napoli, Milano, Parma, Pescara, Modena, Torino, Trento, Padova, Cassino, Reggio Emilia, Lecce e tante altre città ancora. Le indicazioni per trovare i banchetti presso cui firmare con l’indirizzo dell’ateneo e l’elenco dei comuni nei quali si può firmare, si possono trovare sul sito www.3leggi.it e sulla pagina facebook.com/3leggi.

    Articolo per la rubrica di Fuoriluogo sul Manifesto del 9 maggio 2013.

     

  • Droga, fine del tabù mondiale

    Discutere pubblicamente della fine della war on Drugs e di una politica internazionale sulle droghe alternativa alla repressione è sin dai tempi di Nixon un vero e proprio tabù. Può un documentario di un’ora, fra interviste, dati e immagini, aiutare a romperlo? E’ quanto tenta di fare il video della campagna Breaking the taboo, lanciata dalla Beckley Foundation insieme a molte altre Ong internazionali.

    Le immagini di Baltimora, città simbolo degli effetti della tolleranza zero in Usa, sono meno violente e tragiche di quelle che documentano gli effetti della “guerra alla droga” esportata in America Latina, ma non meno agghiaccianti: in quarant’anni, la popolazione della città natale di Frank Zappa si è quasi dimezzata. Oggi, il 10% dei residenti è tossicodipendente e sono circa 50.000 gli edifici abbandonati; nel solo 2007 sono stati 100.000 gli arresti per droga su una popolazione di 600.000 residenti. In tutti gli Stati Uniti, dal 1970 al 2012, i detenuti sono passati da 330.000 a due milioni e trecentomila, con una progressione che ricorda molto da vicino l’effetto sulle carceri italiane della Fini-Giovanardi. Non siamo i soli a seguire pervicacemente il cattivo esempio. Lo Zar antidroga russo Ivanov annuncia di voler trasportare nell’Asia continentale la strategia armata Usa in America Latina, forse non soddisfatto del milione di sieropositivi causato dal rifiuto di minime pratiche di riduzione del danno in madrepatria.

    Proprio l’America Latina è il terreno privilegiato su cui si gioca il futuro delle politiche mondiali. Da un lato è sotto gli occhi di tutti il fallimento della war on drugs con la conseguente escalation di violenza (che ha portato a cinquantamila morti in Messico negli ultimi 6 anni); dall’altro, molte sono le voci che oggi si alzano per chiedere una svolta politica (cfr. Amira Armenta, il Manifesto 20.6.12). Svolta già intrapresa in Uruguay, con il progetto di legge governativo per la legalizzazione della marijuana che sta contagiando la gran parte dei paesi latinoamericani. Illuminanti le parole del presidente colombiano Santos: “Abbiamo combattuto la droga e i cartelli per quarant’anni, ma il narcotraffico continua come prima. Oggi mi sento come su una bicicletta bloccata: tu ti sforzi, pedali, guardi a destra e sinistra, ma vedi sempre lo stesso luogo. Ci vuole un nuovo approccio: ci sono molte alternative, inclusa la legalizzazione, ma prima dobbiamo rompere il tabù”.

    La campagna Breaking the taboo (col film disponibile su Youtube) rilancia nel dibattito pubblico le conclusioni della Global Commission on Drugs, composta da importanti personalità internazionali fra cui l’ex segretario generale Onu, Kofi Annan. La Global Commission ha chiesto all’Onu di fermare la guerra alla droga. Una lettera aperta all’Onu per rivedere la convenzione unica del 1961 è stata sottoscritta da artisti del calibro di Morgan Freeman (che è anche voce narrante del film), Sting, Kate Winslet, Natalie Imbruglia, Bernardo Bertolucci; ma anche da politici, come alcuni ex presidenti: l’americano Jimmy Carter, il brasiliano Fernando Cardoso, la svizzera Ruth Dreifuss, il colombiano Cesar Gaviria, il messicano Vicente Fox e alcuni “insospettabili“ come Lech Walesa e Javier Solana. Si può aderire on line alla lettera aperta e alla campagna #breakthetaboo.

    Leonardo Fiorentini

    (articolo scritto per la rubrica di Fuoriluogo sul Manifesto del 12 dicembre 2012)

    Documentario e adesione http://www.breakingthetaboo.info/.

  • Scienza Vs Giovanardi 3 a 0

    Giorgio Bignami, per la rubrica di Fuoriluogo sul Manifesto dell’8 febbraio 2012, commenta tre recenti studi sul consumo di cannabis che smentiscono alcuni pilastri del proibizionismo:

    In questa rubrica si sono spesso commentati lavori che apparentemente mostravano danni neuropsicologici di lungo termine o aumentata insorgenza di disturbi mentali dopo consumi anche moderati di cannabis. In sintesi, si è sottolineato: 1. come in tali lavori non fosse adeguata la analisi dei fattori confondenti (diversi status economici e culturali, sofferenza psichica non riconosciuta a monte dell’uso di droga, ecc.); 2. come i risultati di studi osservazionali pur ampi e ben controllati siano spesso azzerati, o addirittura capovolti, dagli studi randomizzati in doppio cieco (come è avvenuto nel caso dei trattamenti ormonali di donne in menopausa), studi ovviamente non fattibili nel caso delle droghe. Ora una ricerca australiana (Tait et al, Addiction, ottobre 2011) ha analizzato ripetutamente, lungo l’arco di otto anni, le performance cognitive di oltre 2000 soggetti, inizialmente di 20-24 anni, distribuiti in sei classi a seconda dell’entità del consumo di cannabis e del suo andamento temporale (“antecedente leggero”, “costante leggero”, “antecedente pesante”, “costante pesante”, “solo antecedente”, “mai”). Scontati gli effetti del livello di educazione, del sesso di appartenenza e delle interazioni tra detti fattori tra di loro e con i successivi tempi dei test – una valutazione particolarmente sofisticata dal punto di vista statistico, rispetto agli studi precedenti, questa delle interazioni – tutti i gruppi sono risultati indistinguibili tra loro: salvo un deficit in uno solo dei test (quello che misura il ricordo dell’ informazione recentemente acquisita) nel gruppo “pesanti costanti”; un danno peraltro relativamente modesto rispetto alle caratteristiche, comunque fermamente sconsigliabili, di tale stile di consumo. Per quanto riguarda i meno giovani, un altro studio britannico (Dregan e Gulliford, “American Journal of Epidemiology”, febbraio 2012) ha valutato in circa 9000 soggetti l’associazione tra vari stili di consumo di droghe (per lo più, ma non solo, cannabis) a 42 anni e le performance in test cognitivi 8 anni dopo, riscontrando deterioramenti del resto non drammatici solo nei consumatori pesanti e inveterati. In tale studio si è addirittura dovuto “scontare” coi fattori confondenti – in particolare il più elevato livello di educazione – l’apparente relazione mediamente positiva tra consumo di droga remoto e/o recente e successiva performance nei test. Cioè essendo la percentuale di consumatori più elevata tra i soggetti di miglior livello socioeconomico ed educativo, e non riportando essi danni accertabili – salvo il solito caso di uso pesante e prolungato – questi performano meglio dei consumatori loro coetanei di categorie meno fortunate. Infine un terzo studio statunitense (Pletcher et al, “Journal of the American Medical Association”, gennaio 2012), oltre a verificare per l’ennesima volta il deterioramento della funzione polmonare nei fumatori di tabacco, ha riscontrato un certo miglioramento della medesima nei fumatori di cannabis; ma manca qui lo spazio per riassumere l’interessante discussione sui possibili meccanismi che potrebbero esser responsabili di tale beneficio. E per chiudere: notino i lettori lo status elevato di tutte e tre le succitate riviste.

    Insomma, la Scienza batte Giovanardi (e il fido Serpelloni) 3 a 0.

    Via fuoriluogo.it

  • Questione di gusti

    Paolo Villaggio ieri su Il Manifesto ha commentato così il suo incontro con la salamina da sugo:
    L’impero americano da vent’anni cerca di far fuori il terrorismo con la violenza delle bombe: Iraq, Afghanistan, Libia. Risultato: lì dei pantani terribili e i kamikaze a 150 chilometri dalle nostre coste.
    A Ferrara un mio nemico: «Ti faccio assaggiare la nostra specialità, la ‘salama da sugo’». Risultato: è un’arma impropria, indigeribile, allucinogena, forse mortale.
    Perché non farne rotolare nei covi dei terroristi?
    Del resto che la salama da sugo abbia effetti psicotropi, io l’ho sempre sostenuto.
    Questione di gusti: c’è chi sogna di aprire un chiosco di piadine ai caraibi, e chi un ristorante ferrarese ad Amsterdam.
  • Via libera alla kdrink

    Vi ricordate la vicenda della Kdrink, quella raccontata nella rubrica di Fuoriluogo sul Manifesto dagli articoli di Giorgio Bignami (28 luglio) e Grazia Zuffa (4 agosto)?

    Beh, alla fine è arrivato, con curioso ritardo, l’esito delle analisi, che ovviamente ha dato risultato negativo alla presenza di Cocaina.

    Alla faccia di tutte le campagna allarmistiche di quest’estate…

  • Cui prodest?

    Grazia Zuffa è tornata oggi sulla crociata contro il kdrink, la bevanda aromatizzata alla foglia di coca, per la rubrica settimanale di Fuoriluogo pubblicata dal Manifesto.

    “A chi giova?” Si chiedeva Giorgio Bignami in questa rubrica (28 luglio) a proposito della campagna politico-mediatica contro la Kdrink, la bevanda con estratti dalla foglia di coca. E’ una bella domanda la cui risposta non è semplice perché gli interessi (di bassa lega) sono più d’uno, parrebbe.Vale dunque la pena di approfondire questa brutta vicenda.  Cominciamo dal fatto che il linciaggio subito dalla Kdrink ha raggiunto un primo risultato: la distribuzione della bevanda è stata fermata a Roma e in diverse altre città e, com’era da aspettarsi, gli ordini dei clienti sono stati quasi tutti cancellati. Eppure la bevanda è del tutto legale, perché l’aromatizzazione con estratti di foglia di coca decocainizzata (privata degli alcaloidi della cocaina) è consentita dall’art.27 della Convenzione Unica delle Nazioni Unite e la procedura di analisi per verificare l’assenza di alcaloidi è concordata con lo International Narcotics Control Board (Incb), l’organismo che sovrintende l’applicazione delle convenzioni. Anche il Consiglio d’Europa riconosce l’estratto di foglia di coca come uno degli aromatizzanti ammessi. Di più, la Kdrink è il frutto di un accordo stipulato nel 2002 fra la ditta produttrice (la spagnola Royal Food &Drink)  e il governo del Perù per creare sbocchi commerciali legali ai contadini peruviani che producono foglia di coca. Dunque, è un (piccolo) progetto nell’ambito della riconversione dell’economia illegale legata alla cocaina, per favorire il decollo economico (legale) dei paesi dell’America Latina. Un tassello, quello dello sviluppo alternativo, che  fa parte delle politiche globali di contrasto alle narcomafie sostenute, a parole, da tutti gli stati, compresi i più guerrieri dei “guerrieri delle droghe” ( gli Stati Uniti sono il maggiore importatore di foglia di coca, al fine di estrarne aromatizzanti per bevande).

    Ciò nonostante, l’armata antidroga casereccia, capitanata da esponenti del Pdl, è partita  lancia in resta contro la bevanda “diseducativa”. Né potevano mancare gli squilli di tromba di Giovanardi (vedi ancora l’articolo di Bignami). Ciò che è più grave, e che vogliamo denunciare, è che gli apparati dello stato sembrano muoversi dietro l’input di questa più che discutibile campagna politica. Il 12 giugno 2010 la compagnia che imbottiglia la Kdrink riceve una lettera dai carabinieri del Nas di Padova, a firma del comandante Pietro Mercurio: dall’analisi della bevanda, effettuata dall’Istituto Superiore di Sanità, risulterebbero “tracce di cocaina”. Il fatto strano è che il prelievo dei campioni è stato effettuato il 1 dicembre 2008. Da allora nessuno ha avvertito i produttori e i distributori di alcuna irregolarità, tanto che la Kdrink è stata in circolazione per due anni. Perché i Nas informano il distributore diciotto mesi dopo il prelievo? Peraltro, tutti i test di routine effettuati in questi anni attestano che il contenuto della bevanda è perfettamente in regola.

    Ancora più strano è che a tutt’oggi il produttore non riesca ad avere dai Nas alcuna informazione circa le analisi dell’Iss (il tipo di analisi effettuata, la quantità di alcaloide trovata etc.). Insomma la Kdrink si trova nell’impossibilità di difendersi dalle accuse, mentre solerti rappresentanti delle forze dell’ordine in diverse città procedono a “sequestri cautelativi”(che ne dicono gli esponenti Pdl così solerti nell’invocare la parità fra accusa e difesa?).

    Per tornare al cui prodest di questa vicenda. Se la ride la Coca Cola? Forse sì, anche se la sproporzione fra questo colosso e la piccola Royal Food &Drink è enorme. Di certo non piange la Buton, che da tempo produce, senza alcun problema, il liquore Coca Buton e da poco anche il Coca Lime. Tutti rigorosamente aromatizzati con foglia di coca. Che la Buton abbia le spalle più larghe, tanto da far chiudere un occhio ai moralizzatori nostrani sui “messaggi diseducativi”?

    Più di tutto, sgomenta lo squallore della retorica antidroga. Per avere un po’ di visibilità mediatica, se ne fregano che la bevanda sia conforme a legalità (ma c’è legalità e legalità, ingenui che siamo!). Tanto meno si preoccupano (i moralizzatori) di danneggiare un piccolo progetto sorto a sostegno dei contadini peruviani. Né interessa che la Kdrink sia una bevanda analcolica, destinata ad un pubblico di giovani: anche l’allarme alcol è niente più che uno specchietto per il cittadino gonzo. Avanti così, onorevole La Qualunque.

    Da Fuoriluogo.it.