La strategia della moka
Michele Serra oggi nella sua rubrica l’Amaca su Repubblica
Prego amici e conoscenti di sospendere telefonate e mail contenenti, da mesi, sempre la stessa domanda: ma quando cade, quand’è che si leva di torno? Perché questo mi costringe a ripetere sempre la stessa risposta: e come faccio a saperlo? Propongo di ribellarci a questa ossessione affidandoci alla famosa, più volte sperimentata e mai smentita legge della moka, secondo la quale se uno fissa la moka in attesa che il caffè salga, il caffè non sale. Mentre se uno si distrae e pensa ad altro, allora il caffè erompe con il suo allegro borbottio. Oltrettutto restare qui (per quanto ancora, poi?) a fissare in crocchio la stessa vecchia moka, continuando a darci di gomito e dirci, ogni giorno, “ecco, vedrai che ci siamo”, è piuttosto umiliante, e dà l’idea che non si abbia di meglio da fare, nella vita. Che siamo un vecchio branco (vecchio come la moka) di maniaci ossessivi rassegnati a passare la vita nell’attesa che l’attesa finisca. Come terapia, ognuno pensi al tanto di bello e di utile che ha continuato a fare in tutti questi anni, e ancora deve fare. Persone e cose da amare, viaggi, libri, fiori, cassetti, lavori, progetti, fango da spalare, castagne da raccogliere (è stagione). E anche per la deplorevole trascuratezza di noi stessi e della vita vera che ci siamo fatti sequestrare, per tutti questi anni, da quel signore.
Storie di SUV e lotta di classe in quel di Modena
Michele Serra su Repubblica di ieri:
A Modena un signore con evidenti turbe ha dato fuoco a una quindicina di gipponi, prima di essere acciuffato. Molto sgradevole e molto pericoloso. Fortunatamente, a introdurre nell´emergenza cittadina un momento di divertimento, è intervenuto il locale capo del Pdl, l´avvocato Enrico Aimi, che ha deciso di denunciare la chiara matrice politica del piromane: “non vorrei che ci fosse dietro una forma di lotta di classe”.
L´Aimi, che è proprietario di un gippone tra i più terrifici che il mercato mette a disposizione, deve avere della lotta di classe un´idea molto personale: è di destra possedere il gippone, di sinistra incendiarlo, di centro intervenire con l´estintore gridando “si salvi chi può”. A noi la lotta di classe fa venire in mente gli scioperi di fabbrica, a lui il rischio che qualcuno gli righi il Cayenne. Si riapre l´annosa questione delle “due Italie”: come conciliare la sensibilità di chi ha letto il risvolto di copertina di qualche libro, con la sensibilità (ugualmente degna, sia chiaro) di chi si è formato leggendo “Quattroruote”? Mi propongo come mediatore: leggo da una vita “Quattroruote”, ma non disdegno altre branche minori dello scibile umano, come le scienze sociali e la storia. Si rassicuri, avvocato Aimi, la lotta di classe può ancora essere fermata, o almeno parcheggiata in doppia fila.
Dell’esercito sulle strade…
Le forze di polizia, per bocca dei loro sindacati, hanno già fatto sapere che avrebbero gradito, piuttosto che aggiungere ai loro tanti doveri quello di dover scortare i giovani militari, inesperti di ordine pubblico, qualche taglio in meno ai loro bilanci dissestati. Un pieno di benzina in più, quando la guardie devono inseguire i ladri, farebbe più comodo di un bersagliere a piedi, per quanto forte corra e suoni la tromba. Si rischia, per giunta, che la già delicata ripartizione dei compiti tra le nostre molte polizie (carabinieri, poliziotti, finanzieri, forestali) si complichi ulteriormente: già si sorride della composizione – come dire – multiculturale dei drappelli in allestimento, due soldati e un carabiniere, oppure due soldati e un poliziotto. Familiarizzeranno? O confrontando stipendi e dotazione di armi e bagagli nasceranno nuove gelosie, nuovi malintesi, nuove rivalità di carriera?
Michele Serra oggi su Repubblica.
Ricordi del Cuore
Eh, sì. Non posso che ringraziare chi mi ha segnalato, con i suoi link, questo sito in cui sono raccolte le scansioni dei numeri di Cuore, lo storico giornale satirico che ha scandito le mie settimane giovanili.
Tanto di cappello a chi con pazienza ha fatto questo lavoro certosino, ed un ringraziamento alla redazione di Cuore che ci ha dati negli anni titoli attualissimi come questo, che potrebbe uscire domani, cambiando solo il nome, provate a dire quale?
Sottoscrivo
dall’Amaca di Michele Serra di oggi su Repubblica: “La storia ce l´ha raccontata ieri su “Repubblica” Jenner Meletti. E´ morto in carcere, per cause ancora da accertare, un falegname umbro, Aldo Bianzino, arrestato il giorno prima perché coltivava cannabis per farne uso personale. Una persona mite, che viveva pacificamente in mezzo alla natura, certo non pericolosa per gli altri, che lascia un figlio minorenne e una compagna disperata.
Proprio in questi giorni e in queste ore, con l´atroce delitto di Roma che esaspera la questione già rovente della sicurezza, della violenza, dell´immigrazione rom fuori controllo, viene spontaneo domandarsi per quale assurdo criterio giudiziario, o politico, o culturale, un uomo debba morire in carcere perché gli piaceva farsi le canne (tra parentesi: ieri la Cassazione ha “depenalizzato” la coltivazione di cannabis per “uso ornamentale”…). C´è una specie di folle sproporzione, di abnorme iniquità tra le notizie di rapinatori o di assassini rimessi in libertà con evidente imprevidenza, e vicende come questa, dalle quali la legge e la giustizia escono con una patente di totale stupidità. Una stupidità che avrà certamente le sue spiegazioni “tecniche”, i suoi alibi procedurali. Ma lascia di ghiaccio. Uno Stato con i nervi saldi non se la prende con gli hippies: se non altro perché avrebbe cose più urgenti e più serie da fare.“
Sempre sui lavavetri
L’intervento di michele Serra di oggi su Repubblica è interessante: “Il cosiddetto giro di vite contro i lavavetri ha provocato parecchie reazioni indignate. In genere rimandano a una differente etica dei delitti e delle pene: una società che non riesce a sconfiggere la mafia e spesso lascia impuniti i grandi crimini economici, con quale diritto persegue i miserabili? Condivido l´obiezione. Ma non voglio restarne prigioniero. C´è in molte persone di sinistra la virtuosa ma inconcludente abitudine di spostare l´analisi sempre di parecchi palmi più in là, a costo di trascurare la cocente banalità del quotidiano. Ci sono semafori, nelle grandi città, che sono diventati piccoli posti di blocco dedicati al taglieggio, specie ai danni di donne sole. E se il problema non è degno di raffronto con la fame nel mondo, o con la guerra in Iraq, è però un indizio tangibile di insicurezza e di sopruso. Un furibondo Asor Rosa ha scritto che prendersela con i lavavetri è come inseguire le mosche con un giornale arrotolato. Ma le mosche (animali sinantropici tra i più molesti, secondi solo ai piccioni) le abbiamo più o meno tutti inseguite, con giornali o altro, e non perché siamo dei mostri, ma perché la risoluzione dei piccoli problemi appartiene con pieno diritto alla nostra vita. E più passa il tempo, più mi convinco che la cura delle piccole cose è la via diretta alla cura di quelle più grandi.”
Sto alla provocazione. Ma siamo sicuri che la multa serva a risolvere il problema? Ovvero, restando alle mosche, ci sono anche altri metodi per eliminarle (zanzariere comprese), ma mia nonna mi insegno’ che tirando giù la tapparella le mosche scappano dal buio ed escono dalla finestra (se aperta). Ora siamo sicuri che lo strumento della sanzione (amministrativa o penale che sia) serva a risolvere il problema? O non lo sposta in qualche quartiere (o qualche città) più in la’. O peggio potenzialmente non sposta manovalanza (certamente non fra le più soddisfatte della propria vita professionale) in attività ben più pericolose del lavavetri?
Provocazione per provocazione: è venuto per caso a qualcuno in mente di prevedere un’autorizzazione comunale per questa attività che permetta un sereno controllo e l’emarginazione dei cosidetti “piccoli posti di blocco dedicati al taglieggio“?