• Debunking the debunker

    Le droghe sono già libere, le vogliamo regolamentare?

    Bisogna ammettere che l’articolo di John B. pubblicato nella rubrica “doktor debunker” offre una serie di interessanti spunti (anche se da punti di partenza un po’ arretrati) sul dibattito sulla legalizzazione della cannabis. A partire dal titolo, per finire alle conclusioni, questo articolo è quindi un tentativo – rivedibile e perfezionabile, di questo mi scuseranno i lettori – di debunking del debunker.

    UN MERCATO GIA’ LIBERO – Non nascondiamoci dietro il dito di Giovanardi, oggi il mercato delle sostanze stupefacenti è un mercato libero nei fatti: chiunque puo’ trovare qualunque tipo di sostanze ovunque si trovi. Le uniche cose sotto controllo sono i prezzi delle sostanze e la loro disponibilità, che sono in mano alle organizzazioni criminali. E non è certo un caso che dall’avvento della tabella unica della Fini-Giovanardi i prezzi dei derivati della cannabis siano progressivamente aumentati per avvicinarsi a quelli di sostanze ben più pericolose, ma più facilmente trasportabili e molto più remunerative per il narcotraffico. Del resto questa è la dura legge del mercato, baby. Quindi cominciamo sgombrando il campo da fraintendimenti, o equivoci più o meno voluti: legalizzare significa regolamentare un mercato che è già liberalizzato.

    I COSTI DELLA WAR ON DRUGS – Quindi le droghe sono già libere, nonostante la politica repressiva di oltre 50 anni di War on Drugs, e sono largamente usate nel nostro come in tutto il resto del mondo. Non vorrei dilungarmi troppo sui costi della Guerra alla Droga, che vanno ben oltre il “togliere risorse alle organizzazioni criminali”. Ma recentemente una campagna promossa a livello internazionale ha voluto conteggiare questi costi, e vale la pena di riassumerli sinteticamente così (punti ripresi da Giorgio Bignami, War on drugs, i conti non tornano, Fuoriluogo.it):

    1. Si sprecano almeno 100 miliardi di dollari l’anno senza effetti significativi sulle dimensioni del narcotraffico (almeno $ 330 miliardi annui) e con una serie di danni collaterali a livello economico e socio-antropologico: infiltrazione capillare delle economie legali, crescente ostilità nei riguardi di chi rispetta le regole…
    2. Si colpiscono sviluppo e sicurezza. L’escalation della violenza e della corruzione seguita a crescere in modo esponenziale; i danni ai territori e alle popolazioni più deboli e meno sviluppati diventano incommensurabili: per la violazione dei diritti umani,  la distruzione di ecosistemi fragili, lo scoraggiamento di investimenti con finalità positive e legittime. L’esempio del Messico è sotto gli occhi di tutti.
    3. Si favorisce la deforestazione e l’inquinamento, a partire dalle attività di distruzione chimica dei raccolti, che accelerano il disboscamento e la messa a cultura di sempre nuove aree.
    4. Si crea crimine e si arricchiscono i criminali, non solo fomentando i noti conflitti alla messicana, ma trasformando milioni di cittadini consumatori, altrimenti rispettosi delle leggi e delle regole del vivere civile, in criminali, riempiendo sempre più i carceri di tutto il mondo.
    5. Si minaccia la salute pubblica, disseminando malattia e morte: in russia si registrano tra gli iniettori di droga di strada oltre l’80% di sieropositivi e malati di AIDS, vedi recente rapporto della Global Commission.
    6. Si ledono gravemente i diritti umani, come il diritto alla salute e all’accesso alle misure di riduzione del danno, alla privacy, al due process, alla libertà di pensiero e di azione; e questo, punendo in maniera sproporzionata comportamenti che non dovrebbero essere considerati reati e neanche infrazioni; incarcerando a dismisura spesso prima di qualsiasi giudizio; usando trattamenti degradanti sino alla tortura; applicando in alcuni casi la pena di morte; calpestando culture indigene come nel caso della criminalizzazione dell’uso di foglie di coca.
    7. Si promuove lo stigma e la discriminazione dei consumatori, in particolare per le fasce deboli

    Più umilmente in Italia una serie di associazioni impegnate da anni nella proposta di revisione delle leggi sulle droghe hanno presentato poche settimane fa il 3° Libro Bianco sugli effetti della legge Fini-Giovanardi i cui disastri dovrebbero essere sotto gli occhi di tutti. In Italia sui 37.750 detenuti con condanna passata in giudicato, presenti al 27 novembre 2011, ben 14.590 (38,90%) lo sono per violazione della legge sugli stupefacenti. Se sommiamo a questi i detenuti tossicodipendenti in carcere per reati collegati al loro status (piccole rapine, scippi, etc) il conto arriva facilmente al 50%. L’impatto carcerario della legge antidroga è quindi la principale causa del sovraffollamento negli istituti di pena italiani. All’aumento della carcerazione e delle sanzioni amministrative corrisponde un abbattimento dei programmi terapeutici, alla faccia dei proclami di Fini e Giovanardi sul “noi i tossicodipendenti li vogliamo curare”. Migliaia di giovani ogni anno sono privati di patente e passaporto, perchè trovati a fumarsi una canna su una panchina e devono sottostare a controlli per anni e anni, mettendo a rischio non solo la loro vita lavorativa.

    LEGALIZZARE VALE UN PUNTO DI PIL – In Italia i costi della repressione sulle droghe ammontano, secondo uno studio di Marco Rossi del 2009 a circa 10 miliardi di euro. Se stimiamo che 2/3 siano legati ai derivati dalla cannabis possiamo quantificare in circa 7 miliardi l’anno l’impatto nell’economia di una legalizzazione e regolamentazione della cannabis al pari del tabacco, fra minori costi per la repressione e imposte sulle vendite. Senza contare la tassazione derivante dall’emersione dell’economia illegale e dell’indotto che tra emersione del lavoro e tassazione dei profitti puo’ far arrivare tranquillamente il valore economico della regolamentazione vicino al punto di PIL.

    L’ESEMPIO OLANDESE – Nell’articolo che fornisce lo spunto vengono citati alcuni dati sul consumo di cannabis in Olanda presi da un vecchio rapporto dell’EMCDDA, con un confronto fra il 1997 e il 2006. Oltre al dettaglio di omettere a cosa si riferisse il dato della prevalenza (si trattava dell’uso nella vita nella fascia d’età 15-64), si è evitato di citare il dato immediatamente accanto nella stessa tabella, ovvero come l’uso della cannabis nell’ultimo anno fosse non solo molto più basso, ma pure in calo (dal 5,5 del 97 al 5,4 del 2006). Se poi andiamo a vedere la distribuzione per età, sempre nello stesso rapporto, notiamo come l’uso nell’ultimo anno (che è in effetti il dato che viene usualmente utilizzato per la stima del consumo) sia in calo soprattutto per i più giovani (dal 14,3 all’11,4). Onestà intellettuale mi obbliga a riferire come questi dati siano ampiamente superati. Oggi la prevalenza dell’uso lifetime della cannabis in Olanda è al 25,7% (fonte dati EMCDDA, con l’avvertenza che è cambiato il sistema di campionatura e lo stesso Istituto li utilizza con “parsimonia”, soprattuto per i raffronti con i precedenti) mentre è al 7% quella dell’uso nell’ultimo anno.

    L’AUMENTO PROGRESSIVO – Ma, oltre a non aver molto senso imputare l’aumento progessivo del consumo dai primi anni 2000 ad una politica che è iniziata 25 anni prima, questi dati non hanno significato se non vengono confrontati con quelli di un paese a caso che applichi coscientemente la politica internazionale di repressione sulle droghe: l’Italia. Così scopriamo che (dati 2008, qui l’EMCDDA manco li cita gli strabilianti dati di Giovanardi degli anni successivi) in Italia l’uso durante la vita è al 32%, mentre l’uso nell’ultimo anno al 14,3%. Se prendiamo invece un paese, sempre a caso, che ha avviato politiche di depenalizzazione come il Portogallo ritorniamo all’11,7% nella vita e al 6,6% nell’ultimo anno. Insomma, la Legalizzazione certamente non fa aumentare i consumi, e forse li puo’ far diminuire.

    LEGALIZZARE? REGOLAMENTARE – In un volume tradotto in italia col titolo “Dopo la War on Drugs” e pubblicato da Ediesse, la fondazione britannica Transform ha ipotizzato, a partire dalle esperienze internazionali, un percorso per la regolamentazione di ogni tipo di sostanza. E’ un libro interessante, che invito a consultare. Serve soprattutto a comprendere come legalizzare significhi regolamentare: oggi un minorenne puo’ acquistare cannabis, senza sapere come è stato prodotta, cosa ci è stato aggiunto, come è stato trasportata e a chi andranno i suoi soldi. E spesso senza conoscere neanche gli effetti della sostanza, o i pericoli derivanti dalle poliassunzioni. Una volta regolamentato, un minorenne non potrà acquistare, ci potranno essere controlli sulla qualità delle sostanze e si potrà informare con un po’ più di serenità sugli effetti delle sostanze, favorendo quindi un uso più consapevole e attivando campagne di informazione come per il tabacco.

    AL CONTRARIO – Qui l’esempio olandese ci è utile anche al contrario. L’adozione del Wietpas, ovvero il divieto di vendita ai non residenti e la registrazione dei clienti dei coffeshop, nelle regioni del sud del paese ha infatti provocato un ritorno dello spaccio in strada, la sostituzione del turismo dello sballo col pendolarismo dello spaccio, una forte diminuzione dei prezzi nelle piazze (a confronto con quelli “controllati” nei coffeshop) ed una maggiore disponibilità delle sostanze per tutti, compresi i minorenni utilizzati anche come spacciatori.

    IL DIBATTITO SULL’ETICA – Qui non si tratta di dibattere se fumare cannabis sia “eticamente” o “moralmente” più disdicevole che bere alcol. Il dibattito deve essere sul fatto che lo Stato debba o meno arrogarsi il diritto di proibire usi e costumi che non danneggiano gli altri e che danneggiano se stessi meno (zero morti l’anno) che i consumi, perfettamente legali, di alcol (30.000 morti l’anno) o di tabacco (80.000 morti l’anno). Perchè se in questo paese non usciamo in fretta dal vicolo stretto della presunzione di ciò che è “socialmente accettato” sarà difficile contrastare l’evasione fiscale, figuriamoci legalizzare le droghe o garantire le unioni di fatto, o addirittura i matrimoni per gay e lesbiche. Non possiamo poi dimenticare che almeno negli ultimi vent’anni il nostro paese abbia conosciuto una fase di dibattito politico di livello talmente basso da impedire una qualsiasi forma di ragionamento sereno sul tema, e questo è stato subito da un movimento antiproibizionista molto indebolito in questi anni. Non è peraltro un caso che tale quadro politico abbia prodotto la legge Fini-Giovanardi e la Bossi-Fini, due normative criminogene asservite al dogma della “sicurezza”.

    MARIJUANA, MITI E FATTI – Diventa più difficile commentare in poche righe argomentazioni come queste: “fanno male, danneggiano il cervello, provocano dipendenza, inducono alterazioni sensoriali e comportamentali che mettono a rischio la vita e l’incolumità degli altri, possono favorire il passaggio al consumo di droghe pesanti…” Si tratta di un compendio di miti sulla marijuana che, presi insieme, meritano un libro. Un libro che per fortuna esiste e che è stato ripubblicato in italiano da Vallecchi. Pur un poco datato aiuta a sconfiggere un po’ di miti sulla Marijuana: Marijuana, i miti e i fatti, di Zimmer e Morgan, è un bel libro, ne consiglio la lettura perchè aiuterebbe un dibattito sereno sui reali effetti dei derivati della cannabis. Per citare testi più recenti, sarebbe sufficiente il testo della Beckley Foundation, che analizza in modo piuttosto esteso la sostanza e i suoi reali effetti (qui una presentazione a cura di Grazia Zuffa, Fuoriluogo). Anche più recentemente molte ricerche (fra queste Tait et al, Addiction, ottobre 2011 e Dregan e Gulliford, “American Journal of Epidemiology”, febbraio 2012) hanno dimostrato come i danni reali del consumo di cannabis siano da considerare modesti anche in caso di un consumo pesante (che certamente non va comunque nè consigliato nè favorito). Qui mi limito ad accennare che non esiste in letteratura uno studio che possa dimostrare la dipendenza fisica dalla sostanza cannabis nell’uomo (esiste una ricerca che dimostra un possibile dipendenza nei topi a dosi da cavallo, il suo curatore, Gian Luigi Gessa è oggi uno degli scienziati più esposti a favore della legalizzazione), per la “cannabis droga di passaggio” basterebbe dire che tutti gli eroinomani hanno cominciato dal latte, ma esistono studi che dimostrano che tale legame non è dovuto alla sostanza, e che anzi l’unico collegamento reale è la commistione dovuta al mercato illegale. Per il resto nessuno ha mai negato che la cannabis abbia effetti, sul corpo come nel cervello. Il problema è comprendere quali siano quelli reali e se siano tali da giustificare la proibizione di quella che, dopotutto, è solo una pianta che ha accompagnato l’uomo da millenni.

    LE RICERCHE – Fra l’altro sono numerosissime, ed addirittura alcune di queste accettate pure dal Dipartimento Antidroga italiano, le ricerche sull’uso medico della canapa. Oltre ai noti effetti positivi come sostanza utilizzata nelle cure palliative, per i malati sottoposti a chemioterapia, nella terapia sintomatica della sclerosi multipla, sono in via di accertamento proprietà antitumorali (ad esempio per il tumore prostatico, vedi Indian Journal of Urology e British Journal of Pharmacology).

    CONCLUDENDO – Sinceramente chi scrive non sa dove si sposteranno gli interessi dei narcotrafficanti una volta regolamentato legalmente il mercato della canapa in Italia, anche se non disdegnerebbe che la manovalanza del crimine trovasse più vantaggioso e salutare trovare occupazione alla luce del sole in un coffeeshop italiano. So però che almeno le forze dell’ordine non saranno più impegnate in costose retate alla caccia di un paio di piantine di canapa nell’armadio, per essere impiegate per contrastare reati più pericolosi per la società, e che centinaia di migliaia di consumatori potranno liberarsi dal giogo della proibizione. Perchè non è vero che il consumo non sia penalizzato nel nostro paese. Infatti le tabelle ministeriali prevedono un limite talmente basso di principio attivo (500mg per la canapa, ben diverso per la cocaina) che sono innumerevoli i casi di consumatori che, anche per le modalità di consumo della canapa (consumo di gruppo spesso significa anche acquisto di gruppo), risultano sottoposti a procedimento penale e che magari preferiscono patteggiare un fatto di lieve entità con sospensione condizionale, piuttosto che rimanere impigliati per anni nelle maglie del sistema penale italiano. Anche se poi molti finiscono lo stesso in carcere (una stima molto parziale parla di circa il 40% di detenuti per “fatto lieve” sul totale dei detenuti per reati di droga). Per non parlare poi di chi, non volendo finanziare le narcomafie, decide di autocoltivarsi la piantina nel ripostiglio o nell’armadio: questi sembrano diventati negli ultimi anni gli obiettivi privilegiati della repressione, quasi fosse un’aggravante il volersi affrancare dal mercato criminale.

    (articolo scritto per Giornalettismo)

  • Dopo la guerra alla droga domani a Bologna

    Lab57 & Forum Droghe presentano

    Transform Drug Policy Foundation
    Dopo la guerra alla droga
    Un piano per la regolamentazione legale delle droghe

    Martedì 24 gennaio 2012
    presso la Libreria modo infoshop in via Mascarella, 24/b a Bologna

    Con questo appuntamento ci poniamo l’obiettivo di iniziare un percorso pubblico per sollevare in città un confronto laico con gli operatori che lavorano nei servizi, coi consumatori e gli amministratori locali per trovare soluzioni pratiche e realistiche per la cittadinanza fuori dai pregiudizi e le falsità che affollano le pagine dei giornali quando si affronta il tema DROGA, auspicando lo sviluppo di nuove politiche di prossimità e inclusione sociale attivando servizi sociali dove si rivelano necessari, invece di delegare tutto alla repressione indicriminata delle forze dell’ordine.

    Attraverso diversi altri incontri, presentazioni e interventi informativi proseguiremo il percorso iniziato il 10 dicembre, giornata mondiale per i diritti umani, con la parata Canna-bicycle Human Motor 2011, all’ interno della mobilitazione nazionale della rete Vienna 2012: verso la fine del mondo proibizionista, che dal 10 al 16 marzo si è data appuntamento a Vienna con tutti gli altri antiproibizionisti Europei, per OCCUPARE L’ UNODC (Ufficio Droghe e Crimine delle Nazioni Unite).

    (Da Lab57 via Fuoriluogo.it)

  • Facciamo i conti al proibizionismo

    In occasione del 50esimo anniversario della convenzione ONU sulle droghe, un gruppo di organizzazioni mondiali impegnate sulle politiche sulle sostanze, sui diritti umani, salute, sviluppo, crimine e giustizia ha lanciato la campagna Count the cost.

    Il primo obbiettivo è raccogliere in un unico “contenitore” i costi del proibizionismo, che siano questi sociali, ambientali, economici o per la salute delle persone, in modo che Governi e Nazioni Unite siano messi di fronte all’evidenza del fallimento della War on Drugs. Il secondo obbiettivo è quello di promuovereil dibattito sulle alternative possibile e documentare le strategie di uscite dal proibizionismo. Il tutto raccolto in modo differenziato per le grandi aree continentali e sotto sette grandi tematiche: sicurezza internazionale, svilluppo e conflitti energetici, diritti umani, salute pubblica e disagio, discriminazione, deforestazione e inquinamento, crimine, costi economici.

    L’iniziativa è coordinata da Transform ed ha avuto il supporto di numerose sigle mondiali, fra cui IDPC, Drug Policy Alliance, TNI, WOLA . Per l’Italia ha aderito anche Forum Droghe.

    Per quanto ancora dovremmo seguire politiche che minano lo svilluppo e la sicurezza internazionale, minacciano la salute pubblica e causano morti, minano i diritti umani, promuovono stigma e discriminazione costi, causano deforestazione e inquinamento, creano criminalità e la arrichiscono, sprecano miliardi in politiche repressive inefficaci? Aiutaci a cambiare rotta, firma anche tu on line!

    Qui si può firmare:
    http://www.countthecosts.org/take-action/sign-our-statement

    I promotori
    http://www.countthecosts.org/supporters

    (da fuoriluogo.it)

  • Proibizionismo e nucleare

    In conferenza stampa con Giovanardi il direttore generale dell’UNODC Fedotov difende l’impostazione proibizionista dell’ONU sulle droghe dal recente rapporto della Global Commission on Drugs che ha chiesto il superamento della War on Drugs:

    “non si può dire se la campagna dell’Onu sia stata fallimentare, anche se certamente non è stata ancora trovata una soluzione definitiva*“.

    Insomma, un po’ come con le scorie nucleari…

    * la convenzione ONU sulle droghe è del 1961, compie giusto cinquant’anni…

  • Il proibizionismo alla prova dei fatti

    Magistratura Democratica|Forum Droghe|Gruppo Abele|NarcoMafie
    con il patrocinio della Provincia di Roma

    Droghe e tossicodipendenza
    Il proibizionismo alla prova dei fatti

    Roma, 10-11 giugno 2011
    Sala della Pace “Giorgio La Pira” – Palazzo della Provincia – Via IV Novembre, 119/A – Roma

    Programma

    VENERDÌ 10 GIUGNO 2011

    ore 9.00: Saluto e introduzione ai lavori
    Cecilia D’Elia, Vicepresidente della Provincia di Roma
    Luigi Marini, presidente di Magistratura democratica.

    prima sessione
    Le droghe nel mondo

    ore 9.30: Le convenzioni internazionali e le politiche globali.
    Grazia Zuffa, Fuoriluogo
    Alessandro Donati, consulente WADA (agenzia sulle sostanze dopanti)

    ore 10.10: Produzione e traffico in America Latina ed Europa. Le false piste del crimine organizzato.
    Giovanni Melillo, procuratore aggiunto presso il Tribunale di Napoli.
    Mónica Cuñarro, Fiscal e professora all’università de Buenos Aires.

    ore 10.50: Indirizzi alternativi alla war on drugs: il caso della Commissione latino americana su Droghe e Democrazia.
    Amira Armenta, Transnational Institute di Amsterdam.

    Ore 11.20: La questione delle droghe illecite: strategie di contrasto della povertà in Brasile.
    Rubens Roberto Casara, magistrato – Brasile

    ore 12.30: Dibattito

    seconda sessione
    La risposta tradizionale alle dipendenze: repressione penale, carcere. Esperienze a confronto

    ore 15.00: – La legislazione in materia di stupefacenti, l’abuso della risposta giudiziaria e gli effetti sul carcere.
    Giuseppe Cascini, magistratura democratica.
    Martin Vazquez Acuna, giudice del Tribunale Orale penale Nº1 della città Autonoma Nº 1.

    ore 15.45: – La pena per i tossicodipendenti nell’esperienza italiana e latino-americana. L’impatto delle politiche di controllo della “narcocriminalità” nei confronti delle donne. Tensioni con il diritto antidiscriminatorio.

    Graciela Julia Angriman, Juzgado en lo Correccional No. 5 Departamento Judicial de Moron, Provincia de Buenos Aires. Argentina.
    Emilio Santoro, sociologo del diritto, Università di Firenze

    ore 16.30: – Le misure alternative per i tossicodipendenti nell’esperienza italiana.
    Claudio Sarzotti, Antigone

    ore 17.15: – Il caso Italia a cinque anni dalla nuova legge.
    Carlo Renoldi, magistratura democratica.

    ore 17.30: dibattito

    SABATO 11 GIUGNO 2011

    terza sessione
    Appunti per una risposta alternativa al panpenalismo.

    ore 9.00:- Politiche penali, politiche sanitarie, controllo sociale. Le politiche nei confronti dei consumatori: sicurezza vs prevenzione.
    Riccardo De Facci, responsabile del settore dipendenze del Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza.
    Mónica Cuñarro, Fiscal e professora all’università de Buenos Aires.

    ore 9.45: – Le nuove frontiere di riduzione del danno in carcere e la tutela della salute dei consumatori detenuti.
    Alessandra Cerioli, presidente della Lila
    Martin Vazquez Acuna, giudice del Tribunale Orale penale Nº1 della città Autonoma Nº 1.

    ore 10.30: – Città, politiche delle droghe e politiche securitarie.
    Grazia Zuffa, Fuoriluogo

    ore 11.15: – Presentazione del documento finale dei lavori.
    coordina:
    Francesco Maisto, presidente del Tribunale di sorveglianza di Bologna.

    Ne discutono
    Franco Corleone, Forum droghe.
    Leopoldo Grosso, Gruppo Abele
    Stefano Anastasia, Antigone
    Rubens Roberto Casara, magistrato – Brasile
    Martin Vazquez Acuna, giudice del tribunal oral – Argentina.

    ore 12.15: -Conclusioni
    Piergiorgio Morosini, Segretario generale di magistratura democratica.

    Aderiscono all’iniziativa:
    Antigone; CNCA (Coordinamento nazionale comunità di accoglienza); Il coordinamento dei Garanti dei diritti dei detenuti; La Società della Ragione; Fondazione Michelucci

    Note organizzative:
    La sera del 10 giugno: elaborazione e discussione di un documento tra i magistrati
    Con la collaborazione di Apdes; Fondazione Basso; Provincia di Roma

    per informazioni:
    Tiziana Coccoluto – tiziana.coccoluto@giustizia.it (tel 3474929619)
    Carlo Renoldi – carlo.renoldi@giustizia.it (tel. 3804699075)

    (via fuoriluogo.it)

  • Belle d’Opium

    Quando il profumo della proibizione da alla testa…

    Dal notiziario droghe Aduc

    E’ la seconda censura di uno spot pubblicitario in Gran Bretagna. Dopo il clip del profumo Heat di Beyoncé giudicato troppo “hot”, e’ il turno dell’attrice Melanie Thierry che da’ problemi all’Asa, l’autirità che sovrintende alla pubblicita’, che ha deciso di ritirarla dal mercato. “Anche se non abbiamo considerato che fare pubblicita’ ad un prodotto intitolato Opium non fosse irresponsabile… abbiamo valutato che il gesto di una donna simula l’assunzione di droga. E quindi abbiamo valutato che era irresponsabile e inaccettabile la diffusione”.
    Si tratta del profumo Belle Opium di Yves Saint Laurent, in cui l’attrice per alcuni secondi passa la sua mano sotto il naso prima di porre il viso verso il sole mentre una voce esterna dice “io sono la tua ossessione. Io sono Belle d’Opium”

    http://www.youtube.com/watch?v=flTdFMWAKNY

  • Basta repressione, basta terrorismo. Lo Stato legalizzi la canapa.

    Comunicato stampa dei Verdi di Ferrara:

    E’ di questi giorni la notizia dell’arresto di numerose persone a seguito di un’indagine della Procura di Ferrara sulla vendita on line di materiale per la coltivazione della canapa. Con grande risalto sulla stampa è apparso il monito di magistratura e forze dell’ordine per mettere in guardia i consumatori al fine di evitare condotte rischiose come l’autocoltivazione della marijuana.

    Perchè è vero che in questo paese chi coltiva canapa rischia da 6 a 20 anni di galera. Figuratevi che chi stupra rischia solo da 5 a 10 anni, mentre la conscussione è punita con reclusione da quattro a dodici anni. Forse non è quindi un caso che metà dei detenuti italiani è in carcere per violazione delle leggi sulle droghe. E’ evidente che è la legge a non avere senso, una legge voluta dalla coppia Fini-Giovanardi per reprimere e terrorizzare i consumatori, in particolare di canapa e suoi derivati.

    Non esiste nella letteratura scientifica internazionale un solo caso di decesso dovuto alla marijuana, mentre altre sostanze, come l’alcol ed il tabacco – che provocano centomila morti l’anno solo in Italia – sono legali e finanziano le casse dello stato. Uno studio stima in circa 10 miliardi di euro il costo diretto della guerra alla droga italiota, fra spese legate alla repressione e mancati introiti fiscali. Senza contare l’indotto che gira intorno al mercato delle droghe e che potrebbe emergere con la legalizzazione.

    Pensate, ci risparmieremmo quasi mezza finanziaria di Tremonti. Questi introiti invece vanno tutti alle mafie che, come al solito, ringraziano la miope politica proibizionista. Perchè, è ora di dirlo, l’unica “colpa” di chi autocoltiva la propria piantina di canapa è quella di non voler finanziare con i propri soldi le mafie che controllano il mercato della droga illegale.

    La guerra alla droga deve finire, la canapa deve essere legalizzata. Anche perchè i dati dimostrano come nei paesi che hanno avviato politiche di tolleranza i consumi di sostanze siano molto inferiori a quelli dei paese proibizionisti. In Olanda, il paese dei Coffeeshop tanto per intenderci, vi sono solo il 4,6% di consumatori di canapa, contro il 14,6% dell’Italia (dati del rapporto 2010 dell UNODC l’agenzia ONU contro Il traffico di Droga ed il Crimine). Un terzo.

    Ci auguriamo che la Magistratura ferrarese prenda esempio dal Tribunale di Milano, che recentemente ha dichiarato la coltivazione domestica come condotta non perseguibile penalmente. Ce lo auguriamo per le persone coinvolte in questa storia di ordinaria repressione, a cui va la nostra solidarietà. Ma ce lo auguriamo anche per il buon senso, che purtroppo sembra merce sempre più rara e preziosa nel nostro paese.

    Federazione dei Verdi di Ferrara
    L’ufficio Stampa

  • Basarsi sulla scienza, non sull’ideologia.

    L’International AIDS Society, l’International Centre for Science in Drug Policy (ICSDP), e il BC Centre for Excellence in HIV/AIDS hanno avviato un’iniziativa dal basso di raccolta adesioni sulla “dichiarazione di Vienna” che sostiene come la guerra alla droga e la criminalizzazione dei consumatori di droghe alimentino l’epidemia di Hiv con enormi conseguenze negative sanitarie e sociali. Per i promori è quindi necessario imprimere un nuovo indirizzo alle politiche delle droghe, verso un approccio scientifico e rispettoso dei diritti umani per ridurre i danni delle attuali politiche, e convogliare le risorse verso interventi di prevenzione, trattamento e riduzione del danno fondati sulle evidenze scientifiche.

    Dal blog di Fuoriluogo.it: leggi l’articolo di Grazia Zuffa, per la rubrica di Fuoriluogo sul Manifesto del 30 luglio 2010.

    Anch’io ho aderito alla Vienna Declaration: vai al sito ufficiale della campagna e firma anche tu.

  • Il Proibizionismo ha fallito

    Solidarietà ai consumatori di sostanze vittime della repressione da parte dei Verdi di Ferrara

    La giornata mondiale antidroga che si celebra oggi deve essere per i cittadini occasione in cui ci si interroga sull’inefficacia lampante delle politiche proibizioniste sulle droghe. Mentre negli Stati Uniti sempre più stati abbandonano la via perversa della proibizione, mentre i dati dimostrano che laddove si introducono politiche di tolleranza e riduzione del danno i consumi diminuiscono, in Italia il sottosegretario Giovanardi è costretto a inocularci dati stupefacenti, smentiti poche ore dopo dal CNR, per giustificare le politiche proibizioniste del Governo Berlusconi.

    Come ampiamente previsto i più colpiti dalla nuova legge sono stati i consumatori di canapa: l’aver assimilato la sostanza ad altre ben più pericolose, l’aver automatizzato – con l’inserimento nelle tabelle della quantità massima detenibile – la contestazione del reato di spaccio, l’aver perseguito con pervicacia coloro che per sottrarsi ai mercati illegali hanno intrapreso la strada dell’autocoltivazione come il giovane copparese arrestato proprio in questi giorni, la criminalizzazione di una pianta che peraltro fino a sessant’anni fa cresceva florida nelle nostre campagne ha riempito le carceri di persone che ovunque dovrebbero stare fuorchè in galera.

    Le carceri stanno scoppiando, e quasi la metà dei detenuti lo è per la violazione di due soli articoli del nostro vastissimo apparato normativo penale: quelli sulle droghe. I detenuti tossicodipendenti non riescono più ad uscire dal carcere per seguire programmi di recupero a causa del combinato disposto della legge sulle droghe e di quella sulla recidiva, nonostante i proclami Giovanardiani e nonostante le statistiche dimostrino come la recidiva sia infinitamente minore una volta seguito un percorso rieducativo e di reinserimento alternativo al carcere.

    Per questo come ecologisti continueremo a chiedere una nuova politica sulle droghe, che abbandoni la repressione dei consumatori, che tolga ossigeno e denaro alle mafie e investa sulle pratiche della riduzione del danno e dell’informazione.

    Per questo i Verdi di Ferrara, proprio oggi, esprimono la propria solidarietà e la propria vicinanza a tutti i consumatori di sostanze vittime della War on Drugs, e a tutti quegli operatori dei servizi pubblici e del privato sociale che nonostante il Governo continuano con passione a fare il loro lavoro. E anche agli operatori delle forze dell’ordine che magari preferirebbero andare a caccia di criminali seri piuttosto che sradicare piante da orti e fossi.

    I Verdi di Ferrara

    ?

  • L’informazione drogata

    Una premessa. Di droga di parla male. Malissimo. Anche perché si usa la parola droga – nella sua accezione più becero-moralista – per coprire qualunque cosa.

    Chi scrive vive in una città, Ferrara, nella quale qualche anno fa un ragazzo è morto durante un fermo di polizia. E’ importante ricordare come solo grazie alla forza di volontà dei genitori Federico Aldrovandi non è stato vittima due volte, prima dei poliziotti che ne hanno causato la morte poi dell’informazione che, presa per buona la velina della questura, aveva già archiviato il caso come quello del solito drogato a cui è venuto uno scioppone.

    Droga, basta citarla – possibilmente senza sottilizzare troppo su quale droga sia – per giustificare qualunque cosa. Un altro esempio? Era un drogato anoressico, l’ha ucciso la droga, più o meno così si si sarebbe risolto il caso Cucchi secondo un illustre esponente del Governo.

    E’ forse questo l’effetto più perverso della politica proibizionista, esemplificato dalla legislazione voluta da quello stesso illustre esponente governativo, Carlo Giovanardi. Un metodo studiato a tavolino che semplifica, assimila le sostanze e fornisce all’opinione pubblica un pregiudizio etico, moralista e benpensante a sufficienza per essere prontamente condiviso da chi informa e da chi si fa informare.

    Ho provato a fare un’analisi un po’ più accurata, prendendo spunto sui dati che ci fornisce una ricerca promossa dalla Regione Emilia Romagna sulla droga nell’informazione locale curata dal prof. Piero Ignazi per Forum Droghe nel 2004 e poi nel 2007. Prima e dopo la nuova legge sulle droghe approvata dal Governo Berlusconi nel 2006.

    Nella ricerca sono state prese a campione 18 testate locali, scelte secondo la diffusione nel territorio regionale. In tutto sono stati esaminati 2422 articoli nel 2004 e 2217 nel 2007, nel corso di 9 mesi di indagine.

    Un dato scontato
    Vince facilmente la gara del numero di articoli, e dell’importanza loro data ovviamente il Resto del Carlino, che surclassa con le sue edizioni locali distribuite su tutto il territorio regionale ogni altro quotidiano.

    Il follow up
    Meno del 10% delle notizie è seguita da altri articoli (7,8% nel 2004 – 8,9% nel 2007) il che non significa solo che c’è poco interesse nel seguire una determinata vicenda – del resto la tendenza alla superficialità dell’informazione non si limita alle droghe – ma significa soprattutto che più del 90% degli articoli riportano un nuovo singolo evento. In parole povere il fenomeno è talmente diffuso e sono tanti i fatti legati alle droghe che più o meno ogni giorno i giornali ne trovano uno nuovo di cui occuparsi.

    Di quali sostanze si parla
    Si parla di tutto, anche di sostanze sconosciute ai più fedeli cultori della materia. Del resto più il nome è esotico più attira curiosità. Si parla comunque soprattutto di cocaina, poi di cannabis e derivati quindi di eroina.

    Un caso per tutti, Alberto Mercuriali
    Nel 2007, proprio nel periodo esaminato dalla ricerca, vicino a Forlì accade un fatto tragico. Alberto Mercuriali, un giovane agronomo, viene pescato dai carabinieri con una canna, viene accompagnato a casa dove consegna spontaneamente qualche decina di grammi di hashish in suo possesso dietro la promessa di riservatezza da parte dei Carabinieri. Alcuni giorni dopo, a seguito di una delle solite conferenze stampa in cui le forze dell’ordine danno conto di quanto sono efficienti nel perseguire i consumatori, su tutti i giornali locali esce la notizia di un giovane agronomo pescato con la droga nascosta dentro ad un libro. Gli agronomi giovani nel paese di Alberto sono pochi, è come mettere la sua foto in prima pagina. Lo stesso giorno vengono pescati anche due coniugi indaffarati in un traffico internazionale di chili di cocaina. Ma il giornale dedica l’intera pagina alla storia romanzata di Alberto e dei suoi 60 grammi di fumo, lasciando in un trafiletto la storia dei due coniugi. Alberto la notte stessa si è ucciso.

    Ma vi sono altri dati, forse altrettanto scontati ma più interessanti perché ci forniscono alcune conferme.

    Cura del tossicodipendente
    Si è detto spesso, da parte dei promotori dell’attuale legislazione, che l’obiettivo era curare i tossicodipendenti e non metterli in carcere. Ora, mentre il numero dei detenuti sta per raggiungere le 80.000 unità e quasi la metà lo è per violazione delle norme sule droghe, mentre calano gli accessi alle pene alternative e alle cure, anche per colpa della normativa sulla recidiva, anche l’informazione, post Fini-Giovanardi, ha parlato meno di recupero, delle strutture pubbliche o private che si occupano di assistenza ai tossicodipendenti.
    Non che prima se ne parlasse molto prima, ma la percentuali di articoli che citano le attività di recupero passano dal 4,7% (116) del 2004 all’1,12% del 2007. Insomma, per dirla con una battuta, dopo la Fini-Giovanardi non basta neanche la presenza di san Patrignano a dopare l’informazione emiliano romagnola e costringerla a parlare un po’ della cura dei tossici.
    Giusto per ribadire il concetto, e comprende la qualità ed il livello generale di approfondimento dell’informazione, nel 2007 solo in 3 articoli su oltre 2200 si parlava (molto superficialmente) di riduzione del danno. Evitiamo per decenza di calcolare la percentuale sul totale.

    Il dibattito sulle droghe e la debolezza del movimento antiproibizionista italiano
    Un segno preoccupante della grave difficoltà del movimento antiproibizionista italiano in questi anni è la bassissima presenza di articoli di dibattito sulla legislazione sulle sostanze: 5 su 2217 nel 2007 contro i 38 della precedente rilevazione. Qui la percentuale la calcoliamo: siamo allo 0,22% contro  un “dignitoso” 1,56% del 2004. Per intenderci se questo articolo oggi fosse ripreso da 5 giornalisti  avremmo già realizzato un piccolo record.

    Insomma forse non è un caso che fuoriluogo abbia sospeso le pubblicazioni, che antiproibizionisti.it abbia chiuso. La forza della proposta antiproibizionista è andata scemando pian piano che il proibizionismo “normalizzava” le coscienze e la morale. Non è un caso che la magistratura si senta in diritto di utilizzi sempre più spesso e sempre più strumentalmente gli articoli che prefigurano reati d’opinione (istigazione e agevolazione dell’uso) come nel caso del Rototom Sunsplash festival, di mariuana.it o più recentemente di Semitalia.

    Insomma di droga si parla tanto, spesso male, ma soprattutto quasi esclusivamente legandola a fenomeni criminali. Questo il dato sull’informazione emiliano romagnolo dopo 50 anni di proibizionismo (e di quasi 10 di Giovanardi). Nonostante siano migliaia i giovani coinvolti in processi penali, centinaia di migliaia coloro passati per le Prefetture in questi anni ancora non si riesce a imporre il dibattito su una politica sulle sostanze sensata. Non solo nelle aule parlamentari, ma soprattutto nei media che in Italia paiono meno ricettivi al cambio di rotta che all’estero.

    Insomma abbiamo il paradosso di un fenomeno diffusissimo, di cui tutti – anche la politica – hanno spesso conoscenza diretta, ma sul quale non si riesce a fare informazione se non parlandone in termini criminogeni.
    E’ in fondo questo il punto di svolta, riuscire finalmente a scardinare il legame fra droga e criminalità. Non è nulla di nuovo. Ma perché non ci siamo ancora riusciti?

    (intervento al al Festival delle Culture antifasciste a Bologna riveduto e corretto per il blog di fuoriluogo.it)

  • Il campione “sballato”

    Carlo Giovanardi si disseta

    Così recita la relazione sulle tossicodipendenze 2010 (dati 2009) presentata ieri in pompa magna da Giovanardi e commentata trionfalisticamente da Berlusconi:

    Le percentuali di persone che nella popolazione generale contattata (su un campione di 12.323 soggetti di età compresa tra 15-64 anni) hanno dichiarato di aver usato almeno una volta nella vita stupefacenti sono risultate rispettivamente di 1,29% per l’eroina (1,6% nel 2008), 4,8% per la cocaina (7% nel 2008), 22,4% per la cannabis (32% nel 2008), per gli stimolanti – amfetamine – ecstasy 2,8% (3,8% nel 2008), per gli allucinogeni 1,9% (3,5% nel 2008)

    sottolineo:

    dichiarato di aver usato almeno una volta nella vita

    Insomma, i casi sono due: o i nati nel 1944 (65enni e fuori campione) erano tutti dei fattoni, e quelli nati nel 94 al contrario dei santi, oppure ne hanno uccisi davvero tanti di consumatori…

    O, meglio, è il campione ad essere “sballato”…

  • Mille miliardi di dollari

    Il costo della war on drugs americana, secondo l’Associated Press.

    Anche per Obama è il tempo di fare un consuntivo sul fallimento totale del proibizionismo, che non ha raggiunto nessuno dei suoi obiettivi se non quello di far moltiplicare i consumi, arricchire le multinazionali del crimine e portare morte e disperazione in tutto il mondo.

    Consiglio di leggere il commento di Giorgio Bignami sul blog di fuoriluogo.it.

  • Il re è nudo

    Vittorio Zucconi su Repubblica pone l’interrogativo sull’efficacia della guerra alla droga in Italia e nel mondo. Gli obiettivi dei guerrieri di cancellazione delle sostanze, della produzione e del consumo si sono rivelati non solo impossibili ma dannosi. Le conseguenze sulla giustizia, sulle carceri, sulla salute e sull’economia e sulla corruzione, anche delle forze dell’ordine è ormai evidente.

    Forse non siamo più voci nel deserto accusate di essere portatori di istanze ideologiche e di estrema minoranza. Chi coltiva l’ideologia salvifica e moralista appartiene al campo del proibizionismo. Per resistere sono ridotti a mettere al bando da Sanremo il povero Morgan. Le cifre, i dati cominciano a fare giustizia.

    Il re è nudo! Non bisogna avere paura di urlarlo.

    Franco Corleone sul suo blog (via fuoriluogo.it).

  • Giovanardi ci costa 10 miliardi l’anno

    giovanardiCerto non c’è solo lui, ma il proibizionismo in Italia costa 10 miliardi l’anno tra spese per la repressione (2 miliardi) e mancati introiti fiscali di un mercato legalizzato (8 miliardi).

    La ricerca di Marco Rossi, Università La Sapienza, da Fuoriluogo.it:

    Recenti contributi teorici sostengono la superiorità degli strumenti fiscali nel contenere il consumo di droghe rispetto all’applicazione di una normativa proibizionista. In Italia il consumo di tabacchi ed alcolici è appunto scoraggiato tramite l’imposizione di una elevata tassazione. Questo lavoro di Marco Rossi dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” stima quale sarebbe stata l’implicazione fiscale per l’erario nazionale se nel periodo 2000-05 il mercato delle droghe fosse stato regolato come quello dei tabacchi. Le stime dello studio suggeriscono un beneficio fiscale annuale di quasi 10 miliardi euro (quasi 60 in totale). In particolare, l’erario risparmierebbe circa 2 miliardi all’anno di spese per l’applicazione della normativa proibizionista (polizia, magistratura, carceri), ed incasserebbe circa 8 miliardi all’anno dalle imposte sulle vendite (5,5 dalla sola cannabis).

  • Il proibizionismo fa bene? In palio 200.000 euro.

    Il divieto della cannabis ha più effetti negativi che positivi.

    Tribunale olandese della cannabis

    Tribunale olandese della cannabis

    Mentre in Italia impazza il Giovanardi Style, tra divieti alcolici orari e interpretazioni coraggiose delle leggi sulle droghe (in salsa tutta ferrarese), in Olanda ci sono i preparativi per il primo Tribunale della Cannabis, organizzato dal Cannabis College, la Fondazione Olandese per la Politica delle Droghe e Encod durante il quale sfideranno tutti i deputati olandesi a provare evidenze fondate in opposizione alla proposizione qui sopra.

    Il partito politico che riuscirà a produrre una simile prova avrà una ricompensa di 200.000 euro.

    Da Encod, via fuoriluogo.it.

  • Caso Bianzino, l’inchiesta non si chiude

    Riprendo, tramite il blog di fuoriluogo.it, la notizia pubblicata su Liberazione riguardo uno spiraglio nella vicenda della tragica morte di Aldo Bianzino.

    Perugia: indagine sulla morte di Aldo Bianzino non si chiude

    Da Liberazione, – 1 agosto 2008

    La famiglia di Aldo Bianzino avrebbe ottenuto dal Gip la continuazione delle indagini, nonostante che il Pm sostenga che la morte è avvenuta per cause naturali. Da Liberazione.

    Ci sono novità sull’inchiesta per la morte di Aldo Bianzino nel carcere di Perugia. Il giudice per le indagini preliminari, Massimo Ricciarelli, avrebbe dichiarato ammissibile l’istanza con la quale gli avvocati della famiglia del falegname di Pietralunga si sono opposti all’archiviazione del caso. Ad otto mesi di distanza si potrebbe dunque riaprire il caso di Aldo Bianzino.

    L’uomo è stato trovato morto in una cella, in cui era detenuto da due giorni dopo essere stato arrestato per aver coltivato due piante di marijuana nel giardino di casa; per il Pm si sarebbe trattato di morte per cause naturali, determinata da aneurisma. Ma l’autopsia parlò di fratture di costole e di distaccamento del fegato che per il Pm sarebbero state determinate da un maldestro tentativo di massaggio cardiaco. Per la famiglia Bianzino sono invece la prova di un pestaggio.

    Vai al blog VeritàperAldo.

  • Dei proibizionismi

    Spettro sonoro in via Carlo Mayr

    Spettro sonoro in via Carlo Mayr

    Estense.com ci va giù duro con il titolo sull’ordinanza del Comune di Ferrara che limita orari e modalità di somministrazione in una piccola fetta del Centro Storico. Mi pare un po’ eccessivo il titolo, paragonato al contenuto dell’ordinanza.

    Il Comune infatti ha intrapreso questa strada, che non proibisce, bensì limita le attività di sommistrazione di bevande (soprattutto negli orari), dopo una serie di rilevazioni che hanno evidenziato come il rumore notturno, in particolare in Via Carlo Mayr, fosse ben oltre i limiti ammissibili per legge. Qui potete scaricare il report della ricerca.

    Si tratta dunque di un intervento ben poco ideologico e molto più pragmatico, volto semplicemente alla riduzione del danno laddove esso è più evidente in attesa di un piano di risanamento acustico per la zona da una parte e del regolamento comunale sugli orari dall’altro.

    Conciliare la quiete (e la salute) dei residenti, con le esigenze di una città viva e dei suoi giovani non è facile. Per governare fenomeni sociali come questi ci vuole la collaborazione di tutti. Dei residenti, degli esercenti, ma anche e soprattutto di chi la città la vive anche di notte (e che potrebbe evitare di fare di ogni via nascosta una latrina, ad esempio).

    Senza proibire ciò che non si puo’ proibire (la volontà di divertirsi) e senza ledere il diritto a vivere una vita tranquilla in una città a misura d’uomo. E’ una grande sfida che mi auguro Ferrara sappia vincere.

  • Proibizionismo alla bolognese

    Piercing...

    Piercing...

    A Bologna non si potranno più fare piercing nelle parti intime. O meglio nelle “parti anatomiche la cui funzionalità potrebbe essere compromessa da tali trattamenti o in parti la cui cicatrizzazione sia particolarmente difficoltosa“.

    Una premessa: mai mi farei un piercing, tantomeno nelle parti intime (quali che siano). Per intenderci ho fatto fatica a trovare una foto da associare a questo post che non mi desse troppo fastidio (e come vedete ho risolto così).

    Però questo proibizionismo alla bolognese non lo capisco proprio. A parte che immagino già gli affaroni del negozietto di Tatuaggi e Piercing di San Giovanni in Persiceto, il vero concetto da demolire è che proibendo qualcosa questa cosa d’improvviso sparisca.

    E’ pura demagogia, come lo è – lampante – per le sostanze stupefacenti: i ragazzi continueranno a farsi piercing, emigrando (in quel di San Giovanni in Persiceto come ad Altedo o Imola) o, peggio, introducendosi in un giro clandestino di buca e infila che, visto che stiamo parlando di parti delicate, certamente non aiuterà nè la qualità nè la sicurezza degli interventi.

    I fenomeni, quali che siano, si devono sapere governare. Le scorciatoie non risolvono mai nulla, spesso complicano solo. Complimenti alla Giunta di Bologna.

    Da Repubblica, via antiproibizionisti.it.

  • Proibizionismi e proteste virtuali.

    bacioSuccede (forse) in Sud Africa: una legge nata per dare una risposta all’emergenza stupri (50.000 l’anno) finisce per vietare ogni effusione ai minori di 16anni. L’aggravante: secondo il Corriere della Sera la norma che nella sostanza vieterebbe “ogni genere di rapporto sessuale, il bacio o le effusioni a chi non ha ancora compiuto i 16 anni” sarebbe “pensata per prevenire le gravidanze tra minori“. Che è un po’ come proibire per legge la morte. Ma investire in preservativi? La domanda che sorge spontanea.. In Sud Africa i teenager pare stiano invece autorganizzando maratone di baci, kisshaton in gergo. Ma citata questa, e letto l’intero articolo, incuriosisce come la “prima manifestazione dell’«Everyone Against the New Kissing Law» – che conta circa 15.000 membri per il Corriere della Sera e solo 6000 per la sua fonte, il quotidiano Star che titola peraltro l’articolo “Seen any kissathoners?”- che si era dato appuntamento per sabato su una pista di pattinaggio di un centro commerciale, della capitale ma, riferisce il sudafricano Daily News (sempre secondo il corriere. l’ultimo articolo sul tema del quotidiano sudafricano è del 29 dicembre), non si è visto nessun segno di protesta.” Non so se sperare nella solita bufala pescata dai quotidiani on line italiani, o se pensare che i teenagers sudafricani abbiano bisogno di una mano per organizzare manifestazioni… Ma c’è “addirittura” un sondaggio, e qualche aggiornamento, e grazie a questo blog sono almeno riuscito a reperire il testo della legge.