• Anni 70

    Ho aderito a quest’appello lanciato da La Società della Ragione, via Franco Corleone:

    Dopo le polemiche contro il film “La Prima linea”, che fanno seguito a tanti altri e sempre più frequenti episodi di attacchi mediatici tesi a imporre il silenzio e l’invisibilità nei confronti di ex condannati per fatti di lotta armata, pubblichiamo un appello, che tra i primi firmatari vede padre Camillo De Piaz, Franco Corleone e Patrizio Gonnella.
    Ci pare preoccupante che il tono – spesso troppo alto e violento ? e i contenuti della discussione attorno agli anni 70 abbiano visto in questi anni un decadimento, oltre che un accanimento. La riflessione sulla lacerazione armata, sulle leggi d’emergenza, sullo Stato di diritto e sulla qualità della democrazia di venti anni fa era arrivata a un grado di maturità e profondità assai maggiore dell’attuale.
    Allora forse, questo ennesimo caso, può diventare occasione non solo per dire basta, ma anche per costruire luoghi e prossime occasioni di un confronto e di una riflessione alta e rivolta in avanti. Ad esempio, immaginando e organizzando un grande convegno da tenersi nei prossimi mesi.

    APPELLO. BASTA CON L’ACCANIMENTO. PER UNA DISCUSSIONE SERIA SUGLI ANNI 70

    Raramente si è visto il caso di un film sottoposto a censura prima e durante la lavorazione. E, ovviamente, non si sa dopo. Sta capitando al film “La prima Linea”, tratto dal libro di Sergio Segio “Miccia corta”. Noi abbiamo letto quel libro: non è un racconto agiografico, è la ricostruzione sofferta di una storia politica, umana, d’amore, di morte. Drammaticamente autobiografica, fortemente autocritica. Da questo bel libro sta per essere tratto un film: il cinema racconta storie di persone o di gruppi, non la Storia, anche se può contribuire a rendere uno spaccato di momenti storici. Sono stati girati film su aspetti drammatici del passato lontano e recente del nostro Paese; sono stati girati film tratti dalle memorie autobiografiche di persone colpevoli di delitti, comuni o politici; sono stati girati film tratti da libri scritti da persone che hanno partecipato alle organizzazioni terroristiche degli anni Settanta.
    Perché questo è il cinema, questa è l’arte, questo è il racconto di storie.
    Mai nessuno, in precedenza, in Italia e all’estero (perlomeno in regime democratico), ha sottoposto a censura un film per il libro da cui è liberamente tratto, anche se molti criticano dei film, o dei libri, come dice la canzone di Rino Gaetano, senza prima vederli o leggerli.
    L’ultimo censore preventivo, al momento, di “La prima linea” è il dottor Spataro, procuratore della Repubblica a Milano, che in un’intervista lanciata in prima pagina dal “Corriere della Sera” ha duramente criticato Segio e il finanziamento pubblico a un film tratto da un libro di “un terrorista non pentito”.
    Noi non siamo d’accordo. In primo luogo perché il finanziamento a un film è valutato in base alle sue qualità artistiche, non alla personalità dell’autore da cui è liberamente tratto. In secondo luogo perché conferma la visione unilaterale, continuata nel tempo da parte del dottor Spataro, secondo cui le uniche persone che possono avere diritto di parola sono i collaboratori di giustizia, in quanto avrebbero permesso la sconfitta per via giudiziaria del terrorismo. Ma il terrorismo, a nostro giudizio, è stato sconfitto solo parzialmente dalla via giudiziaria, mentre è stato delegittimato alle radici da chi ha rivisitato criticamente, e in maniera collettiva, il proprio passato.
    È significativo quanto scrisse al riguardo padre Davide Turoldo tanti anni fa, quando la memoria e le ferite erano più fresche e tuttavia la riflessione più seria e profonda: «Cosa dire di uno stato che fonda la sua sicurezza sulla delazione e non tiene in adeguato conto la dissociazione, che invece significa precisamente nuova coscienza e collaborazione a “capire”? Infatti, il pentito non dice perché lo ha fatto, dice solo chi c’era; invece il dissociato non dice chi c’era ma dice perché lo ha fatto. E questo è ancor più importante per uno stato che si rispetti. Naturalmente se vuol “capire” e trarne profitto, e magari cambiare» (“il manifesto”, 28 gennaio 1985).
    Le possibili uscite dalle dinamiche della lotta armata sono state sostanzialmente tre: la prima è stata quella della collaborazione piena con i magistrati, definita normalmente come il fattore pentiti; la seconda è stata un movimento di rivisitazione critica comune del proprio passato, meglio conosciuta come dissociazione; la terza è stata una fuoriuscita attraverso l’utilizzazione personale degli strumenti messi a disposizione dalla legge Gozzini, meglio conosciuta come area del silenzio.
    La prima e la terza hanno avuto connotazioni prettamente individuali; la seconda ha conosciuto invece un percorso collettivo.
    Il movimento della dissociazione, di cui Segio è stato tra i principali esponenti, ha avuto quindi delle connotazioni collettive, quindi politiche. Non è stato solo un momento comune di revisione critica del passato, ha rappresentato anche un passaggio significativo per la riforma del carcere. La legge Gozzini, che ha aperto concretamente le porte delle prigioni alla possibilità riabilitativa, quindi di cambiamento reale, dei detenuti, è stata costruita con il contributo delle aree omogenee e delle sezioni penali delle carceri metropolitane.
    La connotazione stessa del movimento della dissociazione ha portato molti dei suoi esponenti, prima dentro e poi fuori dal carcere, a svolgere lavori socialmente utili. Per impegno personale e a dimostrazione che il cambiamento è possibile. Come appunto hanno fatto anche Segio e Ronconi presso il Gruppo Abele di don Luigi Ciotti e in altre realtà del volontariato e dell’impegno sociale. Questa cosa, che in altri Stati a civiltà giuridica consolidata è stata apprezzata al punto che gli ex esponenti di movimenti armati hanno potuto inserirsi nella vita lavorativa, nelle attività sociali e anche in quelle politiche, in Italia si è trasformata in una colpa.
    Gli ex terroristi non possono essere ex: sono e rimangono tali; non possono lavorare, soprattutto se lavorano bene, perché questa cosa a qualcuno può non piacere; soprattutto, non possono parlare: se a loro, anche una volta scontata la pena, si chiede qualcosa, devono solo stare zitti.
    Noi non siamo d’accordo sull’ergastolo alla parola né sull’epurazione sociale e lavorativa. Che riguardi ex militanti della sinistra o della destra o ex detenuti per reati comuni. Ci pare contro la Costituzione ma pure contro il buon senso. E neanche siamo d’accordo sul linciaggio mediatico, come quello cui è stato di nuovo sottoposto Segio in questi giorni.
    Non lo siamo perché sono persone che possono avere delle cose interessanti da dire sul presente, in relazione alle attività che svolgono; e non lo siamo perché sono persone che possono dare un contributo significativo nella ricostruzione delle loro scelte sbagliate negli anni Settanta. Ma non lo siamo soprattutto perché in Italia il diritto di parola finora non è mai stato negato a nessuno; e negarlo a loro significa arrecare un danno allo Stato di diritto.
    Per questo non condividiamo le censure a priori e a posteriori; e non siamo d’accordo con chi, come il dottor Spataro, vorrebbe subordinare la libertà di parola alla collaborazione di giustizia. Ci pare poi paradossale che gli attacchi si rivolgano sempre contro Segio, dopo che questi ha scontato sino in fondo decenni di carcere, a differenza di coimputati per gli stessi fatti che, a parità di responsabilità ma grazie al “pentimento”, sono rimasti sostanzialmente impuniti, ed è stato comunque l’ultimo della sua organizzazione a uscire dal carcere.
    Ridurre queste persone al silenzio e alla morte civile sarebbe un ritorno al diritto della Santa Inquisizione, non l’esercizio del diritto in uno Stato laico moderno. Sarebbe un modo preoccupante di soffocare ogni tensione alla riconciliazione in favore di una logica sterilmente vendicativa.

    Per aderire, inviare una mail a: appelli@societadellaragione.it.

  • Della memoria collettiva

    A Roma alla Sapienza si doveva tenere un incontro sugli anni di piombo, ospite Valerio Morucci.

    E’ stato annullato.

    Questo il commento di Luigi Manconi, da Repubblica:

    E’ stato un errore annullare il dibattito con Valerio Morucci: l’Universita’ e’ il luogo piu’ adatto, pure se non il solo, al confronto su quei temi, sugli anni di piombo con chi, scontata la pena e fatta un’aspra autocritica sul suo passato, ha avuto responsabilita’ in fatti di terrorismo. E’ l’opinione del sociologo e docente universitario, Luigi Manconi, per il quale “l’Universita’ luogo scientifico, di ricerca e conoscenza ha bisogno di testimoni di quegli anni e di quel fenomeno proprio per la sua missione di conoscenza”. Senza entrare nel merito delle affermazioni del Rettore dell’Ateneo romano, Luigi Frati, “lo facciano a via Fani” e “partecipero’ al dibattito con Morucci”, il sociologo del Pd precisa, “non e’ una ‘lezione’, come erroneamente si pensa, ma un dibattito a piu’ voci per cui l’opinione di Morucci si confronta con l’opinione di altri e poi – conclude l’ex-sottosegretario alla Giustizia – gli studenti sono maggiorenni, in grado di comprendere: e’ stato per questo un errore annullare un confronto sulla memoria storica del nostro Paese”.

    Che a ormai a 30 anni dai fatti non si possa discutere, in ambito universitario, con un testimone (colpevole) di quegli eventi lo trovo piuttosto stupido. Che si preferisca l’oblio e la rimozione (o una mera celebrazione delle vittime) rispetto all’ascolto delle motivazioni (errate) che hanno portato parte (minima, ma consistente nei numeri) di una generazione a intraprendere la lotta armata nel nostro paese lo trovo pericoloso.

    Perchè non sapere (o volere) distinguere fra il desiderio di riscrivere la storia (che è sempre una tentazione per qualcuno) e quello di comprendere (e non condividere) di intere generazioni che non hanno vissuto quegli anni o che – come me – li hanno vissuti con vaghi ed enigmatici ricordi di posti di blocco e dirette televisive, è un errore imperdonabile. Soprattutto se a commetterlo è chi deve insegnare e aiutare a costruire una memoria collettiva.

    NB: Morucci ha rinnegato la lotta armata, ha scontato la propria pena e non mi risulta abbia recentemente rivendicato la giustezza dei propri piani criminali… A differenza a puro titolo di esempio di Licio Gelli…

  • Notizie della settimana

    E’ domenica e c’e’ un po’ più di tempo per guardasi intorno e vedere che è successo in questo disgraziato mondo. E’ finita bene la vicenda di Susanna Ronconi a Lodi. Grazie anche ad un appello (ed a tante firme) Susanna potrà continuare a lavorare insieme alle associazioni lodigiane per il reinserimento lavorativo dei detenuti. Del resto solo nel nostro sgangherato paese si può sostenere che una ex detenuta, in quanto tale, non possa lavorare ad un progetto per il reinserimento lavorativo degli ex detenuti. Questo del resto è il paese in cui i funghetti scalda aria saltan fuori in ogni dove, e dove ci si lamenta perchè il PE lancia segnali di civiltà. In America invece Obama continua la sua scalata, mentre Veltroni sta forse programmando un altro viaggetto in africa, magari per copiare oltre che lo slogan anche il colore di pelle. Ma in fondo qualcuno comincia ad accorgersi che dietro la maschera il fare politico del PD non è molto diverso da quello che era di Margherita e DS. Con la sola differenza che prima facevano solo asse comune, ora non hanno nemmeno il problema di telefonarsi… Infine, giusto per non sentirsi troppo soli in questo disgraziato mondo: in Francia grande scandalo all’eliseo per una canzone dell’ultimo album di Carla Bruni: “Sei la mia droga”, riferita a suo marito Sarkozy pare sia un po’ troppo azzardata.

  • Vi ricordate l’allarme terrorismo?

    scritta bagnascoTutto partì da una scritta davanti alla cattedrale di San Lorenzo a Genova dopo le dichiarazioni di Mons. Bagnasco su pedofilia e unioni di fatto. Peraltro, visto il linguaggio in voga in questi giorni, era solo un civilissimo “Bagnasco Vergogna”. La cosa più incivile fu il fatto, davvero da condannare, che si era imbrattata la porta di una Chiesa monumentale, ma ovviamente scandalizzò il contenuto, non la forma. Improvvisamente saltarono poi fuori scritte, pallottole, frecce a 5 punte. Come al solito in Italia, con precisione più svizzera che italiana. E immediatamente l’emergenza terrorismo risaltò fuori, con addirittura una “grande vecchia”, Nadia Desdemona Lioce, allora ed ancora adesso in carcere, ma subito indagata dopo il ritrovamento di una busta in cui ci sarebbero state comunicazioni, in codice, per un piano contro Monsignor Bagnasco. Ora quest’Ansa ci da conto dell’incidente probatorio. Solo io vedo un lato tragicomico della situazione?

    (ANSA) – ROMA, 18 set – Faceva parte di materiale di divulgazione, appartenente ad una associazione religiosa di Firenze, la busta da lettera bianca sequestrata nella cella, nel carcere dell’Aquila, della brigatista Nadia Desdemona Lioce, sospettata di essere tra i mandanti delle minacce al presidente della Cei, Angelo Bagnasco. E’ quanto ha confermato, nel corso dell’incidente probatorio svoltosi nel Tribunale dell’Aquila, il perito calligrafico nominato dal gip Giansaverio Cappa, nell’ambito dell’indagine della procura abruzzese. La procura dell’Aquila dispose nell’aprile scorso il sequestro della busta trovata dalla polizia penitenziaria nella cella della Lioce. Ad insospettire gli investigatori erano stati pezzi di frasi impressi sulla parte superiore della busta, quella che si ripiega per la chiusura, che recitano su due righe: …ne do…asco.. ne…’ e poi ‘religios….’. In realta’ la frase completa era: ‘Associazione Don Vasco Nencioni per la ricerca religiosa‘. Un pacco di tali buste sarebbe stato distribuito da un volontario due anni fa alle detenute del carcere di Sollicciano, lo stesso penitenziario dove era rinchiusa allora Nadia Desdemona Lioce.

    PS: conoscendo i miei polli, esprimo in anticipo (anche se in ritardo sui fatti) la solidarietà a Monsignor Bagnasco per le minacce ricevute, anche se rivendico di non essere d’accordo con lui e riguardo alla detenuta Lioce chiarisco che non mi sta certo simpatica e che nulla giustifica la lotta armata intrapresa dalle BR.

  • Contro il terrorismo, per i diritti

    Il Forum permanente per la Pace aderisce alla mobilitazione nazionale indetta dai sindacati confederali per il 27 marzo. Fiaccolata a Ferrara alle 20.30 dai Giardini del Castello Estense.

    Forum permanente per la Pace di Ferrara
    25 marzo 2002

    Abbiamo manifestato sabato 23 marzo contro il terrorismo che ha ucciso Marco Biagi, per la democrazia e per i diritti insieme ai 3 milioni di persone che hanno invaso pacificamente Roma.

    E’ stata solo l’ultima tappa percorsa dal Forum Permanente per la Pace verso un mondo diverso e possibile. Un mondo che ripudia la violenza, che sia essa metodo di sovversione delle istituzioni democratiche oppure mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Abbiamo manifestato contro le violenze delle forze dell’ordine a Genova, eravamo in piazza il 12 settembre contro il terrore e poi ancora contro la reazione miope e violenta in Afghanistan e continueremo a manifestare per una soluzione pacifica del conflitto israelo-palestinese.

    Saremo in piazza ancora una volta il 27 marzo a Ferrara, insieme a CGIL, CISL UIL per riaffermare come l’uccisione di Marco Biagi sia un atto gravissimo ed ignobile che offende la coscienza di tutti coloro che hanno a cuore il rispetto della vita umana, la civile convivenza e la democrazia in Italia.

    Anche per questo ci opponiamo con determinazione ai tentativi in atto da parte del governo delle destre di confondere le lotte nonviolente del movimento per la globalizzazione dei diritti e quelle del sindacato, con la violenza terroristica. Chi vuole, con il terrore, togliere la parola a coloro che affermano il diritto al dissenso, pacifico, radicale e democratico non ci fa paura: noi non ci chiuderemo in casa e continueremo ad impegnarci per ampliare la partecipazione dal basso alla costruzione di un mondo diverso e più giusto.

    L’ufficio stampa

    Ferrara, 25.03.2002

  • Nessuna violenza, nessuna rappresaglia

    Nessuna violenza, nessuna rappresaglia

    Riflessione della Federazione provinciale dei Verdi dopo l’attacco agli Usa

    Ora l’Occidente deve dimostrare di essere civile davvero. Violenza, odio, rappresaglia, vittoria guerreggiata non sono termini civili e preparano azioni che nulla hanno di civile. La scelta di applicare l’art. 5 del Patto Atlantico ci porta in guerra e ci trasforma in correi e in bersagli. L’orrore per il terribile attentato che ha colpito gli Stati Uniti non può farci smarrire la ragione e intrappolare il mondo intero in un circolo vizioso e oscuro.
    Coloro che hanno organizzato un crimine così orrendo vanno individuati e assicurati alla giustizia, ad un Tribunale Internazionale. Il terrorismo va combattuto ed eliminato, ma se la risposta dell’occidente sarà l’attacco ad altri paesi, allora avremo perso tutti e la Storia sarà ancora una volta trascorsa invano. Armi e rappresaglie non portano la pace, non l’hanno mai portata. Occorre far prevalere la ragione e la politica. Il mondo così com’è non garantisce più nessuno ed è perciò necessario rifiutare di contrapporre violenza alla violenza, ma interrogarci a fondo e capire come costruire le condizioni per un mondo capace di globalizzare i diritti, il dialogo, la giutizia sociale; capace davvero di integrarsi, di mediare, di svilupparsi assieme. Capace di volere la pace e consapevole che la si ottiene con la non violenza. Dobbiamo riuscire ad isolare ogni fanatismo impedendogli di radicarsi nelle contraddizioni sociali ed economiche che feriscono la terra. Dobbiamo riuscire a risolvere quelle contraddizioni che danno linfa allo stesso terrorismo internazionale per eliminarlo davvero senza colpire, o mettere nelle condizioni di essere colpiti, donne, uomini, bambini, ragazzi. Non vogliamo più vedere qualcuno che gioisce per la morte di altri esseri umani, e non vorremmo nemmeno più assistere alla decimazione di intere comunità nell’indifferenza del mondo.
    Oggi il 20% della popolazione mondiale, concentrato in Occidente, consuma l’83% delle risorse planetarie; nel Sud del mondo 11 milioni di bambini muoiono ogni anno per denutrizione, 1 miliardo e 400 milioni di esseri umani non ha accesso ad acqua di qualità sufficiente alla vita e 1 miliardo e 300 milioni di persone ha meno di un dollaro al giorno per vivere.
    Stanziare migliaia di miliardi per le armi, per la guerra, per organizzare rappresaglie non servirà a riequilibrare il pianeta e a sradicare l’odio

  • 11 settembre 2001

    Di fronte all’immane tragedia che ha colpito gli Stati Uniti d’America, non si può non manifestare l’orrore ed il più profondo cordoglio per le donne e gli uomini, purtroppo moltissimi, che hanno perso la vita.
    Non si conosce ancora il numero preciso delle vittime né le menti che hanno messo in opera questo terribile piano.
    Una cosa tuttavia è certa, si tratta di un avvenimento che ci tocca, tutti indistintamente, e ci invita alla riflessione.
    Quale che sia la matrice di questo attentato, questi atti dimostrano la necessità che la società civile mondiale si faccia carico delle situazioni di conflitto permanente e di povertà in cui affondano le radici ed in cui tentano di trovare una giustificazione questi fenomeni.
    Come GDA ci siamo mossi per richiamare l’attenzione sul G8, nel mese di Luglio, e ci stiamo mobilitando per il vertice NATO di settembre e per la Marcia Perugia Assisi che alla luce di cioò che è successo assume un valore fondamentale per tutti coloro che credono nella pace, nella giustizia ed in un mondo migliore. Con lo stesso spirito siamo presenti qui oggi, per dire no alla violenza ed al terrorismo ed affermare la necessità che le donne e gli uomini continuino a mobilitarsi per la costruzione di un mondo diverso, fondato sulla pacifica convivenza fra i popoli e sul rifiuto della violenza.
    Questa tragedia sottolinea l’inutilità di avveniristici mezzi di difesa, che non possono garantire e tutelare l’incolumità dei cittadini.
    E’ più sensato, in questo momento, investire risorse, le nostre risorse, per rimuovere le cause che generano il terrorismo ed i conflitti.
    Riteniamo che ora si debba fare appello alla ragione ed evitare di farsi trascinare in una spirale di rappresaglia e violenza, che non può che radicalizzare ulteriormente la situazione.
    E’ questo il momento di rispondere alla ingiustizia con la giustizia, alla guerra con la pace, alla violenza con la nonviolenza.

    Resistenza – Nonviolenza

    Gruppo di Affinità per l’Azione Diretta Nonviolenta – Ferrara