• Droghe: Encod lancia proposte di pace al vertice ONU a Vienna??

    encod stop war on drugs[comunicato di Encod] VIENNA – Tra il 9 e il 17 marzo, Encod, la Coalizione europea per politiche giuste ed efficaci sulle droghe parteciperà alla 58ma sessione della Commissione Droghe Narcotiche delle Nazioni Unite. In questo summit dedicato alle politiche globali sulle droghe, Encod presenterà testimonianze di prima mano sull’impatto della proibizione delle droghe sulle vite dei cittadini.

    Lunedì 9 marzo, un evento collaterale presenterà gli studi condotti in Slovenia e in Francia sull’impatto di diritti umani e salute pubblica rispetto alla criminalizzazione dei consumatori di cannabis in questi paesi. L’evento si concentrerà su argomenti cruciali che contribuiranno ad evitare gli effetti dannosi della politica sulle droghe verso un approccio più umano basato sull’evidenza scientifica. Giovedì 12 marzo, il secondo evento collaterale sarà teso a sottolineare lo studio svolto dai pazienti in prima persona sulle virtù terapeutiche della pianta della cannabis e l’importanza di istituire una cornice legale per facilitare l’utilizzo della cannabis per questi scopi.?? Encod ringrazia le Nazioni Unite per l’opportunità di presentare ai delegati al summit ONU l’opportunità unica di ascoltare direttamente le persone che sono seriamente colpite dalla proibizione delle droghe. Noi crediamo che sia cruciale che i governi prendano in considerazione le voci di quei cittadini le cui vite sono state rovinate a causa dei 60 anni di mala gestione della tematica delle droghe.

    Come Encod noi crediamo che la libertà di coltivare, cioè, la possibilità di ogni cittadino di possedere e coltivare ogni pianta che essi scelgano è un elemento cruciale di un sistema in alternativa alla guerra alle droghe, che è stato, come sappiamo oggi, un fallimento totale. Nell’ambito di questo sistema alternativo la priorità dovrebbe essere data alla protezione della gente, non dei profitti. Il concetto di riduzione del danno è in principio incompatibile con la proibizione delle droghe, poiché è la proibizione in sé che crea la maggior parte dei danni collegati alle droghe. ??Janko Bellin, uno dei delegati Encod alla conferenza dell’ONU sulle droghe spiega: “Dall’introduzione del concetto di riduzione del danno alla fine degli ani Ottanta, possiamo vedere come il paradigma è cambiato dalla repressione diretta verso un approccio orientato al trattamento medico. Ma noi vogliamo vivere in un mondo dove le piante tradizionali e gli estratti possano essere utilizzati da tutti gli adulti senza la paura di esser considerati o trattati come criminali.” ??Encod saluta tutti i delegati e i giornalisti che parteciperanno a questi eventi collaterali ai quali interverranno i membri di Encod Maja Kohek,Andrej Kurnik e Janko Belin dalla Slovenia, dall’Italia Enrico Fletzer ed Alberto Sciolari, dall’Austria Toni Straka e dai Paesi Bassi Derrick Bergman.

    Lunedì 9 marzo , 13.10-14.00, Sala MOE100:
    Report sulla criminalizzazione dei consumatori di cannabis in Europa
    (in collaborazione con ONE! – Associazione della Iniziativa Prekmurje Slovenia e Cannabis Sans Frontières France)

    Giovedì 12 marzo, 13.10-14.00, Sala MOE79:
    Prospettive mediche sulla cannabis: una analisi dei pazienti
    (in partnership con Pazienti Impazienti Cannabis Italia e Hanf-Institut Austria) ??per ulteriori informazioni contattare Janko Belin telefono +386 70 133 804 belinjanko@gmail.com

    Toni Straka (Encod, Hanf-Institut) +43 676 69 66664 toni.straka@hanfinstitut.at

    Joep Oomen (Encod) telefono +32 495 122 644 info@encod.org

  • Droga, fine del tabù mondiale

    Discutere pubblicamente della fine della war on Drugs e di una politica internazionale sulle droghe alternativa alla repressione è sin dai tempi di Nixon un vero e proprio tabù. Può un documentario di un’ora, fra interviste, dati e immagini, aiutare a romperlo? E’ quanto tenta di fare il video della campagna Breaking the taboo, lanciata dalla Beckley Foundation insieme a molte altre Ong internazionali.

    Le immagini di Baltimora, città simbolo degli effetti della tolleranza zero in Usa, sono meno violente e tragiche di quelle che documentano gli effetti della “guerra alla droga” esportata in America Latina, ma non meno agghiaccianti: in quarant’anni, la popolazione della città natale di Frank Zappa si è quasi dimezzata. Oggi, il 10% dei residenti è tossicodipendente e sono circa 50.000 gli edifici abbandonati; nel solo 2007 sono stati 100.000 gli arresti per droga su una popolazione di 600.000 residenti. In tutti gli Stati Uniti, dal 1970 al 2012, i detenuti sono passati da 330.000 a due milioni e trecentomila, con una progressione che ricorda molto da vicino l’effetto sulle carceri italiane della Fini-Giovanardi. Non siamo i soli a seguire pervicacemente il cattivo esempio. Lo Zar antidroga russo Ivanov annuncia di voler trasportare nell’Asia continentale la strategia armata Usa in America Latina, forse non soddisfatto del milione di sieropositivi causato dal rifiuto di minime pratiche di riduzione del danno in madrepatria.

    Proprio l’America Latina è il terreno privilegiato su cui si gioca il futuro delle politiche mondiali. Da un lato è sotto gli occhi di tutti il fallimento della war on drugs con la conseguente escalation di violenza (che ha portato a cinquantamila morti in Messico negli ultimi 6 anni); dall’altro, molte sono le voci che oggi si alzano per chiedere una svolta politica (cfr. Amira Armenta, il Manifesto 20.6.12). Svolta già intrapresa in Uruguay, con il progetto di legge governativo per la legalizzazione della marijuana che sta contagiando la gran parte dei paesi latinoamericani. Illuminanti le parole del presidente colombiano Santos: “Abbiamo combattuto la droga e i cartelli per quarant’anni, ma il narcotraffico continua come prima. Oggi mi sento come su una bicicletta bloccata: tu ti sforzi, pedali, guardi a destra e sinistra, ma vedi sempre lo stesso luogo. Ci vuole un nuovo approccio: ci sono molte alternative, inclusa la legalizzazione, ma prima dobbiamo rompere il tabù”.

    La campagna Breaking the taboo (col film disponibile su Youtube) rilancia nel dibattito pubblico le conclusioni della Global Commission on Drugs, composta da importanti personalità internazionali fra cui l’ex segretario generale Onu, Kofi Annan. La Global Commission ha chiesto all’Onu di fermare la guerra alla droga. Una lettera aperta all’Onu per rivedere la convenzione unica del 1961 è stata sottoscritta da artisti del calibro di Morgan Freeman (che è anche voce narrante del film), Sting, Kate Winslet, Natalie Imbruglia, Bernardo Bertolucci; ma anche da politici, come alcuni ex presidenti: l’americano Jimmy Carter, il brasiliano Fernando Cardoso, la svizzera Ruth Dreifuss, il colombiano Cesar Gaviria, il messicano Vicente Fox e alcuni “insospettabili“ come Lech Walesa e Javier Solana. Si può aderire on line alla lettera aperta e alla campagna #breakthetaboo.

    Leonardo Fiorentini

    (articolo scritto per la rubrica di Fuoriluogo sul Manifesto del 12 dicembre 2012)

    Documentario e adesione http://www.breakingthetaboo.info/.

  • Breaking the Taboo, il film è on line

  • Debunking the debunker

    Le droghe sono già libere, le vogliamo regolamentare?

    Bisogna ammettere che l’articolo di John B. pubblicato nella rubrica “doktor debunker” offre una serie di interessanti spunti (anche se da punti di partenza un po’ arretrati) sul dibattito sulla legalizzazione della cannabis. A partire dal titolo, per finire alle conclusioni, questo articolo è quindi un tentativo – rivedibile e perfezionabile, di questo mi scuseranno i lettori – di debunking del debunker.

    UN MERCATO GIA’ LIBERO – Non nascondiamoci dietro il dito di Giovanardi, oggi il mercato delle sostanze stupefacenti è un mercato libero nei fatti: chiunque puo’ trovare qualunque tipo di sostanze ovunque si trovi. Le uniche cose sotto controllo sono i prezzi delle sostanze e la loro disponibilità, che sono in mano alle organizzazioni criminali. E non è certo un caso che dall’avvento della tabella unica della Fini-Giovanardi i prezzi dei derivati della cannabis siano progressivamente aumentati per avvicinarsi a quelli di sostanze ben più pericolose, ma più facilmente trasportabili e molto più remunerative per il narcotraffico. Del resto questa è la dura legge del mercato, baby. Quindi cominciamo sgombrando il campo da fraintendimenti, o equivoci più o meno voluti: legalizzare significa regolamentare un mercato che è già liberalizzato.

    I COSTI DELLA WAR ON DRUGS – Quindi le droghe sono già libere, nonostante la politica repressiva di oltre 50 anni di War on Drugs, e sono largamente usate nel nostro come in tutto il resto del mondo. Non vorrei dilungarmi troppo sui costi della Guerra alla Droga, che vanno ben oltre il “togliere risorse alle organizzazioni criminali”. Ma recentemente una campagna promossa a livello internazionale ha voluto conteggiare questi costi, e vale la pena di riassumerli sinteticamente così (punti ripresi da Giorgio Bignami, War on drugs, i conti non tornano, Fuoriluogo.it):

    1. Si sprecano almeno 100 miliardi di dollari l’anno senza effetti significativi sulle dimensioni del narcotraffico (almeno $ 330 miliardi annui) e con una serie di danni collaterali a livello economico e socio-antropologico: infiltrazione capillare delle economie legali, crescente ostilità nei riguardi di chi rispetta le regole…
    2. Si colpiscono sviluppo e sicurezza. L’escalation della violenza e della corruzione seguita a crescere in modo esponenziale; i danni ai territori e alle popolazioni più deboli e meno sviluppati diventano incommensurabili: per la violazione dei diritti umani,  la distruzione di ecosistemi fragili, lo scoraggiamento di investimenti con finalità positive e legittime. L’esempio del Messico è sotto gli occhi di tutti.
    3. Si favorisce la deforestazione e l’inquinamento, a partire dalle attività di distruzione chimica dei raccolti, che accelerano il disboscamento e la messa a cultura di sempre nuove aree.
    4. Si crea crimine e si arricchiscono i criminali, non solo fomentando i noti conflitti alla messicana, ma trasformando milioni di cittadini consumatori, altrimenti rispettosi delle leggi e delle regole del vivere civile, in criminali, riempiendo sempre più i carceri di tutto il mondo.
    5. Si minaccia la salute pubblica, disseminando malattia e morte: in russia si registrano tra gli iniettori di droga di strada oltre l’80% di sieropositivi e malati di AIDS, vedi recente rapporto della Global Commission.
    6. Si ledono gravemente i diritti umani, come il diritto alla salute e all’accesso alle misure di riduzione del danno, alla privacy, al due process, alla libertà di pensiero e di azione; e questo, punendo in maniera sproporzionata comportamenti che non dovrebbero essere considerati reati e neanche infrazioni; incarcerando a dismisura spesso prima di qualsiasi giudizio; usando trattamenti degradanti sino alla tortura; applicando in alcuni casi la pena di morte; calpestando culture indigene come nel caso della criminalizzazione dell’uso di foglie di coca.
    7. Si promuove lo stigma e la discriminazione dei consumatori, in particolare per le fasce deboli

    Più umilmente in Italia una serie di associazioni impegnate da anni nella proposta di revisione delle leggi sulle droghe hanno presentato poche settimane fa il 3° Libro Bianco sugli effetti della legge Fini-Giovanardi i cui disastri dovrebbero essere sotto gli occhi di tutti. In Italia sui 37.750 detenuti con condanna passata in giudicato, presenti al 27 novembre 2011, ben 14.590 (38,90%) lo sono per violazione della legge sugli stupefacenti. Se sommiamo a questi i detenuti tossicodipendenti in carcere per reati collegati al loro status (piccole rapine, scippi, etc) il conto arriva facilmente al 50%. L’impatto carcerario della legge antidroga è quindi la principale causa del sovraffollamento negli istituti di pena italiani. All’aumento della carcerazione e delle sanzioni amministrative corrisponde un abbattimento dei programmi terapeutici, alla faccia dei proclami di Fini e Giovanardi sul “noi i tossicodipendenti li vogliamo curare”. Migliaia di giovani ogni anno sono privati di patente e passaporto, perchè trovati a fumarsi una canna su una panchina e devono sottostare a controlli per anni e anni, mettendo a rischio non solo la loro vita lavorativa.

    LEGALIZZARE VALE UN PUNTO DI PIL – In Italia i costi della repressione sulle droghe ammontano, secondo uno studio di Marco Rossi del 2009 a circa 10 miliardi di euro. Se stimiamo che 2/3 siano legati ai derivati dalla cannabis possiamo quantificare in circa 7 miliardi l’anno l’impatto nell’economia di una legalizzazione e regolamentazione della cannabis al pari del tabacco, fra minori costi per la repressione e imposte sulle vendite. Senza contare la tassazione derivante dall’emersione dell’economia illegale e dell’indotto che tra emersione del lavoro e tassazione dei profitti puo’ far arrivare tranquillamente il valore economico della regolamentazione vicino al punto di PIL.

    L’ESEMPIO OLANDESE – Nell’articolo che fornisce lo spunto vengono citati alcuni dati sul consumo di cannabis in Olanda presi da un vecchio rapporto dell’EMCDDA, con un confronto fra il 1997 e il 2006. Oltre al dettaglio di omettere a cosa si riferisse il dato della prevalenza (si trattava dell’uso nella vita nella fascia d’età 15-64), si è evitato di citare il dato immediatamente accanto nella stessa tabella, ovvero come l’uso della cannabis nell’ultimo anno fosse non solo molto più basso, ma pure in calo (dal 5,5 del 97 al 5,4 del 2006). Se poi andiamo a vedere la distribuzione per età, sempre nello stesso rapporto, notiamo come l’uso nell’ultimo anno (che è in effetti il dato che viene usualmente utilizzato per la stima del consumo) sia in calo soprattutto per i più giovani (dal 14,3 all’11,4). Onestà intellettuale mi obbliga a riferire come questi dati siano ampiamente superati. Oggi la prevalenza dell’uso lifetime della cannabis in Olanda è al 25,7% (fonte dati EMCDDA, con l’avvertenza che è cambiato il sistema di campionatura e lo stesso Istituto li utilizza con “parsimonia”, soprattuto per i raffronti con i precedenti) mentre è al 7% quella dell’uso nell’ultimo anno.

    L’AUMENTO PROGRESSIVO – Ma, oltre a non aver molto senso imputare l’aumento progessivo del consumo dai primi anni 2000 ad una politica che è iniziata 25 anni prima, questi dati non hanno significato se non vengono confrontati con quelli di un paese a caso che applichi coscientemente la politica internazionale di repressione sulle droghe: l’Italia. Così scopriamo che (dati 2008, qui l’EMCDDA manco li cita gli strabilianti dati di Giovanardi degli anni successivi) in Italia l’uso durante la vita è al 32%, mentre l’uso nell’ultimo anno al 14,3%. Se prendiamo invece un paese, sempre a caso, che ha avviato politiche di depenalizzazione come il Portogallo ritorniamo all’11,7% nella vita e al 6,6% nell’ultimo anno. Insomma, la Legalizzazione certamente non fa aumentare i consumi, e forse li puo’ far diminuire.

    LEGALIZZARE? REGOLAMENTARE – In un volume tradotto in italia col titolo “Dopo la War on Drugs” e pubblicato da Ediesse, la fondazione britannica Transform ha ipotizzato, a partire dalle esperienze internazionali, un percorso per la regolamentazione di ogni tipo di sostanza. E’ un libro interessante, che invito a consultare. Serve soprattutto a comprendere come legalizzare significhi regolamentare: oggi un minorenne puo’ acquistare cannabis, senza sapere come è stato prodotta, cosa ci è stato aggiunto, come è stato trasportata e a chi andranno i suoi soldi. E spesso senza conoscere neanche gli effetti della sostanza, o i pericoli derivanti dalle poliassunzioni. Una volta regolamentato, un minorenne non potrà acquistare, ci potranno essere controlli sulla qualità delle sostanze e si potrà informare con un po’ più di serenità sugli effetti delle sostanze, favorendo quindi un uso più consapevole e attivando campagne di informazione come per il tabacco.

    AL CONTRARIO – Qui l’esempio olandese ci è utile anche al contrario. L’adozione del Wietpas, ovvero il divieto di vendita ai non residenti e la registrazione dei clienti dei coffeshop, nelle regioni del sud del paese ha infatti provocato un ritorno dello spaccio in strada, la sostituzione del turismo dello sballo col pendolarismo dello spaccio, una forte diminuzione dei prezzi nelle piazze (a confronto con quelli “controllati” nei coffeshop) ed una maggiore disponibilità delle sostanze per tutti, compresi i minorenni utilizzati anche come spacciatori.

    IL DIBATTITO SULL’ETICA – Qui non si tratta di dibattere se fumare cannabis sia “eticamente” o “moralmente” più disdicevole che bere alcol. Il dibattito deve essere sul fatto che lo Stato debba o meno arrogarsi il diritto di proibire usi e costumi che non danneggiano gli altri e che danneggiano se stessi meno (zero morti l’anno) che i consumi, perfettamente legali, di alcol (30.000 morti l’anno) o di tabacco (80.000 morti l’anno). Perchè se in questo paese non usciamo in fretta dal vicolo stretto della presunzione di ciò che è “socialmente accettato” sarà difficile contrastare l’evasione fiscale, figuriamoci legalizzare le droghe o garantire le unioni di fatto, o addirittura i matrimoni per gay e lesbiche. Non possiamo poi dimenticare che almeno negli ultimi vent’anni il nostro paese abbia conosciuto una fase di dibattito politico di livello talmente basso da impedire una qualsiasi forma di ragionamento sereno sul tema, e questo è stato subito da un movimento antiproibizionista molto indebolito in questi anni. Non è peraltro un caso che tale quadro politico abbia prodotto la legge Fini-Giovanardi e la Bossi-Fini, due normative criminogene asservite al dogma della “sicurezza”.

    MARIJUANA, MITI E FATTI – Diventa più difficile commentare in poche righe argomentazioni come queste: “fanno male, danneggiano il cervello, provocano dipendenza, inducono alterazioni sensoriali e comportamentali che mettono a rischio la vita e l’incolumità degli altri, possono favorire il passaggio al consumo di droghe pesanti…” Si tratta di un compendio di miti sulla marijuana che, presi insieme, meritano un libro. Un libro che per fortuna esiste e che è stato ripubblicato in italiano da Vallecchi. Pur un poco datato aiuta a sconfiggere un po’ di miti sulla Marijuana: Marijuana, i miti e i fatti, di Zimmer e Morgan, è un bel libro, ne consiglio la lettura perchè aiuterebbe un dibattito sereno sui reali effetti dei derivati della cannabis. Per citare testi più recenti, sarebbe sufficiente il testo della Beckley Foundation, che analizza in modo piuttosto esteso la sostanza e i suoi reali effetti (qui una presentazione a cura di Grazia Zuffa, Fuoriluogo). Anche più recentemente molte ricerche (fra queste Tait et al, Addiction, ottobre 2011 e Dregan e Gulliford, “American Journal of Epidemiology”, febbraio 2012) hanno dimostrato come i danni reali del consumo di cannabis siano da considerare modesti anche in caso di un consumo pesante (che certamente non va comunque nè consigliato nè favorito). Qui mi limito ad accennare che non esiste in letteratura uno studio che possa dimostrare la dipendenza fisica dalla sostanza cannabis nell’uomo (esiste una ricerca che dimostra un possibile dipendenza nei topi a dosi da cavallo, il suo curatore, Gian Luigi Gessa è oggi uno degli scienziati più esposti a favore della legalizzazione), per la “cannabis droga di passaggio” basterebbe dire che tutti gli eroinomani hanno cominciato dal latte, ma esistono studi che dimostrano che tale legame non è dovuto alla sostanza, e che anzi l’unico collegamento reale è la commistione dovuta al mercato illegale. Per il resto nessuno ha mai negato che la cannabis abbia effetti, sul corpo come nel cervello. Il problema è comprendere quali siano quelli reali e se siano tali da giustificare la proibizione di quella che, dopotutto, è solo una pianta che ha accompagnato l’uomo da millenni.

    LE RICERCHE – Fra l’altro sono numerosissime, ed addirittura alcune di queste accettate pure dal Dipartimento Antidroga italiano, le ricerche sull’uso medico della canapa. Oltre ai noti effetti positivi come sostanza utilizzata nelle cure palliative, per i malati sottoposti a chemioterapia, nella terapia sintomatica della sclerosi multipla, sono in via di accertamento proprietà antitumorali (ad esempio per il tumore prostatico, vedi Indian Journal of Urology e British Journal of Pharmacology).

    CONCLUDENDO – Sinceramente chi scrive non sa dove si sposteranno gli interessi dei narcotrafficanti una volta regolamentato legalmente il mercato della canapa in Italia, anche se non disdegnerebbe che la manovalanza del crimine trovasse più vantaggioso e salutare trovare occupazione alla luce del sole in un coffeeshop italiano. So però che almeno le forze dell’ordine non saranno più impegnate in costose retate alla caccia di un paio di piantine di canapa nell’armadio, per essere impiegate per contrastare reati più pericolosi per la società, e che centinaia di migliaia di consumatori potranno liberarsi dal giogo della proibizione. Perchè non è vero che il consumo non sia penalizzato nel nostro paese. Infatti le tabelle ministeriali prevedono un limite talmente basso di principio attivo (500mg per la canapa, ben diverso per la cocaina) che sono innumerevoli i casi di consumatori che, anche per le modalità di consumo della canapa (consumo di gruppo spesso significa anche acquisto di gruppo), risultano sottoposti a procedimento penale e che magari preferiscono patteggiare un fatto di lieve entità con sospensione condizionale, piuttosto che rimanere impigliati per anni nelle maglie del sistema penale italiano. Anche se poi molti finiscono lo stesso in carcere (una stima molto parziale parla di circa il 40% di detenuti per “fatto lieve” sul totale dei detenuti per reati di droga). Per non parlare poi di chi, non volendo finanziare le narcomafie, decide di autocoltivarsi la piantina nel ripostiglio o nell’armadio: questi sembrano diventati negli ultimi anni gli obiettivi privilegiati della repressione, quasi fosse un’aggravante il volersi affrancare dal mercato criminale.

    (articolo scritto per Giornalettismo)

  • Mastichiamo amaro

    Rispettiamo la sentenza del tribunale.
    Prendiamo atto della condanna per sola omissione di soccorso, ma mastichiamo amaro.
    Non volevamo contentini: sappiamo che nostro padre poteva essere salvato.
    Lo ha dimostrato il processo. Sappiamo anche che i consulenti del PM si sono brutalmente smentiti sulle cause di morte di nostro padre.
    Il tribunale non ha potuto disporre la perizia perchè il PM ha ostinatamente negato la modifica del capo di  imputazione.
    Ha vinto lui, ma secondo noi non dovrebbe esserne fiero.
    Ci dispiace per nostro papà.

    I Figli di Aldo Bianzino.

    La procura di Perugia non ha voluto indagare veramente sulla morte di Aldo Bianzino, non chiedendo la modifica del capo di imputazione e così impedendo ogni altra possibile perizia sulle cause della morte del falegname perugino.

    E anche noi mastichiamo amaro.

    (via fuoriluogo.it)

  • Narcoleaks, si scomoda Obama

    Narcoleaks, il progetto di Redattore Sociale che monitorizza la produzione di cocaina del mondo revisionando le stime ufficiali con i dati dei sequestri di sostanza nel mondo sotto la direzione scientifica di Sandro Donati, ha inviato nei giorni scorsi un comunicato in cui poneva alcune domanda sulle contraddizioni dei dati USA al Presidente Obama. Che a sorpresa, attraverso l’ufficio nazionale per le politiche antidroga, ha risposto.

    Ecco tutto il carteggio tra Narcoleaks e la Casa Bianca:

    Le bugie di Obama sul traffico internazionale di cocaina
    La cocaina sequestrata nel 2011 ha superato la stima della produzione mondiale fornita dal Dipartimento di Stato americano. Nonostante gli Usa dicano il contrario, la Colombia continua ad essere il maggior paese produttore e la stessa Guardia costiera statunitense smentisce clamorosamente i dati della Casa Bianca. Le cinque domande di Narcoleaks sulle imbarazzanti contraddizioni made in Usa sul narcotraffico.

    I sequestri di cocaina superano le quantità prodotte? Non esattamente
    La risposta di Terry Zobeck dell’Office of National Drug Control Policy della Casa Bianca (traduzione di Narcoleaks, vai all’originale).

    Dall’Office of National Drug Control Policy risposte insufficienti e lacunose
    Pubblichiamo la contro replica di Narcoleaks all’ufficio per le politiche di controllo sulle droghe della Casa Bianca.

    (da fuoriluogo.it)

  • Facciamo i conti al proibizionismo

    In occasione del 50esimo anniversario della convenzione ONU sulle droghe, un gruppo di organizzazioni mondiali impegnate sulle politiche sulle sostanze, sui diritti umani, salute, sviluppo, crimine e giustizia ha lanciato la campagna Count the cost.

    Il primo obbiettivo è raccogliere in un unico “contenitore” i costi del proibizionismo, che siano questi sociali, ambientali, economici o per la salute delle persone, in modo che Governi e Nazioni Unite siano messi di fronte all’evidenza del fallimento della War on Drugs. Il secondo obbiettivo è quello di promuovereil dibattito sulle alternative possibile e documentare le strategie di uscite dal proibizionismo. Il tutto raccolto in modo differenziato per le grandi aree continentali e sotto sette grandi tematiche: sicurezza internazionale, svilluppo e conflitti energetici, diritti umani, salute pubblica e disagio, discriminazione, deforestazione e inquinamento, crimine, costi economici.

    L’iniziativa è coordinata da Transform ed ha avuto il supporto di numerose sigle mondiali, fra cui IDPC, Drug Policy Alliance, TNI, WOLA . Per l’Italia ha aderito anche Forum Droghe.

    Per quanto ancora dovremmo seguire politiche che minano lo svilluppo e la sicurezza internazionale, minacciano la salute pubblica e causano morti, minano i diritti umani, promuovono stigma e discriminazione costi, causano deforestazione e inquinamento, creano criminalità e la arrichiscono, sprecano miliardi in politiche repressive inefficaci? Aiutaci a cambiare rotta, firma anche tu on line!

    Qui si può firmare:
    http://www.countthecosts.org/take-action/sign-our-statement

    I promotori
    http://www.countthecosts.org/supporters

    (da fuoriluogo.it)

  • La quasi inutile guerra alle droghe

    La quasi inutile guerra alle droghe
    La Nuova Ferrara del 07/07/2011 ed. Nazionale p. 13

    Il libro “Dopo la guerra alla droga. Un piano per la regolamentazione legale delle droghe”, edito da Eds, presentato ieri da Melbook Store, realizzato dalla fondazione britannica Transform, segue alla denuncia da parte di studiosi inglesi del fallimento della War on drugs. Elencandone i danni sanitari, sociali, culturali ed ambientali, li segnala all’Onu affinchè cambi subito e radicalmente la politica sulle droghe. Lo hanno ribadito concordemente sia Giuseppe Bortone responsabile tossicodipendenze Cgil, sia Franco Corleone, segretario Forum droghe, con Leonardo Fiorentini responsabile Società della Ragione. «Non è possibile considerare il problema generalizzando – ha esordito il sindacalista – equiparando cioè ogni sostanza e ogni tipo di consumatore, arrivando fino al licenziamento. Lo studio inglese cerca una normativa differenziata ma il nostro Stato da un lato è latitante e dall’altro è invasivo». Corleone ha poi criticato soprattutto i vertici italiani rappresentati da Giovanardi e Serpelloni da cinque anni impegnati a contrastare il fenomeno, senza ottenere risultati. «Il dibattito sulla politica delle droghe – ha dichiarato Corleone – sembra assente. Si parla invece della giustizia e del carcere, questioni che nel nostro funzionamento sono condizionati da procedimenti di repressione verso i consumatori e i piccoli spacciatori, che rappresentano oltre la netà della popolazione dei detenuti, invece di puntare ai grandi trafficanti. Noi invece riteniamo con gli studiosi inglesi diverse regolamentazioni come la vendita di cannabis in di altre sostanze in farmacia con ricette mediche. (m.g.)

    Scarica l’articolo in formato pdf: nuovaferrara_7711.pdf.

  • Il Connecticut decriminalizza la cannabis

    Camera e senato del Connecticut hanno approvato la legge che decriminalizza il possesso di piccole quantità di cannabis per uso personale di maggiorenni. Il provvedimento, emendato e approvato di stretta misura al Senato sabato scorso è stato definitivamente approvato ieri dalla Camera dello Stato americano, con 90 voti a favore e 57 contrari. La legge passa così alla firma del Governatore democratico dello Stato, Dannel Malloy.

    Il testo, così come emendato, riduce le pene per gli adulti trovati in possesso di una quantità di cannabis sino a mezza oncia (14 grammi circa) trasformando il fatto da reato criminale punibile con un anno di carcere e 1000 dollari di multa, a infrazione punibile con una semplice multa e senza annotazione sulla fedina penale.

    Erik Williams, il responsabile di NORML della regione, che ha avuto un ruolo significativo nella campagna di pressione sul parlamento dello stato, che ha visto i parlamentari sommersi da migliaia di email e telefonate a supporto del provvedimento, ha dichiarato: “ce l’abbiamo fatta, il Connecticut ha fatto il primo passo oltre la datata ed inefficace War on Drugs che costa ai contribuenti miliardi di dollari ogni anno e che oltre a rovinare le vite degli individui coinvolti distrugge le comunità. Ora tocca alla legge sulla Marijuana teraputica che non è stata ancora portata al voto ma che dovrebbe passare facilmente visto che sia i Democratici che i Repubblicani sono favorevoli. Noi continueremo a lottare fino a quando la marijuana terapeutica non sarà legalizzata”

    Una volta in vigore la legge, il Connecticut sarà il quattordicesimo stato dell’Unione a rimpiazzare le sanzioni penali e l’arresto per possesso di piccoli quantità di canapa, in sanzioni amministrative (anche se alcuni di questi prevedono l’esclusione del carcere solo in caso di prima sanzione), ma solo il secondo che è intervenuto con legge per decriminalizzare la cannabis nell’ultima decade (l’altro è stato il Massachusetts, con referendum, nel 2009).

    (articolo scritto per fuoriluogo.it)

  • Proibizionismo e nucleare

    In conferenza stampa con Giovanardi il direttore generale dell’UNODC Fedotov difende l’impostazione proibizionista dell’ONU sulle droghe dal recente rapporto della Global Commission on Drugs che ha chiesto il superamento della War on Drugs:

    “non si può dire se la campagna dell’Onu sia stata fallimentare, anche se certamente non è stata ancora trovata una soluzione definitiva*“.

    Insomma, un po’ come con le scorie nucleari…

    * la convenzione ONU sulle droghe è del 1961, compie giusto cinquant’anni…

  • La war on drugs va superata, un libro vi dice come

    Una commissione ad altissimo livello, costituita fra gli altri da personaggi come l’ex segretario delle NU Kofi Annan, gli scrittori Mario Vargas Llosa e Carlos Fuentes, l’ex alto commissario delle NU per i diritti umani Louise Arbour e il musicista Sting, valuta il disastro delle politiche proibizioniste e propone all’ONU di aprire la strada alla legalizzazione. Giovanardi, evidentemente ancora in clima post elettorale, si difende più o meno come Verdini dopo la batosta delle amministrative: “non è vero, il probizionismo ha funzionato, oggi si consuma molta meno droga che nel 1901?. Ma nonostante tutto è evidente che la fallimentare politica repressiva non puo’ andare avanti. E servono soluzioni a breve. Anche per questo vi consigliamo nuovamente la lettura di “Dopo la guerra alla droga. Un piano per la regolamentazione legale delle droghe” edito da Ediesse. Ordinatelo on line dal sito dell’editore. IN REGALO per chi si iscrive a Forum Droghe!

    Le reazioni (dal Notiziario Droghe Aduc)

    Scarica il Rapporto (in formato pdf, lingua inglese)

    Proibizionismo: una politica fallimentare. Leggi l’articolo di Giorgio Bignami per Terra del 3 giugno 2011.

    Vai alla presentazione del volume “Dopo la guerra alla droga. Un piano per la regolamentazione legale delle droghe” edito da Ediesse. Ordinalo on line dal sito dell’editore. IN REGALO per chi si iscrive a Forum Droghe!

    (via fuoriluogo.it)

  • Cortocircuito all’ONU

  • Facebook e la crociata anti cannabis

    Ieri la notizia in Italia l’ha data Repubblica: Facebook ha censurato la pubblicità di “Just say Now” una campagna pro legalizzazione della cannabis negli USA lanciata dal blog Firedoglake.

    Il messaggio pubblicitario, di cui vedete un esempio qui a fianco, sarebbe stato in prima battuta accettato, poi censurato con la motivazione che

    “il logo in questione non era più accettabile come pubblicità sul sito. L’immagine di una foglia di marijuana rientra tra i prodotti per il fumo e quindi non è permessa secondo le nostre politiche”

    Almeno così ha detto Andrew Noyes a Wired, dichiarazione che sembra proprio un arrampicarsi sugli specchi da parte dell’esponente di Facebook, soprattutto dopo che si è scoperto che anche una analoga pubblicità pro-legalizzazione del Partito libertario americano è stata censurata lo scorso luglio con la più schietta motivazione

    “noi non ammettiamo pubblicità pro marijuana o propaganda politica per la promozione della marijuana”.

    Ma non finisce qui: da un commento al post odierno di Vittorio Zambardino scopriamo che anche l’account di Matteo Gracis è stato disattivato, questa volta senza spiegazioni. Essendo Gracis il Direttore editoriale di Dolce Vita, magazine che si occupa molto di canapa e stili di vita, qualche sospetto che non sia una coincidenza c’è, come del resto scrive lui stesso sul suo blog:

    Conoscevo già bene la Dichiarazione dei diritti e delle responsabilità di Facebook, dal momento che mi occupo anche per lavoro di comunicazione sul web, ma dopo questo episodio sono andato a rileggermi per intero il regolamento e posso affermare con certezza di non aver violato in alcun modo le regole da loro imposte.

    Ma penso di sapere il motivo per cui sono stato cacciato da Facebook: la cannabis!

    La war on drugs varca quindi, con la sua consueta dose di ottusità censoria, le soglie dei social network, con primario obiettivo l’immagine della foglia di una pianta. Come scrive Pietro Yates Moretti sul sito Aduc in fondo è

    un po’ come se durante il proibizionismo sull’alcool fosse stato vietato di pubblicare immagini che rappresentassero grappoli d’uva.

    Le pagine di Forum Droghe e Fuoriluogo hanno già cambiato immagine del profilo in solidarietà con i censurati.

    Ora tocca a voi.

    Articolo per fuoriluogo.it

  • Dalla padella alla brace

    Articolo per fuoriluogo.it sulla nomina di Fedotov a capo dell’UNODC

    Yuri Fedotov, ambasciatore russo di lungo corso, con una quarantennale carriera nella diplomazia ed ora di stanza a Londra, sarà il nuovo direttore esecutivo dell’UNODC. Si ferma dunque l’ultradecennale monopolio italiano antidroga che aveva vista prima Pino Arlacchi e poi Antonio Maria Costa darsi il cambio alla guida della War on Drugs globale.

    L’Onu si affida ora alla Russia: dalla padella alla brace. Perche come scriveva Grazia Zuffa nella rubrica di Fuoriluogo sul Manifesto del 30 giugno “nel “pugno duro”, la Russia è più realista del re americano. Sostiene che i diritti umani non devono intralciare la war on drugs. Si oppone con determinazione alla prevenzione Hiv.”

    E’ una pessima nuova anche per Transform e TNI che per primi hanno dato la notizia della conferma della nomina da parte di Ban Ki-moon del rappresentante russo alla guida dell’UNODC. Tom Blickman sul blog del TNI sostiene che la “politica russa sulle droghe è una delle peggiori, se non la più orribile, nel mondo”. Per fare un esempio ricorda come il rifiuto russo di accettare le terapie sostitutive degli oppioidi – come il metadone che è ancora fuorilegge nonostante sia inserito nella lista dei farmaci essenzi dell’OMS – ha portato a oltre 2 milioni i dipendenti da sostanze da iniezione, con oltre l’80% dei nuovi casi di HIV causati da pratiche di iniezione non sicure. Si è passati dai 40.000 casi di AIDS del 1997 ai 940.000 casi del 2007, un incremento del 2350%.

    Molte associazioni nazionali (fra cui la Hungarian Civil Liberties Union (HCLU)) e organizzazioni internazionali avevano lanciato appelli per evitare questa nomina. Ecco il video della campagna lanciata dall’associazione ungherese:

  • Basarsi sulla scienza, non sull’ideologia.

    L’International AIDS Society, l’International Centre for Science in Drug Policy (ICSDP), e il BC Centre for Excellence in HIV/AIDS hanno avviato un’iniziativa dal basso di raccolta adesioni sulla “dichiarazione di Vienna” che sostiene come la guerra alla droga e la criminalizzazione dei consumatori di droghe alimentino l’epidemia di Hiv con enormi conseguenze negative sanitarie e sociali. Per i promori è quindi necessario imprimere un nuovo indirizzo alle politiche delle droghe, verso un approccio scientifico e rispettoso dei diritti umani per ridurre i danni delle attuali politiche, e convogliare le risorse verso interventi di prevenzione, trattamento e riduzione del danno fondati sulle evidenze scientifiche.

    Dal blog di Fuoriluogo.it: leggi l’articolo di Grazia Zuffa, per la rubrica di Fuoriluogo sul Manifesto del 30 luglio 2010.

    Anch’io ho aderito alla Vienna Declaration: vai al sito ufficiale della campagna e firma anche tu.

  • Il Proibizionismo ha fallito

    Solidarietà ai consumatori di sostanze vittime della repressione da parte dei Verdi di Ferrara

    La giornata mondiale antidroga che si celebra oggi deve essere per i cittadini occasione in cui ci si interroga sull’inefficacia lampante delle politiche proibizioniste sulle droghe. Mentre negli Stati Uniti sempre più stati abbandonano la via perversa della proibizione, mentre i dati dimostrano che laddove si introducono politiche di tolleranza e riduzione del danno i consumi diminuiscono, in Italia il sottosegretario Giovanardi è costretto a inocularci dati stupefacenti, smentiti poche ore dopo dal CNR, per giustificare le politiche proibizioniste del Governo Berlusconi.

    Come ampiamente previsto i più colpiti dalla nuova legge sono stati i consumatori di canapa: l’aver assimilato la sostanza ad altre ben più pericolose, l’aver automatizzato – con l’inserimento nelle tabelle della quantità massima detenibile – la contestazione del reato di spaccio, l’aver perseguito con pervicacia coloro che per sottrarsi ai mercati illegali hanno intrapreso la strada dell’autocoltivazione come il giovane copparese arrestato proprio in questi giorni, la criminalizzazione di una pianta che peraltro fino a sessant’anni fa cresceva florida nelle nostre campagne ha riempito le carceri di persone che ovunque dovrebbero stare fuorchè in galera.

    Le carceri stanno scoppiando, e quasi la metà dei detenuti lo è per la violazione di due soli articoli del nostro vastissimo apparato normativo penale: quelli sulle droghe. I detenuti tossicodipendenti non riescono più ad uscire dal carcere per seguire programmi di recupero a causa del combinato disposto della legge sulle droghe e di quella sulla recidiva, nonostante i proclami Giovanardiani e nonostante le statistiche dimostrino come la recidiva sia infinitamente minore una volta seguito un percorso rieducativo e di reinserimento alternativo al carcere.

    Per questo come ecologisti continueremo a chiedere una nuova politica sulle droghe, che abbandoni la repressione dei consumatori, che tolga ossigeno e denaro alle mafie e investa sulle pratiche della riduzione del danno e dell’informazione.

    Per questo i Verdi di Ferrara, proprio oggi, esprimono la propria solidarietà e la propria vicinanza a tutti i consumatori di sostanze vittime della War on Drugs, e a tutti quegli operatori dei servizi pubblici e del privato sociale che nonostante il Governo continuano con passione a fare il loro lavoro. E anche agli operatori delle forze dell’ordine che magari preferirebbero andare a caccia di criminali seri piuttosto che sradicare piante da orti e fossi.

    I Verdi di Ferrara

    ?

  • Mille miliardi di dollari

    Il costo della war on drugs americana, secondo l’Associated Press.

    Anche per Obama è il tempo di fare un consuntivo sul fallimento totale del proibizionismo, che non ha raggiunto nessuno dei suoi obiettivi se non quello di far moltiplicare i consumi, arricchire le multinazionali del crimine e portare morte e disperazione in tutto il mondo.

    Consiglio di leggere il commento di Giorgio Bignami sul blog di fuoriluogo.it.

  • L’unica pista da seguire

    Siamo buoni. La trasmissione dedicata al caso Morgan è stata davvero un’occasione sprecata. La scelta degli invitati e il taglio generale sulla politica delle droghe era davvero il segno della subalternità culturale ai miti e alle falsità scientifiche spacciate per verità. Il confronto, si fa per dire, si sarebbe potuto intitolare: Avanti Pupo o avanti savoia!
    Far passare idee inventate di sana pianta secondo le quali lo spinello di oggi sarebbe diverso da quello del mitico sessantotto, in quanto conterrebbe una concentrazione di Thc (il principio attivo più caratterizzante) superiore di 27 volte, è una colpa grave, una sorta di reato quale è la diffusione di notizie false e tendenziose.
    Riproporre la tesi del passaggio dallo spinello all’eroina e alla cocaina è davvero esilarante se non fosse un errore diseducativo che annulla le possibilità di prevenzione, di educazione e di informazione critica destinate ai giovani.
    Sono solo due perle (trascuriamo le affermazioni di Barbara Palombelli per carità di patria!) somministrate nella lunga serata.
    Per fortuna Adriano Celentano ha riportato a una giusta dimensione surreale una serata nata male e che rischiava di precipitare nella demagogia e nell’elogio della galera, nella santificazione della punizione e delle catene contro i consumatori di sostanze ritenuti incapaci di intendere e volere. Come dice Giovanardi i tossicodipendenti non sono persone ma zombie!
    E’ un peccato che Rapporti internazionali densi di studi, dati e ricerche siano buttati nel cesso proprio nel momento si comincia a discutere della war on drugs che ha mietuto vittime nel nord e nel sud del mondo. Noi stiamo con Evo Morales che rivendica una cultura millenaria delle popolazioni e dei contadini boliviani rispetto alla violenza delle Convenzioni internazionali fondate sulla retorica salvifica e sulla ideologia moralista.
    Ma non tutto è stato inutile e dannoso. E’ stato restituito l’onore a Morgan, come musicista e come individuo libero e che ha praticamente chiuso la trasmissione con la condanna esplicita del proibizionismo e degli interessi criminali che lo sostengono.
    E’ davvero l’unica pista da seguire!

    Dal blog di Franco Corleone, via fuoriluogo. Commenti anche su wittgenstein.

  • Due sentenze scardinano la guerra alla Canapa

    Mentre le forze dell’ordine continuano la loro inutile, costosa e a volte pure ridicola guerra alla droga (soprattutto nei confronti della marijuana) la Magistratura con due recenti sentenze scardina alcuni principi della war on drugs italiota, in particolare per quel che riguarda il consumo di Canapa.

    E’ di questa settimana la notizia della sentenza del Giudice del Lavoro di Avezzano che ha autorizzato la somministrazione di Canapa Terapeutica in un caso di sclerosi multipla, obbligando Azienda Sanitaria Locale a fornire canapa al paziente.

    E di fine dicembre invece la sentenza del Tribunale di Milano del Tribunale di Milano che ha assolto un imputato reo di aver coltivato in giardino 7 piante di marijuana. L’importante sentenza del Giudice Salvini sulla coltivazione domestica di canapa la trovate on line in formato pdf su Fuoriluogo.it. Leggete l’articolo di Franco Corleone dalla rubrica di Fuoriluogo sul Manifesto dell’11 febbraio 2010. (dal blog di fuoriluogo.it)

  • Il re è nudo

    Vittorio Zucconi su Repubblica pone l’interrogativo sull’efficacia della guerra alla droga in Italia e nel mondo. Gli obiettivi dei guerrieri di cancellazione delle sostanze, della produzione e del consumo si sono rivelati non solo impossibili ma dannosi. Le conseguenze sulla giustizia, sulle carceri, sulla salute e sull’economia e sulla corruzione, anche delle forze dell’ordine è ormai evidente.

    Forse non siamo più voci nel deserto accusate di essere portatori di istanze ideologiche e di estrema minoranza. Chi coltiva l’ideologia salvifica e moralista appartiene al campo del proibizionismo. Per resistere sono ridotti a mettere al bando da Sanremo il povero Morgan. Le cifre, i dati cominciano a fare giustizia.

    Il re è nudo! Non bisogna avere paura di urlarlo.

    Franco Corleone sul suo blog (via fuoriluogo.it).